Federica Cabras - E Non Vissero Felici E Contenti стр 11.

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«Sì, nemmeno io lavrei perdonato. Daltro canto lha ferita in un modo profondo e irrimediabile.»

Si ricordò la Sandi che conobbe tanti anni prima. Aveva 22 anni ed era fresca di studi. Era arguta, intelligente. Una laurea in Storia Antica e tanta voglia di sfondare. Aveva motivazione da vendere. Era una prima donna, Sandi; laveva persino invidiata e odiata per i suoi successi, per un lasso di tempo abbastanza lungo da garantirle linferno. Bella da morire e sagace allinverosimile, riusciva, con le sue chiacchiere dense di sottili allusioni, ad ammaliare tutti. Poi era arrivato Edmund. Laveva catturata con lironia e il brio. Lei, con lui, era riuscita a raggiungere un po di leggerezza e aveva perso, solo parzialmente, quellespressione di superbia che le si dipingeva sovente in volto; lui aveva capito che nella vita si deve essere svegli e svelti. Era stato uno scambio equo, insomma. Avevano imparato luno dallaltra. Il mondo era ai loro piedi; poi era arrivata la bambina, e la sua prematura dipartita li aveva divisi e buttati nel baratro di una vita scarsamente appassionata e scandita solo dal rancore che, di tanto in tanto, tornava a farsi vivo. Lei allora si era fatta assumere in una grossa azienda, e fine dei giochi. Che sapesse, non aveva nemmeno più provato a scrivere ma su questo non avrebbe di certo messo la mano nel fuoco.

«Certo,» mormorò malignamente nel buio «che se avesse saputo che lavoro avrebbe fatto da grande non avrebbe certo avuto quel nasino insù per tutto quel tempo!»

Poi, accortasi di quella sua infelice uscita, disse unAve Maria.

«Perdonami, oh Signore. Perché non solo ho peccato, ma peccherò ancora, lo so!»

Fu in quel momento che, presa dalla stanchezza, chiuse gli occhi e cadde in un sonno ristoratore privo di sogni.

7

Eddie si alzò. Non si era spaventato dallassenza di Sandi. Aveva trovato un biglietto sul banco della cucina, la notte prima.

Edmund, io vado da Olivia. Non so quando rientrerò. Magari mi fermo stanotte. Ciao.

Il suo sguardo si era posato su quel freddo Edmund. Nessuno lo chiamava Edmund. Allora, scosso da un fremito, si abbandonò ai ricordi.

«Che diavolo vuoi da me, Eddie?»

«Cosa stai dicendo, Sandi? Voglio solo parlarti! Sei mia moglie, diamine!»

Era stato poco dopo che lui aveva iniziato a provare pena per lei: le aveva reso la vita un inferno, con questa storia di non riuscire ad avere altri figli. Voleva farsi perdonare. Ma, come al solito, si era innervosito, e lavevano terminata a litigare.

«Non voglio che tu mi tocchi, nemmeno con un dito! Non ti facevo schifo?»

«Non essere sciocca. Ero arrabbiato, e amareggiato. Ma lo sai, ti amo. Ti desidero. Sono folle per te!»

«Muori! Sai una cosa? Eddie per me non esiste più. Per me, dora in avanti, sarai solo Edmund. Solo tuo padre ti chiamava Edmund, giusto? Quel tuo padre che ti ha rinnegato come fossi figlio del Diavolo in persona!»

«Che intendi dire?» rispose lui, mentre il sangue gli si gelava nelle vene. Provò ad avvicinarsi per abbracciarla, ma lei si scostò. Allora, in presa a un raptus, la tenne forte e la baciò. Voleva stringerla, sbatterla nel divano e scoparsela. Era questo che meritava per avergli detto quelle orribili parole. Ma la lasciò andare, consapevole che quella situazione laveva favorita lui stesso.

Le si girò, lo guardò con astio e si sistemò la spallina che lui aveva fatto scendere. Poi gli sputò in pieno viso.

«Edmund, puoi anche crepare per quel che mi riguarda.»

«Non sarà questa la tua fortuna.» chiosò lui. «Bisogna che tu mi uccida, sporca stronzetta.»

