La ragazzina, dopo le iniziali delusioni, si arrangiò; si creò una vita e sopravvisse, ma in cuor suo ammirava quella donna così elegante, fine, altera al punto che aveva finito per assomigliarle più di quanto avrebbe mai potuto ammettere. Ma adesso per mesi non si vedevano né si sentivano, e a Sandi stava bene così.
Si mise al PC. Anche quel giorno avrebbe provato a scrivere. Era, in fin dei conti, libera per il resto della giornata. Optò per una protagonista donna: si vantava di conoscere il mondo femminile in ogni sua sfumatura. Sbagliava, ovviamente: conosceva solo il versante cattivo delle donne quello maligno, malizioso, fatto di inganni e menzogne.
E Carola soffiò via il fumo della sigaretta, mentre il cielo si schiariva. Sarebbe, finalmente, tornata...
«Dove? Dove deve tornare Carola?», si domandò ad alta voce, spazientita. Non trovò una risposta.
Che lavoro avrebbe fatto Carola? E perché la sua vita sarebbe stata così particolare? Riuscì a buttare giù, con fatica, 7 pagine e mezzo poi, esausta e svuotata, chiuse il computer. Accadeva sempre questo: trovava un nome, un luogo, una data e una potenziale storia nella sua mente ma poi si stancava; lentusiasmo cedeva il passo dapprima alla monotonia e poi alla totale indifferenza. A quel punto il file veniva gettato nel cestino e mai più recuperato. Decise di non lanciare, metaforicamente e letteralmente, quel primo contenuto abbozzato in un cestino; magari si sarebbe rivelato utile. Sì, magari.
3
Eddie era completamente bagnato. Aveva corso almeno unora e mezza. Qualche mese prima aveva sentito una sua collega dire ad unaltra che aveva il sedere moscio e si era arrabbiato e offeso non poco. Lui aveva sempre vantato un fisico asciutto e una forma invidiabile, ma ora aveva i suoi anni. Invece di arrendersi al fatto che il suo sedere non avrebbe certo potuto sfidare le leggi della gravità aveva deciso di iniziare a fare jogging. Le prime volte era stato uno strazio, un trauma. Si fermava, dopo pochi metri di corsa, con il viso stravolto dal colore pallido-cadavere e con un fiatone che si sarebbe sentito dalla regione vicina. Ora aveva una buona media, si fermava di rado e non ansimava più come un moribondo. Fiero del fatto di avere riottenuto un sedere tonico e sodo, passava davanti a quelle megere delle sue colleghe ostentando una camminata sicura e diritta. Quasi sculettava e i loro sguardi erano scioccati.
Un don uscì dalla sua tasca della tuta. Prese il telefono cellulare e lesse il messaggio di Giorgia, la sua collega. Lui era uno dei 16 impiegati di un grosso studio commerciale, e sovente lavorava con lei. Più che altro, lui la guidava. Fresca di studi era stata spedita nel mondo del lavoro; non sapeva nemmeno allacciarsi le scarpe, ma lui la stava istruendo a dovere.
Senti, Eddie. Dobbiamo riguardare quella faccenda del signor Consi. È necessario, lo sai, che sia pronta entro le dieci di domattina. Considerando che in ufficio arriviamo alle 9, credo che ci dovremmo vedere questa sera. Io sono libera, tu?
Eddie sbuffò. Era una cosa che poteva fare anche una persona da sola. Le aveva già spiegato che lavrebbe potuto fare da solo, ma lei aveva insistito. E ora si ritrovavano a doversi vedere di domenica sera. Non ci sarebbe stato niente di male se questa domanda gliela avesse fatta Stefano, o Sergio. Ma lei. Lei era bella, giovane, profumata. Lo vedeva come un mentore, un uomo affascinante dallaria sicura, decisa, forte. Ne era affascinata. Si vedeva lontano un miglio. Quando poteva si avvicinava eccessivamente a lui, le posava una mano sulla spalla con sensualità, malizia. E per lui sarebbe stato fin troppo facile abbandonarsi a lei, totalmente e irrazionalmente. Era un uomo, non un santo, ed era fatto di carne, ossa e cuore un cuore che non batteva più da tempo ma che non era ancora morto.
«Eddie, ascolta. Io so che stai attraversando un momento difficile, con tua moglie. Ne parlano tutti, qui in ufficio. Voglio farti sapere che» disse con sensualità «io per te ci sono. Ci sono sempre.» Era il giorno dellImmacolata, e lei si era recata in studio per finire una pratica con lui. Erano solo loro, in un edificio enorme. E lui laveva desiderata così ardentemente che fu un tormento alzarsi e scappare da lei con una scusa. Prima però aveva appoggiato le labbra sulla pelle candida del suo collo, ringraziandola.
