Indicò con un indice mangiucchiato la finestra che dava sul retro. Un falò bruciava, scintillante.
«Cosa bruci, Olivia?»
«I suoi fottutissimi impestati vestiti.» disse, soddisfatta. «Gli ho detto al telefono, a quel bastardo figlio di puttana, che lo sto aspettando a braccia aperte. E gli ho detto anche che se torna gli sfondo la testa con una mazza di baseball e lo seppellisco in giardino, per concimare i miei fiori. Che il suo corpo putrefatto alimenterà le mie rose. Ecco cosa gli ho detto. E che se tocca i bambini se ne pentirà amaramente.»
«Lui che ti ha detto?» si informò Sandi.
«Nulla, che credi? Mi ha presa alla lettera. Sa che non mento e che non ho paura. Io quel cervello bacato glielo tiro fuori dal cranio davvero, se torna. Ah, mi ha detto che anche lui ha un occhio nero. Gli ho fatto un occhio nero, capito? E cosa vuole? Un rimborso? Un mazzo di rose? Un paio di frasi di scuse? Bastardo stronzo.»
«Ah, be. Sono felice che tu sia così.»
«Così come?»
«Così forte, Olivia. Così decisa.»
«Oh, io non sono né forte né decisa in questo momento. Io sono triste e amareggiata: non sono stata capace di difendere i miei figli, Sandi. Linda ha un livido nella gamba sinistra, e Matthias è nervoso, agitato. Gli altri due hanno solo guardato. Samuele se lè vista brutta: è un guerriero, stava partendo per difendere la sorella; Dana non si è mossa, e dalla paura si è fatta la pipì nei pantaloni. Sono riuscita tardi a calmarla. Mi hanno chiesto se devono chiamarlo papà, ma ero troppo arrabbiata. Non sgridarmi. Gli ho detto che non devono chiamarlo proprio.»
«Oddio, e ora il bambino che aspetti Come farai?»
«Oh, farò dolcezza. Ne ho sfornati altri quattro. Un quinto non sarà certo un problema. Che poi, detto fra noi, io ho chiuso con gli uomini.»
«Ah, ben fatto. Stasera non puoi berne, allora.» domandò Sandi, indicando la bottiglia di liquore.
«Oh no scordatelo. Io berrò succo dananas, ma tu puoi bere. Quando arrivi qui con una bottiglia vuoi ubriacarti per forza, non ti toglierò questo diritto. Mi piaci da morire, quando sei ubriaca. Non sei fredda e distaccata come al solito. Sei sveglia, attiva, espansiva. Sarà divertente.» sentenziò, infine.
Poi chiamò a raccolta i suoi bambini e insieme mangiarono pasta al forno, fettine di tacchino e tiramisù.
Sandi notò una tristezza nei loro occhi giovani che non aveva mai visto. La piccola Dana aveva gli occhi gonfi e rossi. E tremava, mentre con la manina chiara prendeva il cucchiaino con una piccola porzione di dolce. Lei la guardò e le sorrise, poco convinta. La bambina non rispose.
«Vi sono piaciuti i giochini, bimbi?» domandò per svegliarli da quel torpore e dalla delusione che sanno mostrare solo i bambini quando le certezze crollano come una casa malconcia sotto un uragano.
«Sì, ci sono piaciuti, zia.» affermò Samuele.
Con il camion quel bellissimo camion verde e rosso avrebbe certamente giocato di lì a poco anche se quella storia era ancora così vivida, e dolorosa, e pungente nella sua mente.
«Oh, forza bambini! Dite qualcosa alla zia. Raccontatele di quel cartone, come diavolo si chiama» si perse Olivia.
Niente, proprio non lo ricordava. Un pomeriggio intero a sbattersi per quei protagonisti, e lei non rammentava come si chiamasse.
«Sto proprio uscendo di testa, ragazzi.» concluse, non senza una punta di amarezza. «Proprio ora!»
«Perché proprio ora, mammina?» domandò Linda.
«Niente tesorina, niente.»
Nessuno di loro sapeva del fratellino/sorellina che cresceva nel grembo della mamma; si sarebbero senza ombra di dubbio straniti: quella mamma forte e buona non faceva altro che dire che quattro figli erano molti. Sì, lo diceva mentre sorrideva, ma loro la vedevano la stanchezza nei suoi occhi, la voglia di dormire anche solo cinque minuti e il desiderio di fare un bagno caldo e lento.
