La campagna era rovinata e distrutta dalla devastazione delle battaglie precedenti. Allora il vittorioso esercito tedesco aveva marciato in Francia, credendo che avrebbe raggiunto Parigi prima del Natale del 1914, solo per essere fermato e rimandato nelle posizioni difensive che costituirono l'inferno del massacro moderno delle trincee.
La linea degli uomini che arrancava faticosamente verso la propria patria non aveva luci se non i piccoli bagliori rossi delle poche sigarette che alcuni fortunati erano riusciti a mantenere asciutte. Quando la luce era troppo poca per essere in grado di vedere dove li stavano portando i loro passi incerti, si fermavano per la notte e si distendevano, cercando disperatamente di scaldarsi davanti ai fuochi inadeguati composti dai pochi rami secchi che erano in grado di trovare nei boschi e nelle case distrutte che incontravano nel tragitto. Molti di loro morirono, silenziosamente, senza clamore – quasi sollevati dall'essere riusciti a sfuggire all'insostenibile orrore della loro ritirata.
Alla fine, attraversarono il confine tedesco e raggiunsero i punti di ritrovo dove i cittadini tedeschi, i loro compatrioti che sembravano ben nutriti e in salute, reagirono con orrore per il loro stato. I più fortunati furono finalmente in grado di lavarsi e di pulirsi un po' nei punti di raduno costituiti nelle città, dove i dottori lavorarono tra il terribile odore delle ferite in suppurazione. Le ferite furono curate, gli arti in cancrena furono amputati e fu deciso per alcuni se valesse la pena proseguire oltre. Per i fortunati ci furono i treni pronti a portarli verso le loro case. Kurt prese uno di questi. Osservò la campagna che attraversavano che a poco a poco cambiava, mostrando sempre meno la traccia della ferocia della guerra e dei notevoli movimenti di uomini che avevano calpestato la sua bellezza tra il fango. Alla fine, fuori dalla zona di guerra, passò attraverso le meravigliose foreste della Germania centrale verso la sua casa in Baviera. Arrivò a un centro di accoglienza poco prima della fine della guerra, nel novembre del 1918. Lì fu ufficialmente congedato e, dopo una sessione di “spidocchiamento”, gli fu suggerito di tornare a casa.
Prima della guerra, aveva vissuto nella casa dei suoi genitori nella città di Neubeuren, in Baviera, e insegnato inglese presso la scuola locale. Sfortunatamente i suoi genitori erano morti durante la guerra e il contratto d'affitto della casa era scaduto. Quando ci tornò, non solo non aveva i soldi per l'affitto ma quando chiamò l'ufficio del proprietario, quest'ultimo piuttosto bruscamente lo informò che la casa era stata data in affitto a un'altra famiglia.
“Ma noi abbiamo sempre vissuto in quella casa!” protestò.
“Non posso farci nulla, non avete pagato l'affitto per più di un anno e io i soldi non li fabbrico.”
“Ero via, a combattere. Sicuramente poteva aspettare. Perché non mi ha scritto per dirmi quello che era accaduto?”
“Ho scritto. Non è colpa mia se la lettera non le è arrivata. Ho supposto che lei fosse stato ucciso.”
Kurt imprecò ma non riuscì a persuadere il proprietario. “Lei ne ha a bizzeffe!” disse, “Tutto quello che voleva era prendere i nostri soldi. Bastardo giudeo! Mi vendicherò.”
Il proprietario rise. “Ah sì? Tu e chi altro? Vattene torni da dove è venuto.” Fece per sbattere la porta in faccia a Kurt, ma lui mise in mezzo il piede. “E le nostre cose? Tutti i nostri mobili e il resto – cose ne è stato?”
“Andati – venduti per pagare l'affitto.” Scalciò il piede di Kurt e chiuse con forza la porta.
Kurt se ne andò, imprecando tra sé. Quando passò davanti all'hotel del paese vide un annuncio in vetrina per un posto da vicedirettore. Entrò e andò alla reception dove una giovane donna dall'aria annoiata lo squadrò, notando la sua uniforme consunta e il suo aspetto sciatto. Non si era fatto la barba per molti giorni e non si era fatto un bagno da quando era arrivato nel centro di accoglienza in Baviera.
“Sì?” disse.
“State cercando un vice direttore.”
