“In un certo senso, sai” vide la sua espressione e si affrettò “beh, in realtà, di sposarmi.” Le parole uscirono di getto, “So che non sono un granché, mezzo storpio, un po' svitato, piuttosto timido e realmente goffo ma credo veramente che potremmo stare bene insieme, se capisci cosa voglio dire.” Mentre lo diceva aveva rivolto lo sguardo verso il pavimento completamente a disagio. Sentì lei venire verso di lui e sollevargli il mento per guardarlo negli occhi. Fu sorpreso di vedere le lacrime nei suoi occhi e, allo stesso tempo, una grande sorriso sul suo volto.
“Stupido, certo che lo voglio. Lo aspetto da una vita. Se tu non me l'avessi chiesto ho pensato che avrei dovuto chiedertelo io il 29 febbraio del prossimo anno!”
"Veramente? Sul serio? Accidenti, grazie… voglio dire, caspita, non posso crederci!" i suoi modi cambiarono completamente e la prese tra le braccia proprio quando entrò il suo superiore.
“Oh, mi dispiace interromperla, ma potrebbe mettere giù la sua segretaria per un attimo, vorrei parlare del suo viaggio. Se riesce a trovare il tempo, va bene?”
Si separarono e Margaret uscì dalla porta. Ernest sembrava imbarazzato quando il comandante la guardò uscire. “Forse le congratulazioni sono all'ordine del giorno?”
Il sorriso di Ernest diceva tutto, “beh, sì, in realtà, si. É che…”
“Amico non serve dire altro. Quando sarà sceso dalla sua nuvola venga nel mio ufficio, va bene?”
Pochi mesi dopo che fu firmato il trattato di Versailles, all'inizio del 1920, in una fredda giornata di febbraio dopo essere tornati a Londra, Ernest e Margaret si sposarono nella chiesa del padre di lei con una tranquilla cerimonia. John Smith fu il suo testimone e Pauline la sua damigella d'onore. Si trasferirono nella casa dei genitori di Ernest a Deal dopo una breve luna di miele in Galles ed Ernest fu in grado di organizzare un trasferimento presso la base navale di Dover dove proseguì il suo lavoro.
Alla fine dell'anno nacque il loro primo figlio, Godfrey, seguito, diciotto mesi dopo, da una bambina, Elizabeth.
Capitolo 3
Germania 1918-1920
Kurt Müller era imbarazzato. Seduto in un'ambulanza piena di soldati feriti che si lamentavano, provò vergogna per il fatto che la sua ferita fosse così insignificante. Anche la sensazione di sollievo per il fatto di abbandonare le linee tedesche che stavano rapidamente per crollare non era sufficiente per lenire la sua vergogna.
Era stato in prima linea sulla Somma per circa dodici mesi dopo essersi offerto volontario per servire la sua patria anche se era un po' più vecchio della media dei soldati. A quel tempo, lui e i suoi compagni avevano subito una vera batosta dagli Alleati che, insieme alle truppe americane, attaccavano le loro linee da sottoterra con mine terribili e dall'alto con i carri armati resistenti al fuoco delle mitragliatrici che il suo plotone aveva usato con così grande successo in passato per falciare gli attaccanti che attaccavano a piedi.
Il suo lavoro specifico era stato quello di riparare le mitragliatrici quando si inceppavano. Quando si era unito alle truppe, l'ufficiale di reclutamento gli aveva chiesto se aveva qualche abilità particolare, e lui aveva risposto che era bravo a riparare gli orologi.
“Riparare orologi? A che ci serve? Gli ufficiali qui hanno orologi per dir loro quando coordinarsi e sferrare gli attacchi ma, a parte questi, non ci sono altri orologi.” Ci pensò un attimo. “Ci sono, forse potrebbe riparare fucili? Le nostre mitragliatrici si inceppano sempre e ci serve un esperto in grado di aggiustarle se i fucilieri non sono in grado di capire cosa c'è che non va.”
