Stefano Vignaroli - Delitti Esoterici стр 7.

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«Ci vorrebbe molto a raccontare il tutto nei dettagli. Cerco di riassumerti le cose in breve, poi avremo modo di vagliare tutto il materiale che ci è stato inviato dalla questura e dal tribunale. C'è un bel fascicolo da studiare, ed è già sulla tua scrivania. La prima persona di cui si sono perse le tracce è colei che abitava nella stessa casa di Aurora e che si faceva chiamare con lo stesso nome. Nel 1989 questa signora sessantenne, nota come chiromante, erborista, guaritrice, veggente, maga, decise di andare nelle montagne del Nepal per raggiungere un tempio nel quale avrebbe dovuto rigenerare il proprio spirito, il proprio corpo e la propria anima. Raggiunse Kathmandu insieme a una sua seguace, una giovane rumena, una certa Larìs Dracu. Le due donne assoldarono degli Sherpa, che le accompagnarono fino a un certo punto. Quando insistettero per andare verso una zona inesplorata, interdetta agli Sherpa per le loro credenze religiose, questi ultimi le lasciarono sole, dicendo che le avrebbero aspettate per tre giorni, dopo di che le avrebbero date per disperse. Non si seppe più nulla delle due, ma dopo qualche mese si presentò a Triora una ventenne che sosteneva di essere la nipote di Aurora. Appellandosi all'omonimia, si arrogò il diritto di prendere possesso dell'abitazione della nonna. Anche questa giovane Aurora sembrava avere poteri soprannaturali, ma ben più potenti di quelli della presunta ava. I pochi abitanti del posto, che avevano conosciuto Aurora in gioventù, non potevano che notare la straordinaria somiglianza della giovane con l'anziana scomparsa, tanto che molti si convinsero che la strega avesse trovato, nel suo viaggio in Nepal, un elisir di giovinezza e fosse riuscita a ringiovanire nell'aspetto fino a tornare ragazza. Ma, a parte questo, nei boschi intorno Triora iniziarono a verificarsi strani episodi. Si diceva in paese che, nelle notti di luna piena, le streghe avessero ricominciato a praticare i loro Sabba, indetti proprio dalla giovane Aurora. A parte i Sabba, molte erano le visite che riceveva Aurora nella sua abitazione. Oltre i postulanti che richiedevano rimedi a base di erbe per la cura dei malanni, o elisir di vario tipo per risolvere travagli amorosi, ogni tanto giungevano persone particolari, da lei ospitate come adepti di una setta esoterica, di cui ora non ricordo il nome. Questi soggetti, essenzialmente donne, raggiungevano il luogo al fine di attingere il sapere nell'antica biblioteca, che era stata sempre conservata con gelosia nella casa da Aurora dalle sue antenate, e via via arricchita dalle stesse nel corso dei secoli. Una di queste giovani donne, Mariella Carletti, detta La Rossa, nel 1997 partì da un paesino dell'Abruzzo, in cui era già nota come guaritrice e veggente, lasciando detto che avrebbe raggiunto Triora al fine di superare le ardue prove che le avrebbero consentito di diventare un'adepta del settimo livello, uno dei più elevati, e che sarebbe tornata con poteri che nessuno avrebbe mai immaginato. Non fece mai ritorno. A Triora, questa bella ragazza, alta, dai fluenti capelli rosso fuoco, gli occhi azzurro chiaro, la carnagione pallida e piena di efelidi, non passò inosservata. All'imbrunire del 21 giugno, data coincidente con il solstizio d'estate, si diresse nel bosco dove si diceva avessero luogo i Sabba, dopo di che scomparve. Un particolare interessante è che quella notte ci fu un principio di incendio, ma molto limitato. Sembra si fosse incendiato un camion in disuso da tempo, ma il fatto non riuscì a essere collegato in nessuna maniera alla scomparsa della ragazza. La carcassa bruciata del camion è ancora lì, non fu mai asportata. Il caso, a suo tempo, fu archiviato come opera di teppisti. Nel 2000, tre giornalisti, due uomini e una donna, di un noto mensile a tiratura nazionale che ha sede e redazione a Genova, vollero eseguire una loro piccola indagine sulla scomparsa della ragazza, avvenuta tre anni prima. Con la scusa di un reportage su streghe e stregonerie a Triora, si piazzarono con una tenda canadese proprio nel bosco dove si riunivano le streghe, in prossimità della Fonte della Noce, con la speranza di assistere a qualche rito satanico o cose del genere. Per qualche giorno raccolsero informazioni sul processo posto in atto contro le streghe di Triora sul finire del '500. Tentarono anche di ottenere un'intervista esclusiva con Aurora, che però non la concesse. La notte tra il 20 e il 21 Agosto i tre giornalisti scomparvero in circostanze misteriose. All'interno della tenda, trovata vuota la mattina seguente, furono trovati alcuni quaderni di appunti con il materiale raccolto. Tali quaderni vennero riconsegnati alla rivista che, in suffragio dei tre, pubblicò un articolo di ben otto pagine sulle streghe di Triora. L'ultima frase scritta sul quaderno di uno dei tre giornalisti era in stampatello maiuscolo a grandi caratteri e sottolineata: MIO DIO! Qualcosa o qualcuno l'aveva sicuramente spaventato a morte. Dei giornalisti scomparsi non si seppe più nulla.»