«Frozen, mamma?» azzardò Dana. Daltronde ne avevano visti un paio, quella settimana.
«Ecco, quello. Raccontatele come è stato!»
«Bello.» chiuse, velocemente, Matthias.
«Come sei originale, figlio mio.» lo rintuzzò la madre, con sguardo severo. «Proprio un bel racconto.»
«Vogliamo andare di là, mamma, a giocare.»
«Anche io!» si unirono gli altri tre.
«Andate, andate a giocare, figli miei.»
«Ciao bimbi»
«Ciao zia Sandi»
Quando la porta della camera dei bimbi si chiuse Olivia si girò a guardare Sandi e le domandò, con voce roca: «Ma secondo te come stanno? Sono scioccati?»
«No, scioccati non direi, Olivia. Secondo me semplicemente si riprenderanno, ma hanno bisogno di tempo.»
«Tempo, e chi ne ha? Dammi un sorso di liquore»
«Non puoi, Olivia.»
«Solo un sorso, che Dio mi perdoni. Mi serve. Mi aiuterà a dormire stanotte.»
E sorseggiò, calma, cercando di distogliere la propria mente dai pensieri. Forse era vero: serviva tempo sia ai suoi figli che a lei. Ma serviva soprattutto che Dario non si avvicinasse a quella casa mai più. Lei non lo avrebbe permesso. Poi sorrise, pensando allenorme mucchio di vestiti carbonizzati nel giardino. Il sorriso divenne riso.
«Che hai da ridere?» le domandò Sandi, divertita.
«Quello stronzo non ha nemmeno un vestito con sé! È uscito con una tuta e un giubbotto probabilmente tornerà a prendersi la roba!» urlò, ridendo sguaiatamente. «E sai cosa troverà?»
«Un mucchietto di cenere?» azzardò lei.
«Esatto. Un cazzo di fottutissimo mucchietto di cenere!»
5
Eddie aveva pranzato da solo. Una scatoletta di tonno, una mozzarella e un paio di pomodori. Leggero e sano, non per scelta ma per incapacità dinanzi ai fornelli. Poi collassò qualche ora nel divano, accoccolato a Ted. Quel cane era tanto, troppo pigro. Ogni momento era buono per schiacciare un pisolino.
La sveglia del telefono, puntata per le 5 e trenta, suonò una canzone conosciuta. Lui aprì gli occhi, riposato. Poi si alzò e corse in doccia. Per le 7 meno un quarto doveva essere in ufficio, con la cena cinese ritirata già tra le mani. Si insaponò, velocemente, poi si risciacquò e uscì alla ricerca di un asciugamano. Si preparò come si trattasse di unuscita, e poi si sentì in colpa per questo. Aveva messo un paio di pantaloni beige, una polo scura e una giacca sportiva marrone scuro. Si era fatto il gel, alzando i capelli chiari, e aveva messo il suo profumo migliore. In perfetto orario sedette nellauto, diretto al take away cinese. Poi, procurato il cibo, si diresse allufficio. Latrio era buio, probabilmente Giorgia non era ancora arrivata. Entrò con sicurezza in quei luoghi tanto conosciuti, poi avanzò verso la porta nella quale erano affissi tre nomi. Uno di questi era il suo. Si sbagliava. Giorgia era già lì: davanti a lei, mille pratiche e due bottiglie di birra.
«Ehi, scusa ti ho preceduto.» esordì, timidamente, lei.
«Oh, no. Ma figurati. Hai fatto bene.» rispose lui poco convinto. Quella storia che fossero entrambi lì, soli e ben vestiti gli sembrava sempre più sbagliata. La guardò. I capelli scuri e lunghi fino al limitare della schiena le davano una parvenza infantile, che veniva smorzata subito dalle linee sinuose del suo corpo. Notò, non con stupore, che anche lei si era acconciata in modo più preciso e sensuale del solito. Un vestito verde scuro con lo scollo pronunciato le fasciava il seno e le cingeva i fianchi; le scarpe scintillavano, e al collo portava un gioiello brillante capace di attirare lattenzione. Quando i loro occhi si incontrarono scuro e chiaro, uniti da un momento infinito, magico, inafferrabile un brivido corse nella schiena di entrambi. Ma lui sapeva già che sarebbe successo, e si era preparato.