Col cazzo che lo farò.
“Va bene,” rispose comunque.
Silas annuì, anche se non sembrava del tutto tranquillo. Chiuse la portiera e aspettò che Aaron le avesse bloccate tutte prima di andarsene. La sua figura scomparve rapidamente nell'ombra e Aaron lo perse di vista. I dieci minuti successivi si trascinarono in modo estremamente lento.
Quando la luce del portico si accese, Aaron rilasciò un respiro che non si ricordava neanche di aver trattenuto. Silas ricomparve nel suo campo visivo, alzando un pollice in direzione dell'auto.
Aaron afferrò in fretta i vestiti e la borsa e scese. Silas si offrì di portarlo di nuovo in braccio ma Aaron rifiutò, la sua dignità era stata già calpestata abbastanza per un solo giorno. Silas lo condusse in soggiorno e gli disse di mettersi comodo sul divano mentre andava a chiudere la macchina e il garage.
Pochi minuti dopo era di ritorno. “La tua macchina è al sicuro. Il sistema di allarme è inserito e tutte le porte e le finestre sono bloccate. I sensori in giardino sono attivi e lascio la luce del portico accesa, quindi sarà difficile sgattaiolare in casa senza venire scoperti. Sei al sicuro, qui.”
“Porno attore, dottore, esperto di sicurezza…” elencò Aaron.
“Sono un ex-militare,” gli spiegò Silas.
“Oh. Non ci avevo pensato. Esercito?”
“Una cosa del genere.”
Quello spiegava molte cose. “Eri un medico nell'esercito?” domandò Aaron.
“Sì.” Silas fece il giro del divano. “Posso avvicinarmi?”
“Certo.”
Silas si avvicinò, la testa inclinata e le sopracciglia aggrottate. “Vorrei darti un'occhiata,” disse. “Ma non so se ti aiuterei o peggiorerei la situazione. Sono abituato a trattare i traumi fisici. Con quelli psicologici non ho molta esperienza.”
Aaron appoggiò la testa contro l'imbottitura del divano. Era ancora avvolto nel giubbotto di Silas, e si stringeva il borsone e i vestiti contro il petto. Gli avvenimenti delle ultime ore stavano sul serio iniziando a pesargli addosso. Si sentiva in bilico tra intorpidimento e pazzia. Aveva voglia di urlare.
“Non voglio vomitare sul tuo divano,” disse.
“Penso che il tuo stomaco sia completamente vuoto,” rispose Silas. “Quando è stata l'ultima volta che hai mangiato?”
“Non ne sono sicuro,” mormorò Aaron. “L'altro ieri?”
“Gesù,” sospirò Silas. “Hai bisogno di mangiare… niente di pesante, ovviamente, ma il tuo corpo ha bisogno di energie. Ti consiglio di farti una doccia, o un bagno se ti senti troppo debole, poi vorrei visitarti e dopo ancora darti da mangiare.”
“Va bene.”
Silas lo guardò. “Posso accompagnarti in bagno?”
“Sì.”
'Sì, signore.'
Aaron si coprì il viso con le mani. Trenta docce non sarebbero state sufficienti neppure per iniziare a lavare via quello che era successo. Era sporco. Ma avrebbe dovuto imparare a conviverci.
Permise a Silas di trascinarlo in piedi e di accompagnarlo in bagno.
“Doccia o vasca?” domandò Silas.
“Doccia,” rispose subito Aaron. “Non voglio rimanere immerso nella sporcizia.”
Silas fece scorrere lentamente il pollice sulla spalla di Aaron, poi aprì l'acqua e controllò la temperatura. “Hai bisogno di aiuto per lavarti?”
Aaron guardò il pavimento piastrellato e sentì come se la sua testa fosse diventata troppo pesante per poter essere sollevata. “No,” borbottò.
“Sei sicuro? Ho già aiutato molti pazienti a lavarsi. Non ti farò del male.”
Aaron trattenne un singhiozzo. Avrebbe dovuto dare ascolto a Silas quando gli aveva detto che Ralph era rude. Avrebbe dovuto insistere per restare con Silas. Non avrebbe dovuto dare ascolto alla propria avidità. Avrebbe dovuto accontentarsi della riduzione di denaro ma stare bene.
“La safe word non ha funzionato,” sussurrò Aaron, con lo sguardo sempre rivolto al pavimento. “L'ho detta, ma…” Trattenne un altro singhiozzo. Il rumore della doccia in sottofondo gli rendeva più facile parlare, faceva sembrare la sua voce più leggera e distante.