Intanto avevamo oltrepassato Imperia, eravamo usciti dall'autostrada al casello Arma di Taggia e avevamo imboccato una strada provinciale che risaliva uno stupendo fondovalle, correndo parallela al corso di un fiume. Era la prima volta che vedevo luoghi che sarebbero poi divenuti familiari. Stavamo percorrendo la Valle Argentina, percorsa dal fiume omonimo, una stretta vallata con pochi insediamenti umani. Il verde dei boschi rigogliosi spiccava contro l'azzurro intenso del cielo limpido nella calda giornata di inizio Luglio e, dentro di me, si riaccendeva la vecchia passione per la montagna. Sognavo già di camminare sui sentieri che si addentravano in quei boschi. Risalimmo oltre un piccolo centro abitato, Molini di Triora, per giungere a Triora, un paese dalle fattezze medioevali, arroccato in cima a un cocuzzolo. Oltrepassato il centro, la strada ridiscendeva e, dopo poco, ci fermammo in uno spiazzo, dove erano parcheggiate un paio di auto della polizia, una jeep dei vigili del fuoco e una camionetta del corpo forestale attrezzata per lo spegnimento degli incendi boschivi.

«Bene» dissi, «quello che mi hai detto è molto interessante ed effettivamente l'odore delle sette, oltre quello di bruciato, si avverte eccome! Si tratta ora di capire fino a che punto c'entri l'esoterismo e quanta invece sia la responsabilità degli adepti nella scomparsa delle persone che hai menzionato e nell'omicidio di questa notte, se si tratta di omicidio e non di semplice incidente.»

«Caterina, mi raccomando, qui la prudenza non è mai troppa. A parte le streghe, potremmo trovarci di fronte a criminali senza scrupoli nel corso di questa indagine. Prendi la pistola e memorizziamo ognuno il numero del palmare dell'altro, così di poterci chiamare in caso di necessità. Andiamo!»

Afferrai il palmare, ma lasciai la pistola nel cassetto portaoggetti dell'auto, in quanto ritenevo che in quel momento non ne avrei avuto alcun bisogno.

CAPITOLO III

Aurora Della Rosa

Larìs non aveva paura di attraversare il ponte sospeso. Cercò con lo sguardo gli occhi azzurro verdi di Aurora, che le trasmisero tutta la forza e l'energia di cui aveva bisogno. Era poco tempo che la conosceva, ma si fidava di lei e dei suoi poteri esoterici.

Larìs Dracu era originaria della Transilvania, una regione della Romania, che alla fine degli anni '80 era ancora governata da un dittatore comunista. Già a diciotto anni si era guadagnata la fama di strega anticomunista e, per non cadere nelle mani della polizia segreta del generale Ceausescu, con non poche difficoltà aveva raggiunto l'Italia. Si era spinta fino a un paesino della Liguria, dove sapeva vivesse un'adepta della sua stessa setta, che l'avrebbe aiutata e l'avrebbe guidata nella prosecuzione del suo cammino verso il livello più alto, quello oltre il settimo, quello della conoscenza universale. Quando giunse a casa di Aurora, il giorno dell'equinozio di primavera, all'ora media, notò che la sua ospite la stava aspettando sulla soglia con la porta aperta. Non ne fu sorpresa, in quanto conosceva i poteri veggenti della maga. Si sentì osservare da lei con compiacimento. Larìs si presentava come una bellissima ragazza, dai capelli neri lucidi, tirati indietro e raccolti in un corto codino, gli occhi scuri, quasi neri, i lineamenti del viso delicati. Le linee sinuose del corpo lasciavano immaginare, sotto vestiti attillati, una perfezione di seni, glutei e gambe rari a vedersi. La maga le appariva come una sessantenne in ottima forma, dai capelli biondi leggermente striati di bianco, gli occhi che cangiavano colore dall'azzurro al verde, a seconda della luminosità dell'ambiente. Il suo corpo aveva ancora il vigore di una quarantenne e la sua pelle era liscia, tirata e non solcata da rughe evidenti. Il suo sguardo era magnetico e, quando i suoi occhi incontrarono quelli di Aurora, Larìs provò un forte impulso sessuale nei confronti della maga. Aurora pronunciò alcune parole in una lingua incomprensibile ai comuni mortali. Non si era espressa in lingua occitana, tipica di quella zona di confine tra l'Italia e la Francia, ma la giovane era stata in grado di capirla, per averla appresa da bambina, quando sua mamma laveva iniziata alle pratiche magiche ed esoteriche. Il Semants era l'antica lingua degli adepti, la cui origine si perdeva nella notte dei tempi, un idioma conosciuto già all'epoca dell'Egitto dei Faraoni da maghi e sciamani, ma che aveva origini anche più antiche. Larìs fu invitata da Aurora a entrare in casa e fu condotta in un salone quadrato. Una delle pareti del salone era occupata per intero da una specchiera, per cui si aveva l'impressione che la stanza fosse molto più ampia di quanto in realtà non era, mentre nelle altre tre pareti vi erano scaffalature, in cui trovavano posto molti libri e manoscritti e alcuni vasi di porcellana, del tipo di quelli usati in tempi andati nelle farmacie e nelle erboristerie.

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