“Pietà,” singhiozzò.
“Povero ragazzo,” rispose Ralph. “Non è la mia safe word.”
Aaron non riuscì a capire se urlò ancora. Sentì una risata. Venne colpito con forza sulla schiena. Udì qualcosa sbattere, poi un forte scoppio. Sentì qualcuno gridare. Ralph ritrasse le dita.
Lo stomaco di Aaron si rivoltò ma strinse i denti. Girò la testa in direzione dello scoppio. Era arrivato dalla parte opposta della stanza, quella vicino alla porta. Provò a togliersi la benda dagli occhi ma non ci riuscì.
All'improvviso calò il silenzio.
“Spostati da lui,” ordinò una voce profonda.
“Hai distrutto la telecamera,” protestò Farley.
Ci fu un altro scoppio. Il peso sulla schiena di Aaron sparì di colpo.
“Tutti fuori,” disse la voce.
Aaron udì dei passi. Pochi secondi dopo la benda venne tolta di mezzo e Aaron si ritrovò a fissare dei familiari occhi azzurro ghiaccio. Il Dom di prima adesso era vestito e aveva un lungo cappotto gettato su una spalla.
Il Dom non perse tempo per fargli le classiche domande – “Stai bene?” “Sei ferito?” –, piuttosto lavorò rapidamente per slegarlo. Prima le mani, poi la barra divaricatrice. Infine gli liberò l'uccello. Aaron non osò guardare in basso.
“Torneranno tra poco,” disse il Dom. “Dobbiamo sbrigarci.”
Aaron annuì, sbattendo le palpebre davanti alle luci troppo intense della stanza. Si strinse lo stomaco con le braccia.
“Aggrappati a me,” ordinò il Dom con voce tuttavia gentile. “Ti aiuto io ad alzarti.”
Aaron fece come gli era stato detto. Le sue ginocchia tremavano come impazzite ma le costrinse a collaborare.
Il Dom si tolse il cappotto dalla spalla e lo avvolse intorno ad Aaron. Infilò la pistola nella cintura dei pantaloni neri, poi, con un movimento fluido, sollevò Aaron tra le braccia.
Anche col peso di Aaron, si mosse veloce. Si diresse a passo svelto e sicuro verso la porta. Lasciò andare il ragazzo giusto il tempo di raccogliere la borsa con i soldi dall'angolo in cui era stata appoggiata e i vestiti di Aaron. Gli mise tutto tra le mani, poi lo afferrò saldamente e lo riprese tra le braccia.
Alcune voci echeggiarono nel corridoio dietro di loro. Il Dom si mise a correre e Aaron si aggrappò con forza alle sue spalle. Aprì la porta d'ingresso con un calcio, uscendo nell'aria fresca della notte.
“Qual è la tua auto?”
“Quella nera. Laggiù,” rispose Aaron. Indicò una macchina parcheggiata poco distante.
“Le chiavi?”
Aaron frugò nella pila di vestiti che aveva in grembo e recuperò le chiavi. Il Dom lo appoggiò con gentilezza sull'asfalto e Aaron si strinse i vestiti al petto.
L'uomo gli aprì la portiera, poi si affrettò dal lato del guidatore e si mise al volante. Aaron non aveva neppure le forze necessarie per protestare.
Farley era già davanti all'ingresso dell'edificio, affiancato da Ralph e Dio solo sapeva chi altro.
Il motore si accese ruggendo e il Dom fece retromarcia premendo con forza sull'acceleratore. Procedettero all'indietro fino alla fine del vialetto, raggiungendo la strada principale in pochi secondi. Il Dom mise subito la marcia senza fermarsi neanche per un secondo.
Ce l'avevano fatta. Aaron si voltò indietro, osservando la facciata di quel luogo terribile sparire dietro gli alberi. Si lasciò sprofondare nel sedile.
Lanciò un'occhiata all'uomo che in quel momento stava guidando la sua auto, mentre sentiva l'adrenalina scorrergli con forza nelle vene. “Non so neanche come ti chiami,” mormorò.
“Silas.”
Aaron annuì. “Grazie, Silas. Sono in debito con te.”
Capitolo Tre
Al Sicuro
“Dove vivi?” chiese Silas.
Aaron si premette le mani sugli occhi. “Vai a casa tua. Tornerò alla mia da lì.”
“C'è qualcuno che può prendersi cura di te?”
Aaron deglutì a fatica. Robert doveva essere a casa, a meno che non fosse rimasto ancora al bar. Se davvero c'era un Dio in paradiso, lo avrebbe fatto rimanere ancora a lungo fuori casa per impedirgli di assistere alla caduta di Aaron.
