Ernest arrossì e balbettò ma Margaret gli mise una mano sul braccio “non si senta imbarazzato, sto solo scherzando. Ho trascorso una piacevole serata, grazie.”
Nel corso delle settimane successive, cenarono assieme alcune volte, talvolta con Smith e Pauline, altre solo loro due. Andarono a qualche spettacolo o in qualche bar ad ascoltare del jazz dal vivo, una musica che entrambi amavano. Una di quelle sere, dopo un concerto jazz a particolarmente buono, Ernest propose che andassero nel suo appartamento a bere un caffè.
“E la tua portinaia?” chiese Margaret.
“Dovremo solo intrufolarci silenziosamente.”
Camminarono lungo la strada verso l'appartamento. Ernest lentamente prese la mano di Margaret e sentì lei stringergli le dita e appoggiare la sua testa sulla sua spalla. Arrivati al condominio, Ernest silenziosamente estrasse la chiave, la mise nella serratura e la girò per aprire la porta. Lentamente la spinse e, con un cigolio, si aprì. Entrarono e salirono le scale fino al suo appartamento. Aprì la porta e fece entrare Margaret.
Lei si sedette su una piccola sedia vicino a un tavolino mentre Ernest si mise a preparare il caffè. Le offrì un brandy, ma lei rifiutò. Lui portò il caffè sul tavolo e si sedette sull'unica altra sedia presente nella piccola stanza.
“Piuttosto piccolo, no?” disse Margaret.
“Sì, fortunatamente non passo molto tempo qui e perciò non ha molta importanza. É grande abbastanza per me.”
Margaret guardò il piccolo scaffale pieno di libri vicino al letto. “Oh, ti piace Flaubert?” disse.
“In realtà no – sto solo provando a interessarmi. Il mio francese non è in realtà così buono, temo.”
“Mi piace Madame Bovary – molto romantico.”
“È tragico – questo in realtà mi scoraggia, troppo cupo.”
“Perché?”
“C'è stata anche troppa sofferenza recentemente, senza dover leggere della povera Madame B che si avvelena.”
“Hai avuto una guerra così terribile?”
Raccontò a Margaret dello Jutland, e di come a poco a poco si era rimesso dalle ferite, “ma ancora mi sveglio di notte sudando freddo e vedendo quei poveri marinai avvolti dalle fiamme.” Sussultò.
Margaret si alzò e andò dietro alla sedia di Ernest. Dopo avergli messo gentilmente le braccia attorno al collo, gli sussurrò “povero caro. Che orrore. Vorrei poterti aiutare.” Poi sussurrando dolcemente come se fosse un bimbo piccolo lo fece dondolare lentamente.
Ernest sentì la sua tensione sciogliersi e le lacrime inondare i suoi occhi. Improvvisamente non fu più in grado di trattenerle e cominciò a piangere. Piegandosi sulle braccia di Margaret si lasciò andare. Il suo dolore e la sua sofferenza emersero e si arrese alle sue carezze gentili e comprensive mentre lei gli sussurrava, “qui, qui, amore mio, sono qui, mi prenderò cura di te.”
Dopo pochi minuti, ritornò in sé. Mise le sue mani sulle braccia di Margaret e gentilmente le spostò. Girandosi, prese il suo viso tra le mani e si baciarono dolcemente.
Lei si allontanò e guardò l'orologio vicino al letto. “Oh, è già quest'ora? Devo andare – chiudono la porta dopo mezzanotte.”
“Ti accompagno.”
“No, tesoro, va bene. Ti vedrò domani. Ma faremo meglio a vederci fuori di qui, non vogliamo che la tua portinaia si faccia un'idea sbagliata!”
La aiutò a mettersi la giacca e scesero le scale in punta di piedi. Ernest aprì la porta e lei uscì dietro di lui. Quando fu per strada si girò e gli diede un bacio molto dolce sulla fronte. Lui fece per tirarla verso di sé ma lei gli mise un dito sulle labbra e dolcemente lo allontanò. “Buona notte, amore mio” disse prima di girarsi e andare verso casa.
Il mattino successivo si incontrarono, sentendosi un po' come degli scolari disubbidienti. Esternamente lavoravano come prima, ma il loro segreto era chiaro per gli amici e per i colleghi nonostante tentassero di nasconderlo.
