Keith Dixon - Storey стр 11.

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Paul vide che la casa era grande ma non sembrava vissuta — intravide attraverso una porta aperta una stanza senza tappeto con carta da parati a tinta unita e nient’altro, nessun mobile o quadro alla parete. C’era odore di un qualche tipo di detergente al pino, come se David avesse pulito il parquet prima che loro arrivassero.

Ora David li condusse attraverso una stanza sul retro, Paul notò larghe finestre panoramiche a mostrare un giardino piuttosto ampio, curato e con una rimessa in fondo, luci solari scintillanti nelle aiuole. Forse passava più tempo là fuori che in casa, pensò Paul, potando rose o qualunque cosa si faccia con i giardini.

Araminta si era seduta su di un divano di pelle nera e Paul le sedeva di fronte, David chiese se volevano un caffè, un tè o qualcosa di più forte, entrambi risposero di no.

Aveva pensato che David sembrasse un tipo remissivo, così fu sorpreso quando disse ad Araminta, diretto, ‘Cosa ci fa lui qui? Cosa sta succedendo? Hai detto che era importante.’

Lei incrociò le mani sulle ginocchia, prendendo tempo, poi alzò il volto e lo guardò. ‘Paul è un collega, ok? Gli ho chiesto di portarmi qui. Ed è vero, dovevo vederti questa sera.’ Si girò e guardò Paul. ‘Ci dai un minuto? Vai a ispezionare la cucina o qualcosa così.’

Senza dargli altra scelta a meno che non volesse iniziare una discussione inutile.

Li lasciò, chiudendosi la porta alle spalle, e fece un giro al pian terreno, provando un paio di altre porte prima di trovarne una che portava ad un ufficio — scaffali di libri, un tavolo con un portatile e una lampada da scrivania, poltroncina su ruote imbottita. Si sedette sulla sedia e guardò fuori dalla finestra, che per qualche scherzo strutturale aveva la stessa visuale della facciata d’ingresso della casa. Era buio fuori ora, e riusciva a vedere poco a parte le macchine che passavano occasionalmente sulla strada principale.

Gli venne un’idea e tornò a guardare le foto sul muro. Foto di David da bambino, poi una con la famiglia — lui, una ragazzina che prese per sua sorella minore, e i genitori, e poi un cane nero, tutti quanti in piedi davanti a una casa coperta di edera con due colonne ai lati della porta d’ingresso. Sembrava potesse trattarsi di Oxford o dei dintorni di Londra. Classe e denaro.

Poco più in là, una coppia di certificati incorniciati, uno di livello 8 in pianoforte, un altro per avere vinto un rally in Africa; forse era più tosto di quanto sembrasse.

Dieci minuti dopo sentì la porta del soggiorno riaprirsi e si recò in corridoio, Araminta e David uscendo sembravano diversi, come se ci fosse stata una sorta di trasformazione durante la sua assenza. Araminta sorrideva, rilassata, il suo linguaggio corporeo aveva perso la solita tensione. Mentre David era pallido, le sue guance scavate, sembrava invecchiato di dieci anni.

Paul si disse che sarebbe dovuto stare più attento in futuro — questa donna poteva avere effetti sconvolgenti sulla salute.

Araminta si girò verso di lui, dicendo, ‘Pronto?’ come se stessero andando a fare il giro della domenica pomeriggio, e si diresse verso la porta d’uscita. Paul vide l’espressione di David diventare ancora più avvilita mentre la seguiva con lo sguardo.

Lo guardò quando David chiese, ‘Allora siamo ancora d’accordo per domani sera? Le foto?’

Araminta lo evitò. ‘Dovresti aspettarti di non vedermi per qualche giorno, ma questo non significa che tu debba dimenticarti cosa ho detto. Va bene?’

‘Immagino di sì.’

‘Su col morale. Non sarà così terribile.’

‘Ti penserò.’

Lei posò gli occhi su Paul, che catturò l’occhiata ma non sapeva cosa volesse dire. Disse a David, ‘Non pensare a me. Pensa a quello che ti ho detto.’