«Oh, non mi tentare. Non mi tentare.»

Era quasi pronto. Indossò le scarpe, la cravatta e si mise a tracolla la borsa del PC e dei documenti.

Quando arrivò in ufficio avvampò al ricordo della sera precedente. Scosse la testa, come per voler allontanare da sé quella verità tanto scomoda quanto pericolosa. Non avrebbe più dato peso alle parole di Giorgia. Non avrebbe riso alle sue battute e non avrebbe vantato una sua qualunque illuminante asserzione. Non le si sarebbe seduto accanto, durante il pranzo. Lavrebbe evitata, insomma, come si fa con peste e malaria. Del resto non voleva alimentare in lei quella stessa illusione che si era creata da sola lillusione che lui avrebbe potuto essere salvato: nessuno ne sarebbe stato capace, tantomeno lei.

Ma quando arrivò nei pressi del suo ufficio la vide chinata sulla sua scrivania. Per terra una scatola di cartone aperta conteneva pochi averi e altri ne doveva ancora accogliere.

«Giorgia?»

Lei si voltò. Era bella quanto la sera precedente, o forse anche di più il fatto che lui non potesse liberarsi dei fantasmi del passato per averla la rendeva, ai suoi occhi, ancor più appetibile. Lo sguardo triste da cane abbandonato e la postura non eretta e forte ma china, debole furono come una pugnalata nel cuore, per Eddie.

«Perché metti le tue cose in una scatola?»

«Me ne vado, Eddie. E no, non pensare di farmi cambiare idea. Una settimana fa ho avuto una proposta di impiego. Ho chiesto qualche giorno per pensarci. Per questo ieri notte ho provato ad andare al sodo. Volevo capire se tu fossi nella mia stessa lunghezza donda. Ovviamente sai come è andata.»

«E dove andrai? In cosa consiste questo impiego?»

Per quanto gli dispiacesse, una parte di lui era sollevata: forse alla fine avrebbe finito per cederle, per donarsi a lei. Non lo voleva. Lei era giovane, bella, intelligente; lui avrebbe ucciso tutte le sue belle qualità, relegandola a una vita basata sullarte di accontentarsi. Accontentarsi di un uomo privo di cuore, non capace di amare.

«Alla Spoline&Co.»

«Wow! Congratulazioni, Giorgia! È un gran studio un traguardo notevole!»

«Già. Ora vai, hai del lavoro da fare.» aggiunse lei, girando il volto.

Piangeva singhiozzando; solo non vedere la sua faccia avrebbe, piano piano, lenito quel suo senso di delusione.

Lui accolse quella sua richiesta implicita e si allontanò a gran passi. Poco dopo la vide abbracciare qualche collega e andar via. Non si avvicinò nemmeno; quella storia, troncata sul nascere, doveva smettere di esistere anche nei loro pensieri.

«Eddie! Giorgia va via! Non lhai nemmeno salutata! Non hai sentito? Ha un impiego alla Spoline&co. Cazzo che culo, santo cielo. È una vita che voglio passare lì,» disse Sergio sedendosi accanto a lui e lanciando una pallina da tennis contro il muro ripetutamente «ma zero che mi considerano. Secondo me usano il mio curriculum, che diligentemente faccio avere loro almeno una volta lanno, come carta igienica. Poi arriva Giorgia che, per carità, è sveglia e quello che vuoi, ma è giovane e viene presa. Per me è perché ha un bel culo.» constatò con una punta di sessismo non indifferente.

«Sergio, lei è brava, molto brava. Avranno visto il potenziale.»

«Sei dalla sua parte e non dalla mia?» chiese non senza indignazione.

«Non cè da essere da una parte o da unaltra, cavolo. È solo questione di capire che il potenziale cera.»

«Perché non scherzi? Non ti esponi?»

«Che intendi dire?» lo rintuzzò lui, scocciato.

«Quando è arrivata abbiamo passato ore ma che dico, ore? Giorni! a ridere del fatto che finalmente, dopo Bessy, avessimo trovato un bel culo da veder passeggiare qua e là in ufficio. Sembra così ma questo lavoro è noioso, ti stressa. Grazie a lei bastava unocchiata e tornava tutto a posto!»

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