Nel palazzo dei Rossavilla, nonostante lora tarda, i lumi erano accesi ed un paio di persone parlottavano presso lingresso. Il portone era aperto e un tizio della servitù presidiava uno strano via vai di gente. Alessio si incuriosì e credette bene di avvicinarsi. Daltronde si era disfatto dellarma già da molti minuti e non avrebbe potuto costituire una minaccia per nessuno, se non per sé stesso qualora il nobile lavesse riconosciuto.
Non appena luomo della servitù lo vide avvicinarsi gli disse:
«Va via non è il momento per le elemosine!» credendo che si trattasse di un mendicante.
Effettivamente, benché non indossasse più gli stracci che aveva in carcere, Alessio vestiva in modo semplice e sciatto.
«Non capisco.» spiegò Alessio, non comprendendo larabo usato dalluomo della servitù.
«Latif, lascialo stare.» fece uno dei due che sostavano sullingresso.
Questi era un giovane uomo ben vestito e dallaspetto gradevole, per certo uno dei padroni.
«Mendicate denaro?» chiese dunque il nuovo giunto, rivolgendosi ad Alessio nel volgare del popolo.
«Non parlo la vostra lingua.» rispose invece il maestro darte.
«Parlate greco non vi ho mai visto.» concluse il più giovane, finalmente nella lingua del forestiero.
«Mio Signore, vedo le lampade accese e il portone aperto a questora della notte; che succede?»
«Mio padre è gravemente malato, allettato da settimane in unagonia che sembra non avere fine. Questa notte aspettiamo che il medico dia il suo ultimo responso.» spiegò mestamente il figlio del suo acerrimo nemico.
«Malato?» ripeté stupito Alessio.
«Sì, malato Ma voi chi siete?» chiese quellaltro, cominciando ad insospettirsi per linconsueta curiosità del passante.
«Io sono solo uno dei lavoratori di seta degli opifici del Palazzo del Re.»
Alessio la buttò lì, daltronde sapeva bene come alcuni suoi connazionali, esperti lavoratori di seta, molti anni prima fossero stati condotti da Ruggero in Sicilia per lavorare nelle officine reali del suo Palazzo. La seta del Regno, la quale era frutto delle conoscenze greche dei nuovi giunti e della sapienza degli artigiani arabi già presenti a Palermo, era tra le migliori al mondo.
«Questa casa ha bisogno di preghiere e non di stoffe foste stato voi un prete» rispose amareggiato il Rossavilla.
«No, mio Signore, non è per questo che sono qui nel cuore della notte. Giusto una settimana fa, mentre valutavo il pregio dei tessuti dei venditori del mercato, mi imbattei in una donna della servitù di questo palazzo. Anche lei era interessata agli stessi articoli e così mi ci ritrovai a parlare. Quando si accomiatò mi accorsi che un nastro dei suoi capelli si era sciolto ed era lì per lì per cadere. Tentai di avvisarla, ma la folla la risucchiò occultandola alla mia vista. Più avanti ritrovai il nastro, ma non lei. Questa notte stavo tornando a Palazzo quando mi sono accorto che non avevate ancora soffiato alle candele e non avevate ancora serrato il portone. Ecco, desidererei restituire loggetto perso alla sua legittima proprietaria. Se non è troppo, e se la vostra serva non è ancora andata a letto, permettetemi di incontrarla qui fuori, davanti allocchio del vostro schiavo moro, così che le renda di persona ciò che ha smarrito.» spiegò Alessio, indicando al termine del discorso proprio il nastro azzurro che teneva legato al polso.
Il padrone fece segno a Latif di avvicinarsi e rivolse lultima domanda ad Alessio.
«Come si chiama la serva?»
«La bella donna con cui parlai al mercato si chiama Zoe.»
Il figlio di Giordano e il maggiordomo della casa, quel tale Latif, si guardarono confusi.
«Siete sicuro che vi abbia detto di servire al palazzo dei Rossavilla?» chiese il capo della servitù.