Aprì la porta e se ne andò senza voltarsi indietro, allontanandosi dalla casa giù per il vialetto del cancello principale. Paul fece un cenno di saluto a David e la seguì, chiudendosi dietro la porta. Non aveva dubbi che aveva appena assistito a qualcosa di premeditato ma non sapeva che cosa.

Ora Araminta era in piedi dall’altra parte del cancello, già al telefono. Fu una chiamata breve e si voltò verso di lui quando ebbe finito, dicendo, ‘Non mi devi portare a casa. Ho chiamato un taxi.’

‘Per quale motivo?’

‘Non iniziare a fare domande. Ho bisogno di stare da sola, va bene?’

Paul pensò che magari non voleva che vedesse dove viveva.

Rimase con lei, sentiva la notte diventare fredda intorno a loro.

Disse, ‘Non devi dirmi cosa è successo là dentro.’

‘Bene.’

‘Ma devo saperlo — è veramente il tuo ragazzo? Il modo in cui lo tratti, come un bambino?’

‘Non gli dà fastidio quanto a te.’

‘Come lo sai?’

‘Lo hai visto — sembra un po' imbranato, ma è diretto. Se qualcosa lo infastidisse me lo farebbe sapere, o mi lascerebbe.’

‘Non sembri molto preoccupata.’

‘Perché dovrei esserlo? Ci sono tantissimi altri pesci nell’oceano.’ Sembrava stufa e forse iniziava a essere irritata dalle sue domande.

Paul disse, ‘Mi chiedo solo come si senta ora.’

‘Tu non ne sai nulla.’

Stava cercando di chiudere la conversazione, pensò Paul, non le piaceva che le facesse domande sull’altro ragazzo.

Si sentiva arrabbiato con lei ora, voleva scalfire la sua sicurezza di sé, disse, ‘Dunque perché hai voluto che venissi?’

‘Pensavo che avresti dovuto conoscerlo.’

‘Convincermi che avevi un ragazzo così non mi creavo aspettative.’

Si girò verso di lui e per una volta i suoi occhi erano diretti, persino divertiti. ‘Ci speri? Sei un ragazzo stupido.’

Lui non sapeva cosa rispondere e così scosse la testa e mosse qualche passo come se stesse cercando il taxi, poi si girò e la vide a controllare i messaggi sul cellulare. Non abbandonava mai la tecnologia. Si chiese se David li stesse guardando dalla finestra, e non appena lo pensò seppe che era vero. Si costrinse a non controllare.

Disse, ‘Cosa fa, David?’

Lei alzò lo sguardo dal telefono. ‘Mi chiedevo quando avresti fatto questa domanda. Sei ossessionato da che cosa fanno tutti, come si guadagnano da vivere. Non ti lasci mai andare, vero?’

Paul ci pensò per un attimo e non poteva negarlo. Ma si disse che era perché lui era curioso delle persone per natura, non era ficcanaso. Disse, ‘Potresti avere ragione, ma non hai risposto alla domanda.’

Lei disse, ‘È un funzionario pubblico del quartiere che sto esaminando per corruzione. Unione Europea, ottenere finanziamenti per la città da tutto quel bottino a Bruxelles. È una risposta sufficiente? Grazie a Dio, ecco il taxi. Mi sto congelando le tette qui.’

PAUL GUARDÒ IL taxi allontanarsi e quando ebbe girato l’angolo tornò su per il sentiero e bussò alla porta di David, chiedendosi cosa accidenti stesse facendo e se fossero affari suoi.

Quando David aprì la porta Paul avanzò di un passo, facendogli capire che voleva entrare, e l’altro indietreggiò leggermente. Paul entrò, senza sapere cosa avrebbe detto ma sicuro che qualcosa si sarebbe inventato.

David lo guardava, raddrizzando la schiena come per cercare di imporsi un po' sulla situazione, cercando di affermare se stesso.

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