“Sono dei mostri,” disse Silas. “Non avrei dovuto lasciarti solo con loro.”
“Come puoi lavorare con persone del genere?” chiese Aaron. Si pentì delle proprie parole appena le ebbe pronunciate. Silas non era un mostro. Non avrebbe dovuto accostarlo a loro.
“Ho lavorato con loro per due settimane,” rispose Silas. “Questa è stata la prima volta che li ho visti fare qualcosa di così brutto. Anche se probabilmente sparare al regista e al Dom di turno mi farà ricevere una lettera di licenziamento molto presto.”
Aaron rise. Quella risata lo fece sentire un po' meglio, come se gli avvenimenti di quel giorno avessero fatto un piccolo passo indietro.
Alzò lo sguardo su Silas, che gli rivolse un mezzo sorriso venato di tristezza prima di dire: “Devo confessare che sono in parte, se non del tutto, responsabile di quello che ti è successo.”
“Come può essere colpa tua?”
“Ripicca,” rispose Silas. “Dicono che ci metto troppo tempo e che le mie scene non sono convincenti. Ti hanno punito per punire me.”
“Ne dubito,” lo contraddisse Aaron. “Farley era già piuttosto incazzato prima che tu entrassi nella stanza.”
Silas sospirò. “Mi dispiace così tanto averti lasciato da solo con loro. Sapevo che non avrei dovuto farlo, ma l'ho fatto lo stesso.”
“Non è colpa tua,” disse Aaron. “Ti ho detto io di andartene.”
Me la sono cercata. È stata colpa mia.
Aaron tornò a fissare il pavimento.
La mano di Silas era ancora appoggiata sulla sua spalla. “Non gli permetterò di farti ancora del male.”
Aaron annuì, ma si allontanò dal suo tocco.
Silas lo lasciò andare. “Chiamami se hai bisogno di aiuto.”
“Lo farò.”
Senza aggiungere altro, Silas si voltò e lasciò la stanza, chiudendosi la porta del bagno alle spalle.
Capitolo Quattro
Minestra e Cappotto
Aaron strofinò il proprio corpo fin quasi a scorticarsi vivo. Il suo uccello era dolorante e l'acqua calda gli pungeva la pelle dove Ralph lo aveva colpito. Si appoggiò alle piastrelle e ruotò la manopola fino a quando l'acqua diventò quasi troppo calda e il vapore così denso da impedirgli di respirare. Il bruciore dell'acqua annullava il ricordo del dolore causato da Ralph. Nella propria mente cercò di convincersi che la sofferenza che provava era dovuta all'acqua bollente. La doccia era troppo calda. Era un dolore che poteva controllare.
Da solo, a occhi chiusi e sotto il potente getto d'acqua, la sua mente iniziò a vagare e gli sembrò quasi di essere a casa propria e che non fosse accaduto niente, come se le ultime ventiquattro ore non fossero mai esistite.
Quando uscì dalla doccia, la sua pelle era arrossata e dolorante. Si asciugò e vide che Silas aveva lasciato per lui due pile di vestiti sulla tavoletta del water. La prima comprendeva i suoi vestiti, quelli che aveva indossato per le riprese. L'altro mucchietto era sconosciuto, morbido e profumava di pulito. Optò per i vestiti nuovi. Era quasi certo che avrebbe bruciato i propri appena ne avesse avuta la possibilità.
Iniziò a vestirsi, poi però si ricordò che Silas aveva detto qualcosa sul dargli un'occhiata. Per qualche ragione che non capiva, il pensiero di vestirsi e poi spogliarsi davanti a qualcuno gli faceva paura. Si avvolse un asciugamano intorno alla vita e si piegò sul lavandino.
Un lieve bussare risuonò nella stanza. “Ti ho sentito chiudere l'acqua,” disse la voce di Silas. “Va ancora tutto bene?”
Per un breve, orribile momento Aaron desiderò aprire la porta con un calcio e picchiare Silas fino a farlo sanguinare. Un'altra domanda, un'altra frase piena di preoccupazione, un'altra implicazione che Aaron fosse troppo debole per comportarsi in modo normale… Poi, con la stessa rapidità con cui era apparsa, la rabbia sparì.
“Aaron?”
“Sto bene,” rispose. “Puoi fare in fretta a darmi un'occhiata?”