Alessandra Grosso - Scala E Cristallo стр 3.

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quasi senza luna, con un cielo nero e a tratti reso incombente

e aggressivo dalle nuvole. Le nuvole avevano la forza di un

ghepardo per le tinte che si avventuravano sui muscoli

dellanimale con inquietanti sfumature rosse.

E vidi tutto. Vidi un tirannosauro che vagava davanti a

me, mentre lo osservavo nascosta in quella sorta di balcone

naturale.

Scesi da lì solo durante il giorno e mi sentii più forte,

pronta a vedere altri mostri e a perlustrare per capire la

vera natura delle cose: la mente era aperta a ogni

eventualità, a vedere altre strane creature e a captare altri

strani sogni.

I sogni erano stati tutto per me, lo sfogo di tutti i miei

desideri; erano la percezione delle cose addirittura prima che

accadessero, la percezione del no alla mia richiesta di aiuto

verso un amico amato che non mi aveva capito come essere

umano.

Avevo sognato questa negazione di aiuto, ma con la mia

natura testarda e coraggiosa ero andata contro quello che

avevo percepito, e avevo continuato. Avevo sbattuto la porta

perché non avevo ascoltato la mia naturale e sensibile voce

interiore. Lavvertivo fin dalla tenera infanzia, ma ne avevo

preso coscienza da poco, solo da adesso che scappavo dai

mostri o li combattevo.

Presi a camminare per una valle che si inerpicava, foglie

di quercia rossa ovunque. Era autunno, le foglie si staccavano

dagli alberi, profumo di pioggia appena caduta, di muschio

selvaggio.

Vicino a me un ambiente ovattato, dove finalmente potevo

accendere un fuoco per riscaldarmi. Fortunatamente nella sacca


avevo ancora la mia riserva di carne essiccata; preparai il

fuoco e mi misi comodamente a campeggiare. Poi mi coricai a

pesare la notte.

La notte fu lunga e sognai di viaggiare per i mari su

goffi battelli.

Al risveglio, la brina e poi gocce di rugiada. Doveva

essere metà settembre e le foglie avevano creato uno strato di

diversi centimetri dove i miei stivali sprofondavano.

Erano stivali femminili, comodi, e avevano leleganza dei

vecchi stivali da cowboy. Il loro pensiero attenuava le

riflessioni sulla solitudine, la puntura fredda e profonda

della nostalgia e i pensieri intimi e tristi. Era proprio

questa intimità che sentivo nel profondo di quella strana

foresta di quercia rossa, dove le foglie cadevano ed erano

rosso sangue.

Tuttavia mi sentivo seguita, spiata.

Questa sensazione di essere spiata, la percezione che

qualcosa di oscuro si stesse accalcando e stesse progettando

alle mie spalle, lavevo avuta anni dopo ladolescenza, quando

qualcuno mi aveva nascosto strani messaggi nella posta,

messaggi che sembravano di amore, ma non erano chiari e per

questo ancora più inquietanti.

Nonostante quegli oscuri presagi, avanzavo nella boscaglia

e spesso mi voltavo per controllare perché non mi sentivo

serena; percepivo la nebbiolina, la rugiada e non capivo cosa

fosse.

Poi, dimprovviso, lincertezza e il timore si

materializzarono e fu paura vera, terrore come quello che solo

i bambini possono percepire.

Mi sentii piccola e corsi via da quelluomo con gli

stivali neri che mi inseguiva, chiedendomi come un pazzo:

«Perché?».

Ma come, perché?

Perché invece sei tu a farmi questa domanda? mi dissi.

Mentre correvo per non cedere al panico, pensavo a come

organizzarmi per sopravvivere: era listinto di sopravvivenza,

era una sorta di freddezza naturale e orgoglio.

Poteva uccidermi ma non sarebbe mai entrato nella mia

testa.

La mia testa si concentrava mentre il mio corpo scappava.

Correvo sulle radici sperando che il feroce uomo che mi

inseguiva cadesse. Non lo guardavo mai negli occhi, quegli

occhi che ti controllavano di soppiatto, occhi da coccodrillo

che puntano la preda da sotto il pelo dellacqua.

Per intuito avevo capito che il mio inseguitore era

diabetico. Lo avevo percepito grazie a una delle mie strane

intuizioni e grazie ad alcune voci provenienti da altre

dimensioni molto lontane. Inoltre sapevo che era diabetico

perché aveva i piedi tormentati da piaghe; presto dovevano

essere tagliati.

La mia speranza veniva dal mio animo tenace e speravo si

stancasse, speravo che la strana malattia di cui probabilmente

soffriva lo colpisse di improvviso nella corsa, che gli

fermasse il metabolismo degli zuccheri, o che avesse

semplicemente una crisi e si accasciasse al suolo.

Correvo e intanto i rami si facevano più bassi e

intricati. Mi abbassai sperando che lui avesse più difficoltà,

essendo più alto di me; tiravo i rami verso di me desiderando

che gli arrivassero in faccia.

Odiavo profondamente quello che mi stava facendo. Il mio

odio era provocato, in particolare, dalla paura che provavo.

Era in parte orgoglio, lo ammetto: chi era per costringermi

alla fuga, per tormentare le mie membra nella morsa

attanagliante della paura?

Intanto continuavo a correre e lui, con il suo fisico

robusto, sembrava tollerare che quella corsa di velocità si

fosse trasformata in una corsa di resistenza.

Il mio sudore cadeva per terra insieme a grosse lacrime, e

sentivo che la speranza mi stava abbandonando ma ecco che

vidi qualcosa di nuovo: mio nonno, davanti a me.

Vedendomi preoccupata, il nonno mi avrebbe proiettata in

unaltra situazione, in una dimensione molto più intima e meno

pericolosa, e mi avrebbe rassicurata, ne ero certa.

La mia certezza avrebbe ben presto avuto tempo per

materializzarsi o distruggersi.


CAPITOLO 2

Il futuro appartiene a chi crede nella bellezza dei

propri sogni (Eleanor Roosevelt)

LA CONSOLAZIONE E PROBLEMI ALTERNATIVI

Era proprio il mio caro nonno, tenero nella vecchiaia,

terribile in gioventù. Era sempre stato un tipo difficile,

dispettoso, tagliente, e per alcuni versi era il tipico macho

italiano.

Da giovane era stato moro di capelli, occhi scuri da

spagnolo, pelle olivastra arsa dal sole, spalle larghe da

contadino. Non era alto, su per giù come me, ma molto più

robusto. Solo le mani le avevamo uguali, mani lunghe e

affusolate, mani che gli inglesi definiscono da fornaio, da

panettiere, e infatti era stato proprio questo il suo mestiere

durante la sua vita. Si alzava prima del canto del gallo per

lavorare duramente, e non aveva bisogno della radio: aveva

infatti una voce calda e piena da baritono, una voce che ti

tiene compagnia e ti rassicura lungo la strada, e lungo il mio

cammino nei miei sogni lo avevo rincontrato.

Il nostro incontro era stato rassicurante. Mi aveva

appoggiato la sua mano callosa e lunga sulla spalla e aveva

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