“Lo prendo come un no,” disse Silas.
Aaron doveva aver impiegato troppo tempo per rispondere.
“Mio padre,” disse. “Vivo con mio padre.”
“È sicuro?” domandò Silas. “Si prenderà cura di te?”
“Non preoccuparti.” Si spostò sul sedile e il culo gli inviò una fitta. Il fantasma della mano di Ralph gli toccò la carne martoriata. “Accosta,” farfugliò.
“Che succede?”
Aaron si afferrò lo stomaco. “Accosta e basta,” ringhiò. Silas rallentò e fermò l'auto sul ciglio della strada.
Aaron spalancò di colpo la portiera e si sporse fuori. Aveva voglia di vomitare ma non c'era più niente da buttare fuori. Rimase chinato in avanti, ansimando in cerca d'aria.
Silas gli toccò una spalla e Aaron sussultò così forte che quasi cadde a terra.
“Aaron,” mormorò piano l'uomo.
“Non toccarmi,” ansimò Aaron. Sentiva le mani di Ralph ovunque sul proprio corpo.
'Bravo ragazzo.'
Aaron scese barcollando dall'auto, una mano ancora stretta intorno alla portiera. L'erba fresca e bagnata di rugiada gli accarezzò le ginocchia. Sentì la portiera dal lato del guidatore aprirsi e poi richiudersi.
Silas si inginocchiò in modo da avere gli occhi alla stessa altezza dei suoi. “Penso che dovresti andare al pronto soccorso,” mormorò.
Il pronto soccorso. Non era un'emergenza. Non era stato violentato. Si stava solo comportando come un bambino. Aveva soltanto bisogno di calmarsi. Aveva soltanto bisogno di smettere di tremare. “Sto bene,” rispose. Il suo stomaco sussultò di nuovo.
“Hai bisogno di farti vedere da un dottore.”
“Non posso farlo.”
Non posso permettere a nessuno di vedermi così. E che io sia maledetto se rischierò di farmi riconoscere da qualcuno all'ospedale.
“Allora lascia che ti porti a casa mia,” disse Silas gentilmente. “Ero un medico, una volta. Ma capisco se non ti fidi di me.”
Aaron finalmente riuscì ad alzare lo sguardo dal terreno.
Le sopracciglia di Silas erano aggrottate dalla preoccupazione. La sua espressione in qualche modo faceva sentire ancora più dolore ad Aaron.
“Ho bisogno di sapere cos'è successo – se ti hanno drogato e in che modo ti hanno picchiato – ma non voglio metterti a disagio.”
“Mi ha solo messo alcune dita nel culo e schiaffeggiato un po',” borbottò Aaron. “Ecco tutto. Non mi ha violentato.” Barcollò leggermente e strinse la presa sulla portiera. “Non è un grande problema. Sto solo reagendo in modo esagerato. Ogni tanto lo faccio. Probabilmente per attirare l'attenzione. Ignorami e basta.”
“Aaron.” La voce di Silas era ancora dolce ma adesso conteneva anche una punta di autorità. “Questo è un grosso problema.”
“Non lo è,” ribatté Aaron. Aveva la vista offuscata dalle lacrime e stava per piangere di nuovo, dannazione. Non si meritava di tornare a casa. Non si meritava suo padre o suo fratello.
“Riesci a rientrare in auto?” domandò Silas.
Aaron chiuse gli occhi e annuì.
“Hai bisogno di aiuto?”
Scosse la testa. Il minimo che poteva fare era riuscire ad alzarsi da solo. Si sollevò, sentendo le ginocchia tremare con forza, e si rimise seduto. Silas gli chiuse la portiera e prese di nuovo posto dietro il volante.
“A casa mia?” domandò.
“Sì,” mormorò Aaron.
Silas guidò velocemente. Quando raggiunse il quartiere in cui viveva, fece più volte il giro dell'isolato, dicendo che era il modo migliore per assicurarsi che nessuno li stesse seguendo. Dopodiché, si fermò in un vialetto e parcheggiò la macchina.
“Aaron,” lo chiamò, con voce ancora gentile, “ho bisogno che tu prenda le chiavi e ti sieda al volante con le portiere bloccate. Vado a controllare la casa e il giardino per assicurarmi che siamo davvero soli.”
“Non dovresti andare da solo,” disse Aaron.
Silas sembrava quasi offeso. “Ti giuro che andrà tutto bene.” Gli consegnò le chiavi e prese la pistola. “Se vedi qualcosa di sospetto o qualcuno che non sono io avvicinarsi, non aspettarmi: guida il più lontano possibile e il più velocemente possibile, senza guardarti indietro.”