Lo guardò di nuovo. “Credo che il posto possa già essere stato preso,” disse, allontanandosi da lui per evitare l'odore del suo corpo.
“Guardi, ho veramente bisogno di un lavoro. Mi dispiace molto per il mio aspetto. Sono appena tornato dal fronte. É sicura che sia già stato preso?”
Sembrò un po' più comprensiva e prese il telefono per chiamare il direttore. “C'è un soldato qui, alla ricerca di un lavoro.”
Ascoltò la risposta. “Sì, glielo ho detto – ma è piuttosto insistente.” Una pausa, “Sì, capisco. Glielo dirò.”
Coprì il microfono. “Il signor Klein dice che l'unico lavoro che ha è quello di facchino.”
“Lo prendo” esclamò Kurt.
“Dice che lo prenderà,” un'altra pausa, “no, certo che non glielo ho offerto.” Pausa. “Chiederò.”
“Quale è il suo nome, signor…?”
“Müller, Kurt Müller.”
Il suo tono cambiò e lo guardò più attentamente. “Müller? Kurt Müller?” Lui annuì. “Non si ricorda di me? Ero nella sua classe – Paula Dietrich?”
“Paula?” cercò di ricordare. “Paula Dietrich. Certo. Ora mi ricordo” mentì.
Lei si allontanò e parlò a bassa voce al telefono. Poi si girò di nuovo verso di lui con un sorriso. “Il signor Klein la vedrà ora.” Indicò una porta dall'altra parte della lobby dell'hotel.
Klein si dimostrò un uomo comprensivo, un ex soldato che era stato troppo vecchio per combattere in guerra ma che capiva la disperazione di Kurt. Fu molto dispiaciuto. “Temo, signor Müller, che non abbiamo realmente nulla di adatto per un uomo delle sua istruzione,” Kurt sembrò abbattuto. “Tuttavia, se lei è pronto a prendere il lavoro, Paula ha dato una buona referenza su di lei e il lavoro è suo. La paga non è alta – anche se può avere delle buone mance. I pasti sono inclusi e c'è una piccola stanza da letto per lei se ne ha bisogno. Abbiamo parecchi inglese e americani che vengono qui in questo periodo e aiuterebbe avere qualcuno che parla inglese.”
Mostrò a Kurt la piccola stanza che sarebbe diventata la sua nuova casa. “Si sistemi. C'è un bagno alla fine del corridoio e farò in modo che Paula le trovi una uniforme e le spieghi i suoi compiti.”
Kurt si tolse la sua giacchetta lurida, si sedette sul piccolo letto che occupava la maggior parte della stanza, e iniziò a togliersi i suoi scarponi consumati e i suoi pantaloni logorati. Sentì bussare alla porta e Paula, senza aspettare una risposta, entrò portando una uniforme da facchino, un asciugamano e del sapone.
Kurt si era alzato e i suoi pantaloni erano caduti a terra. Li rimise velocemente su mentre Paula guardò da un’altra parte. “Mi dispiace,” disse lei, “Non pensavo…”
“Va tutto bene. Grazie,” disse Kurt formalmente. Prese gli oggetti che gli erano stati offerti e Paula, con un’ultima occhiata, lasciò la stanza.
Lavato e sbarbato, Kurt indossò la sua nuova uniforme e si diresse verso la lobby dell’hotel per iniziare il suo nuovo lavoro. Oltre a Paula c’erano cameriere, cuochi e un altro facchino che lavorava su un turno differente. Doveva stare fuori dalla porta, salutare i nuovi ospiti quando arrivavano, prendere i loro bagagli, condurli alla reception per il check-in, poi doveva portare i bagagli nelle loro camere e mostrar loro tutto quello che c’era.
Era l’unico impiegato che parlava un buon inglese e presto divenne indispensabile per il suo direttore. “Paula mi ha detto che è stata in una delle sue classi” gli disse un giorno. “Il suo inglese non è molto buono. Crede che potrebbe darle delle lezioni? Sarebbe di grande aiuto se Paula fosse in grado di parlare ai nostri ospiti nella loro lingua.”
“In realtà non me la ricordo molto bene,” ammise Kurt, “ma posso provare. L’ho sentita parlare con gli ospiti inglesi e sta massacrando la lingua!”