«Ehi, scusa ti ho preceduto.» esordì, timidamente, lei.
«Oh, no. Ma figurati. Hai fatto bene.» rispose lui poco convinto. Quella storia che fossero entrambi lì, soli e ben vestiti gli sembrava sempre più sbagliata. La guardò. I capelli scuri e lunghi fino al limitare della schiena le davano una parvenza infantile, che veniva smorzata subito dalle linee sinuose del suo corpo. Notò, non con stupore, che anche lei si era acconciata in modo più preciso e sensuale del solito. Un vestito verde scuro con lo scollo pronunciato le fasciava il seno e le cingeva i fianchi; le scarpe scintillavano, e al collo portava un gioiello brillante capace di attirare lattenzione. Quando i loro occhi si incontrarono scuro e chiaro, uniti da un momento infinito, magico, inafferrabile un brivido corse nella schiena di entrambi. Ma lui sapeva già che sarebbe successo, e si era preparato.
Si sedette dallaltra parte della scrivania e pose davanti a sé i fogli di cui disponeva, invitandola con un gesto della mano a fare lo stesso.
Lei, delusa e un po afflitta, obbedì a quel suo ordine.
«Allora, qual è il problema lo sappiamo. Dobbiamo solo stilare una lista di cose da sistemare. Grafici, statistiche. Allarrivo del cliente tutto dovrà essere in ordine.» esordì Eddie con voce ferma e pacata dentro di sé il fuoco ardeva, ma riuscì a mantenersi composto.
«Io penso che dovremmo iniziare con questa scheda. La compiliamo?» lo interrogò, insicura, lei.
«Sì, facciamo questo.»
Lavorarono di gran lena per tre quarti dora. Poi un brontolio interruppe i loro conti minuziosi. Allora si sedettero a terra e aprirono le varie scatolette di carta contenenti cibo.
«Cosa sarà, questo?»
«Ah non chiedermelo! Mangia e basta. Se non sai non puoi preoccuparti.»
«Questa è la tua filosofia?» rise lei, divertita.
«Certo, lo è.» stette al gioco.
«Perché sei così triste, sempre?»
«Cosa intendi, Giorgia?»
Non credeva di essere sempre triste. Sì, talvolta era capace di perdersi nei suoi pensieri, soprattutto quando la sua mente decideva di vagare qua e là tra presente e passato. Dopo pochi minuti di vuoto, di nebbia, di ricordi, tuttavia, lui si riprendeva. Era simpatico, un burlone.
«Non fraintendermi. Tu giochi sempre, e con tutti. Sorridi sempre. Ma io lo vedo. Anche quando ridi di gusto il tuo sguardo è comunque cupo, come se ogni volta che fossi felice qualcosa ti ricordasse che non puoi esserlo, non a lungo almeno.»
Aveva ragione: nessuno se ne era mai accorto, ma le sue erano risate vuote, ingombre di macigni troppo pesanti da spostare. Il suo era solo divertimento apparente.
«Sì, hai visto giusto, Giorgia.»
Era inutile mentire, lei aveva guardato dentro i suoi occhi e aveva messo a nudo tutta la sofferenza.
«Se fossi mio non permetterei che tu soffra così tanto» bisbigliò lei. Nel calmo ambiente vuoto le sue parole rimbombarono come fossero urlate.
«Ma non sono tuo.»
«E allora di chi sei? Di quella moglie che non ti ama e che non ami? Credi che non mi sia accorta che non porti la fede? Un giorno ti ho sentito parlare con Stefano. Eravate nellala relax, e io ero fuori. Sono stata ad ascoltare. Da quanto non ti tocca, Eddie? Da quanto non ti dice che ti ama, che vive di te, che sei lunico uomo che amerà mai? Da quando non ti prepara il pranzo? Non ti ama. Tu sei perfetto e lei non capisce la fortuna che ha. Non capisce che sei un uomo doro. Quellingrata non sa che si perde. E io io ti vorrei. Così tanto e in modo così totale. Tu non capisci! Sai cosa? Tu sei uno stronzo e lei è una stupida!» disse con rabbia.
Lui era livido di rabbia.
Le si avvicinò.
«Che cosa hai detto?» sussurrò, a mezzo centimetro dal suo viso.
