Alessandra Grosso - Scala E Cristallo стр 4.

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appoggiato la sua mano callosa e lunga sulla spalla e aveva

sussurrato di non preoccuparmi, che tutto si sarebbe sistemato

e che mi capiva, mi consolava e sapeva quanto fosse stato

difficile per me il mio percorso. Già, lungo il mio tragitto

emotivo vi erano sterpaglie e spine, e i miei piedi erano

pieni di vesciche. Moralmente ero molto abbattuta.

Lui sapeva cosa stavo passando. Era stato capo partigiano,

aveva lottato contro loppressione di Mussolini. Amava la

libertà e proprio questo nome gli era stato dato: si chiamava

Libero. Era libero, era aeriforme; era uno spirito oramai,

dopo che nel 1996 un infarto se lo era portato via,

improvvisamente e velocemente.

Così in fretta che non avevo avuto il coraggio di vederlo

nella camera mortuaria.

Tuttavia ora era davanti a me, come lo ricordavo: ancora

olivastro, sempre attivo, e con la preoccupazione di vedere la

nipote diventare rapidamente una giovane donna.

Già, una donna, dentro di me sarei diventata una donna. Mi

sentivo innocente e ingenua, ma sapevo che molte cose

avrebbero dovuto ancora capitarmi, che la vita era lunga e

piena di assilli, di fastidi.

Dicono che per ogni nostro talento, Dio ci fornisca una

frusta. La frusta è data per lautoflagellazione e

questultima ha un nome: per me, si chiama sensi di colpa.

I sensi di colpa mi avevano sempre provocato gli incubi,

e, infatti, essere sempre stata, durante la mia vita, molto

comprensiva con i bambini, mi aveva portato al successivo

incubo a occhi aperti.

Le pupille vedevano materializzarsi un bambino che mi

inseguiva, ma non era un bambino sorridente: aveva le unghie e

i denti, zanne che potevano mordere e strappare. La piccola

creatura poteva lacerarmi. Piangeva ma il suo pianto era quasi

un raccapricciante latrato, e io ne ero terrorizzata, sudavo e

tremavo. Ero sempre stata emotiva, infatti mi rappresentava

bene la descrizione del feeler, in questo caso spaventato.

I feeler sono emotivi ed empatici. Amano la vita

tranquilla, i sorrisi e i bambini; affetti dai sensi di colpa,

si ritirano a guscio dentro se stessi.

Io non potevo ritirarmi dentro me stessa perché il bambino

inferocito mi inseguiva e piangeva, urlava come lululare del

vento.

Avevo paura di affrontare la bestia e la mia innocenza che

non avevo preservato. Non avevo salvato quello che avrei

dovuto salvare e la mia coscienza mi perseguitava e mi

inseguiva, e io non potevo fare niente se non scappare, ancora

una volta.

Non avrei avuto il cuore di prendere a pugni un bambino,

così correvo, ma mi ritrovavo a correre con degli stivali dai

tacchi scomodi. Questi mi provocavano un dolore sordo a ogni

passo, mi laceravano tormentandomi la pelle e mi aprivano

velocemente vesciche. Erano un tormento senza fine.

Poi caddi sui gomiti e presi ad avanzare con ancor più

fatica sul pavimento di legno marrone scuro, scivoloso e

ostile, gelido come gli occhi del bambino che mi inseguiva.

Sapevo di meritarmeli, quegli occhi, non avevo difeso

abbastanza i bambini nella vita, non li avevo amati abbastanza

e attraverso questo ennesimo mostro loro tornavano a farmi

visita. Una visita amara ma costruttiva: dovevo pagare il

prezzo dei miei errori ed ero pronta a riconoscerli.

Dopo quellinseguimento ci fu unaltra sconvolgente

visione: una bambina che rimbalzava contro i muri e io non

riuscivo a evitare che si facesse male. Era scivolosa, coperta

di olio, e cambiava direzione. Era imprevedibile.

Rappresentava esattamente la confusione che avevo dentro.

Non sapevo se proteggere lei o salvare me stessa dal

mostro che mi stava ancora inseguendo, il bambino che ululava

chiedendomi perché, tentando di ghermirmi e chiamandomi MAMMA.

Spaventosa parola per me che, sebbene ami i bambini, non

ho mai considerato seriamente la possibilità di essere mamma e

di costruirmi una famiglia. Lho sempre vista come una cosa

lontana nel futuro, lontana da me, limitante per la mia

personalità e anche, odio doverlo ammettere, distruttiva per

il corpo femminile così delicato. Teneri sono i bambini che

hanno bisogno di cure, e ogni volta che vedevo le figlie delle

mie amiche muovere i primi passi mi aggiravo pensierosa,

temendo che la peste di turno rompesse qualcosa o si facesse

male; poi ci sono bambini e bambini. Ci sono bambini che non

nascono normali.

Voglio dire, tutti abbiamo la nostra individualità, ma ci

sono bambini che maltrattano gli animali e questo è un primo

segno preoccupante. Molti serial killer da piccoli

maltrattavano gli animali, ed era proprio il caso del bambino

che mi rincorreva in quel posto sudicio, quella baracca

legnosa piena di celle.

Percepivo dalla sua violenza, dal modo con cui rompeva le

cose, che non aveva ricevuto amore, ma sentivo anche che il

seme del male era insito in lui: era stato abusato e ora si

divertiva ad abusare. Era il male che si spargeva come una

malattia che non lasciava scampo, che ti rincorreva e che

avrebbe finito con il distruggerti lentamente soltanto

toccandoti. Era angosciante e sempre presente. Non potevo

continuare a scappare, dovevo reagire, tuttavia non sentivo

ancora le gambe sufficientemente forti, anche se, prima o poi,

una decisione doveva essere presa.

La decisione era vitale, non potevo lasciare che il

bambino mi distruggesse, ma dovevo anche fermare la bambina

che continuava a scivolarmi e a rimbalzare contro i muri.

Dovevo studiare un piano, una strategia per rendere

innocuo il mostro e salvarla.

Nel frattempo mi facevano anche male le spalle: era una

mia tipica reazione allo stress.

La tensione nervosa, per esempio, prima degli esami

alluniversità, mi portava a contrarre i muscoli delle spalle

con risultati pessimi per le scapole e per i muscoli

cervicali.

Tuttavia dovevo fare qualcosa, dovevo dannatamente fare

qualcosa.

Mi spostai, in modo che la bambina non sbattesse contro il

muro ma contro di me; speravo che dopo un po di tempo con

linerzia si sarebbe fermata. Le lacere corde che la

brandivano erano disarticolate, in parte spellate e non

integre; tuttavia erano resistenti. Tentai di tagliarle con il

temperino preso dalla mia sacca, ma lei tendeva a sfuggirmi di

mano ed era molto viscida a causa dellolio spesso e

impenetrabile. Una sostanza oleosa simile al bitume.

Era scuro e quellimpresa mi causava fatica. Mi sentivo

osservata dal bambino che mi stava rincorrendo, sentivo i

brividi sulla schiena e temevo la morte in ogni instante, in

ogni mio singolo respiro Il bambino era la mia coscienza e

non mi dava pace.

La coscienza è quella cosa che tiene sveglio di notte e ti

fa osservare a lungo un soffitto sempre uguale.

Ti fa percorrere passato e futuro in un attimo, vedi tutta

la vita in un attimo e poi devi decidere, devi decidere

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