Ad Alessio batté il cuore. Quella domanda piena di sospetto sembrava essere il preludio di qualcosa di brutto. Intanto, guardando verso il Regio Palazzo, verso la parte alta della via Marmorea, si accorse che un grande stuolo di uomini, visibili al buio poiché reggevano molte torce, si avviava velocemente verso est. Immaginò quale sorta di delitto avesse richiamato quella moltitudine di guardie e immaginò che a breve si sarebbe scatenata la caccia alluomo. Un influente eunuco del Re era stato ammazzato e se avessero sorpreso proprio Alessio per le strade, il quale assassino già lo era, per certo lo avrebbero arrestato, condannato senza bisogno di indagine e ucciso.
«Mio Signore, mi ha fatto proprio il nome di Giordano di Rossavilla.»
«In tal caso, o le frottole le ha raccontate lei o le raccontate voi! Qui non vi è mai stata nessuna serva con questo nome.» concluse il signore tra i due.
Alessio cominciò ad innervosirsi. Se non fosse stato uno dei più abili maestri mosaicisti, dallocchio arguto e dalla posa perfetta, sicuramente le sue mani avrebbero iniziato a tremare e il suo sguardo ad essere inquieto.
«Zoe la vostra serva una meravigliosa donna dagli occhi azzurri e dai capelli lunghi e profumati.» aggiunse ancora Alessio, ripetendo la descrizione fatta da Mattia.
«Da come ne parlate sembra proprio che ve ne siate innamorato» scherzò il nobile di discendenza normanna.
«In tal caso temo che la donna a cui vi riferiate debba avervi indicato volutamente il palazzo sbagliato per togliervi dai piedi.»
A quelle parole del figlio del suo nemico, Alessio andò in escandescenza. Solo un paio di anni prima proprio con Giordano avevano contrattato il futuro di Zoe ed ora quei due dicevano di non conoscere nessuno che portasse quel nome. Per certo mentivano!
Alessio strinse i pugni e imbruttì come un cane rabbioso lo sguardo, sennonché in quellistante una decina di guardie attraversò la via Marmorea e si infilò nel labirinto di stradine sul lato destro della città. Quello non era il momento di farsi notare, dunque il colpevole di quella confusione abbassò la testa e concluse:
«Avete ragione, Signore, quella meschina deve avermi imbrogliato.»
E si allontanò mestamente.
Lenorme palazzo-fortezza, sede del Re quando questi era in città, era visibile da molti punti di Palermo. La facciata del Palazzo, intonacata di bianco brillante e contornata di rosso, simbolo di regalità, guidò Alessio fino al luogo dal quale era evaso per la cruenta avventura di una sola notte.
Capitolo 6
8 e 9 Novembre 1160 (Anno Mundi 6669), Balermus, Palazzo Reale
Per non gettare sospetti sullo strano sodalizio esistente con il criminale straniero, Mattia si dileguò non appena ebbe richiuso dentro la sala Alessio ed ebbe in tale modo assicurato ad entrambi un alibi. Per lintero Palazzo, infatti, il prigioniero non era mai uscito da quella stanza.
La mattina fu Onesimo a riportare la notizia dellassassinio dellimportante eunuco del Re. Naturalmente lintera Palermo ne parlava, ma Alessio, segregato lì dentro, non poteva saperlo. Giunsero poi i giovani manovali affidati alla direzione del maestro straniero e questi confermarono con stupore la notizia.
Lo sguardo di Alessio restava tuttavia come stregato, perso nella luce che penetrava da oltre la loggia. Non aveva chiuso occhio e i dubbi più atroci gli torturavano lanima. Sarebbe voluto tornare al palazzo dei Rossavilla già quella mattina, in barba ad ogni pericolo, così da comprendere cosa significava quella frase: Qui non vi è mai stata nessuna Zoe.
Ebbe comunque loccasione di sciogliere almeno parte di quei dubbi già a mezzogiorno, quando si presentò Mattia in persona.
Leunuco aveva congedato il servo preposto alla dispensazione del cibo ed ora portava le vivande con le sue mani. Quel giorno era prevista zuppa di lenticchie e cipolle.