Quindi a Kurt era stato fatto un breve addestramento sulla mitragliatrice standard MG 08, l'arma mortale usata dall'esercito tedesco. L'arma era fondamentalmente affidabile, ma qualche volta i proiettili si inceppavano e, anche se i casi semplici potevano essere risolti dai fucilieri, qualche volta i problemi erano più gravi e c'era la necessità dell'intervento di uno specialista.
La settimana precedente al suo viaggio in ambulanza, mentre riparava del filo spinato appena al di là delle loro postazioni, si era procurato un taglio profondo. Anche se l'aveva pulito e bendato, l'acqua non era chiaramente pulita abbastanza e la ferita si era infettata a tal punto che uno dei medici militari aveva deciso di mandarlo indietro per farla pulire adeguatamente altrimenti avrebbe rischiato la sepsi. Nulla fu in grado di dissuaderlo e così Kurt ora si ritrovava nella invidiabile posizione di allontanarsi dalla battaglia con uomini "veramente" feriti.
La linea tedesca si stava sfaldando. Gli eserciti alleati erano in condizioni mentali migliori e di gran lunga meglio equipaggiati da quando gli americani erano entrati in guerra, mentre lui e i suoi commilitoni erano decisamente prostrati. La Germania stava perdendo e i suoi eserciti erano sistematicamente costretti verso la linea di Hindenburg – che segnava il confine del territorio tedesco prima della guerra. Kurt, sebbene si rendesse conto che il suo contributo sarebbe stato insignificante, voleva disperatamente dare una mano per salvare la sua amata patria dalla sconfitta. Come molti dei suoi commilitoni, sentiva che i leader tedeschi, si erano imbarcati in una guerra folle, avevano rovinato il loro grande esercito, e ora si stavano preparando a tradirli con una resa vergognosa.
Il dottore che si occupò della sua ferita fu comprensivo con il suo desiderio di tornare al fronte. "Capisco perfettamente come si sente, Unteroffizer, ma non credo che rimandarla indietro sia di aiuto per qualcuno. Non sappiamo neppure dove sia la linea ora e, inoltre, se torna indietro, è molto probabile che contrarrà una setticemia che la ucciderebbe in modo molto più efficace di un proiettile inglese!"
"Cosa posso fare? Si aspetta che me torni semplicemente a casa e mi dimentichi la guerra?"
"Date le circostanze, sì, sarebbe probabilmente la scelta migliore. Torni a casa."
Kurt fu caricato su un treno che portava i feriti in Germania. Si mosse a singhiozzo per alcune miglia, poi si fermò a un binario di incrocio per far strada a un treno che andava nella direzione opposta e che trasportava giovani dall'aria spaventata verso il massacro. Alla fine, fu ordinato di scendere sui binari. “Ora dovrete camminare; questo treno è stato requisito.”
“Da chi?”
“Dal quartier generale; devono preparare una nuova sede e devono portarci la loro roba.”
Kurt e gli altri uomini feriti in grado di camminare furono fatti scendere e lasciati a trovare la strada del ritorno per conto loro, mentre gli odiati generali e il loro staff viaggiavano comodamente allontanandosi dalla battaglia. Si unì al gruppo di uomini abbattuti, che si trascinavano verso casa, infreddoliti e affamati. Uomini accecati dai gas – spesso i loro stessi gas rimandati indietro quando il vento cambiava – con gli occhi coperti da bende sporche, erano guidati da uomini che vacillavano sulle stampelle o con le braccia che erano state strappate dai loro corpi. Uomini feriti meno gravemente che potevano camminare, come Kurt, furono costretti a trasportare barelle con uomini feriti in modo orribile che erano distesi a lamentarsi nella loro agonia. Molti morirono semplicemente senza emettere un suono e i loro portantini se ne resero conto solo più tardi, dopo aver trasportato un peso morto per chilometri. I loro corpi furono lasciati per strada, per essere raccolti in seguito, forse. Tutti erano sudici. Gli scarponi stavano andando a pezzi e molti degli uomini furono obbligati a zoppicare a piedi scalzi sul terreno dissestato. Il suono dei loro movimenti strascicati era accompagnato da una corrente sotterranea di sofferenza umana mentre le urla dei feriti si mischiavano in un'armonia infernale di dolore e sconforto.