Eccoli, i dannati vuoti spazio-temporali dove lui perdeva capacità di giudizio e percezione della realtà. Tornò in sé e digitò un messaggio.
Sì, dai. A stasera. In ufficio. Porto la cena io.
A stasera, bye mon amour. Pensami.
E nemmeno sapeva quanto lui lavrebbe ascoltata. Mise le cuffie nelle orecchie e riprese una marcia veloce.
4
Sandi uscì allora di pranzo. Sarebbe andata a mangiare da una sua amica; avrebbe potuto persino trattenersi fino a cena: suo marito era fuori per lavoro, e sarebbe stato carino passare una serata tra amiche.
Passò dal negozio e comprò un paio di regali. Olivia aveva quattro figli, due femmine e due maschi, e i soldi non erano troppi, in quella casa. Sapeva, quindi, che i bambini sarebbero stati entusiasti di ricevere un pensierino. Per lei e lamica invece prese una bottiglia di liquore alla mandorla; sperava aiutasse a lenire le sofferenze di due vite infelici. Quando bussò al portone malconcio, vecchio e con le vernice verde parzialmente scrostata era quasi luna. Olivia aprì alla porta con un paio di occhiali grossi e scuri. Era una bella giornata di sole, sì, ma dentro casa le tapparelle lievemente spostate verso il basso creavano unatmosfera cupa.
«Che diavolo accade, Olivia?» chiese con il cuore a mille Sandi.
«Oh, cara mia. Nulla di grave. Lho sbattuto fuori di casa, tranquilla.»
«Ma io Io non capisco.» asserì confusamente Sandi, con un tono che andava dal rammarico alla desolazione.
«Oh, piccola, entra, ti spiegherò.»
Sandi varcò lentrata, si tolse il cappotto e la guardò. Aspettava, cauta, che lamica si sbilanciasse. I bambini giocavano in unaltra stanza.
«Oh, Sandi. So che con Eddie vanno male le cose. Ma non metterti con un uomo come Dario.»
«Ti ha picchiata?»
«Tra le altre cose» mormorò, sconfortata Olivia. Era una combattente, una a cui non la si fa sotto il naso. Ma quella volta era triste, abbattuta.
«Ieri, dopo aver chiamato te, abbiamo fatto una cenetta romantica. Volevo dirgli una cosa. Una cosa importante, sì.»
«Sei incinta, vero?»
«Assolutamente sì. Credimi che non so come sia potuto accadere. Sono stata attenta come non mai. Ma è accaduto. Per tutto il mese ho avuto nausee, dolori allo stomaco, fiacchezza. Ho attribuito il tutto al ferro, non sto mangiando abbastanza carne. Poi ho fatto il test. E ho scoperto che, no, non era proprio la carne il problema. O meglio, era un pezzo di carne sì» aggiunse, maliziosa. Riusciva a scherzare anche ora, in un momento drammatico, e triste, e disperato.
«E quindi?»
«Si è incazzato! Come una iena, oserei dire. Si è alzato dal tavolo e mi ha detto: Non hai intenzione di smetterla di sfornare marmocchi come fanno le coniglie?. Allora gli ho detto che non mi ero certo montata sopra da sola, per rimanere incinta. Ho visto un lampo dodio nei suoi occhi ed è corso verso Matthias. Lha preso e ha gridato: Credi che io non sappia che questo non è figlio mio? Pensi che non abbia scoperto che te la fai con un altro? Ovviamente era una scusa. Proprio Matthias, che è la sua copia sputata. Il bimbo ha urlato, lui lha schiaffeggiato poi ha preso Linda. Anche per lei ha detto la stessa cosa; detto fra noi, Linda davvero non sembra figlia sua. Che Dio mi benedica, io nemmeno ci penso ad altri uomini. È già tanto se penso a lui mentre, con le gambe aperte, attendo che abbia finito per potermi dedicare alle mie faccende. Lei ha urlato, ha pianto e si è divincolata. Lui lha lanciata lanciata nel vero senso della parola, che lInferno lo inghiotta per terra. Io mi sono fiondata, lho colpito. Ma lui me le ha ridate. Poi ha detto: Cresci i tuoi stronzetti da sola, me ne vado! e io lho lasciato andare. Guarda»