A Ernest e Smith venne detto di andare a Londra per parlare del lavoro fatto a Scapa Flow per smantellare la flotta tedesca. Smith organizzò affinché prendessero un ferry da Dieppe, poi un treno per Londra, ma Ernest lo convinse che avrebbero dovuto volare di nuovo. Il pensiero di andare per mare lo terrorizzava ancora. Fecero lo stesso itinerario che Ernest aveva già fatto e si registrarono in un hotel a Westminster.
A cena quella sera, Smith era ansioso di scoprire di più su Ernest e Margaret. “Tu e Maggie sembrate essere diventati piuttosto amici” osservò.
Ernest si ritrovò ad arrossire. “Sì, è una gran brava ragazza.”
“Gran brava ragazza? Tutto qui? Sembra che tu sia piuttosto preso da lei.”
“Oh, non so. Siamo usciti alcune volte, è una buona compagnia.”
“Dai Ernest, è al tuo amico che stai parlando.”
“Va bene. É stata un vero toccasana. Avevo questi incubi orribili e sembra che mi abbia aiutato a scacciarli.”
“Ragazza notevole. Perciò avete dei progetti, no?”
“Progetti? Non direi – non abbiamo parlato di quello.”
“Quello?”
Ernest rimase in silenzio.
“Ernest, tu hai bisogno di un consiglio da un amico e io te lo darò. Spero che dopo saremo ancora amici” Smith fece una pausa. “Maggie è una ragazza meravigliosa, lo so io e lo sai anche tu. É anche follemente innamorata di te” Ernest fece per interromperlo ma Smith lo bloccò. “Non interrompermi: innamorata” sottolineò, “e credo che tu provi lo stesso per lei. Ora potresti andare a caccia per anni e non trovare nessuno di più adatto per te. Perciò il mio consiglio è, solleva la questione. Non te ne pentirai, te lo prometto.”
“Innamorata, veramente?” Ernest non fu grado di trattenere un sorriso di piacere a sentirlo. “Come lo sai?”
“Ernest Jenkins, Tenente comandante Jenkins, devi pensare che siano tutti ciechi. Il modo in cui vi guardate, è chiaro come il sole.”
“Ma se hai torto e glielo chiedo, sarebbe troppo imbarazzante.”
“Segnati le mie parole, giovane Ernest, non andrà male.”
Dopo il loro incontro presso l'ammiragliato ritornarono a Parigi. Ernest andò nel suo ufficio il giorno successivo e, quando vide Margaret arrivare, il suo cuore sobbalzò. Arrossì e guardò da un'altra parte. “Ciao straniero” disse, “bel tempo a Londra?”
Lui parlò di un incontro produttivo, di molte informazioni da apprendere, di relazioni da scrivere e di lavoro da fare.
Lei sembrò un po' mortificata. La stava trattando come una segretaria più che come quell'amica che pensava fosse diventata. Scoraggiata dai suoi improvvisi modi freddi, divenne brusca e professionale, porgendogli la posta che era arrivata mentre era stato via e chiedendogli se c'era qualcosa di particolare che voleva che lei facesse.
“No, nulla per il momento. Ho lasciato alcune lettere in uscita, forse potresti batterle a macchina?”
Lei lasciò la stanza confusa e un po' arrabbiata. Si sedette alla sua scrivania e provò a lavorare, ma il suo tono sbrigativo l'aveva realmente turbata e decise di mettere le cose in chiaro con lui. Arrivò un messaggero con un appunto per lui e lei lo portò nel suo ufficio chiudendo la porta dietro di sé.
“Ernest, cosa è successo? Cosa c'è che non va? Sembri così freddo. Ho fatto qualcosa che ti ha turbato?”
“Turbato? No, certo che no.” Sembrava completamente a disagio. “É solo che,” fece una pausa, goffamente, “É solo che devo dirti qualcosa.”
“Dirmi qualcosa? Cosa? Cosa diavolo stai dicendo? Non mi dirai che sei sposato o qualcosa del genere, vero?”
“Sposato? No!”
“Bene, allora, vuoi dirmelo? Cosa è successo?”
“Solo che, sai, solo che… Beh, sai.”
“Non lo so, Ernest” stava cominciando a diventare rossa, irritata.
“Beh, va bene. Ho pensato. Ci piacciamo, no?” Lei annuì con cautela. “Beh, bene. Sì. La cosa è, mi sono domandato se, forse, potresti considerare…”
Fece di nuovo una pausa, arrossendo. Lei iniziò a picchiettare con il piede piuttosto irritata. “Considerare cosa? Un trasferimento, il prezzo delle prugne, la situazione mondiale – cosa?”