«Tu sei uno stronzo e lei una stupida! Hai bisogno che ti vengano sturate le orecchie, o cosa?» lo sbeffeggiò lei.
Lui le tirò uno schiaffo. Sonoro e secco, sferzò laria come una frustata. Poi la guardò, pentito. Lei era offesa, umiliata. Era pronta ad andarsene. Fu allora che la baciò, con foga e rabbia. La baciò in modo rude. Non fu dolce, né mieloso. Fu un bacio aggressivo, che diede vita a una lotta silenziosa che li portò sul tappeto della stanza. Le mani di lui trafficarono nel vestito di lei fino a trovare il laccetto che lo teneva su. Lo sganciò. Lei gli sbottonò la camicia e gli baciò il petto. Mentre le mani si rincorrevano, si cercavano e si trovavano lui si bloccò, mentre il suo cuore si gelava.
Sandi urlava, disperata. Eddie non aveva nemmeno più lacrime da piangere. La piccola bara bianca era dinanzi a loro. Nella camera mortuaria dellospedale cera assai freddo, ma nessuno tra loro cercò una giacca. La loro bambina il loro piccolo angelo che ora diventava custode non cera più. Aveva solo sei mesi. Lavevano seppellita con un vestitino bianco con fiori ricamati. Lavevano coccolata e baciata, prima che il funzionario delle pompe funebri li avvisasse del triste momento: avrebbero dovuto chiudere il feretro entro cinque minuti. E ora erano lì; amici e parenti, con parole più o meno di conforto e tante frasi fatte, provavano a lenire quellatroce sofferenza. Ma nulla avrebbe potuto liberarli da quel groppo nel cuore. Sandi, per la prima volta nella sua vita, era apparsa fragile, debole, pronta a rompersi. Per la prima volta nel suo viso non cera ostentazione, né malizia, né sicurezza; cera solo strazio. Lui le strinse la mano, ma lei non rispose alla stretta. Stava canticchiando la ninna nanna di Ginevra. Era un supplizio sentire quella cantilena. La strinse a sé mentre una consapevolezza faceva capolino nella sua testa: niente e nessuno avrebbe potuto riunirli, dopo quellamara rottura.
«Io Io Io non posso farlo.» biascicò lui, rimettendosi in piedi. Il viso di lei era paonazzo, confuso. Si alzò, legò il vestito e si sistemò alla belle meglio. Poi lo guardò negli occhi e iniziò a piangere. Lespressione dissoluta di poco prima aveva ceduto il passo a unangosciante senso di perdita.
«Perché piangi?»
«Piango perché sono io il problema. Sono sempre io.»
«In che senso?» la sollecitò lui, timoroso.
«Ogni volta che trovo un uomo, un uomo come te succede che io rovino sempre tutto! Che tu sia dannato, insieme a tutti gli altri miei demoni!» urlò con veemenza la giovane i cui occhi erano diventati due pozzi neri infernali.
«No, non hai capito affatto» disse lui, con dolcezza, prendendo il suo volto tra le mani. «Io la amo, e questo mi basta. La amo follemente, senza razionalità né giudizio. La amo perché è la madre della mia bambina.»
«Hai una figlia?»
Era sconcertata, disorientata. Nessuno le aveva mai detto che lui aveva una figlia.
«La avevo.» mormorò con un filo di voce lui. «Ma è sepolta sotto un metro e mezzo di terra.» aggiunse, mentre nei suoi occhi si ravvisava un guizzo di pazzia.
«Mi dispiace.» bisbigliò lei, cauta. Ecco perché quellaria perennemente angustiata.
«Me ne vado.»
«A domani.»
«A domani, sì.»
La lasciò lì, seduta in una scomoda poltrona, a pensare a quanto era stata stolta, ottusa. Si sentì sporca, immorale. Aveva sedotto per mesi un uomo che non voleva essere infastidito. E ora capiva perché. In quel momento le apparve chiaro come quella donna che lei guardava di nascosto andare a lavoro quella stessa donna che non si curava del suo sguardo, altezzosa e presuntuosa lo avesse in pugno. Per sempre.
6
Olivia mise a letto i bambini molto tardi, quella sera. Avevano passato lintera serata a giocare con i giochi portati dalla zia Sandi. Olivia aveva sempre insistito che la chiamassero zia, anche se non ne capivano a fondo il motivo.