Diciamo che la pizza è unaltra cosaperò ora comprendo come mai quella brutta faccia mi fosse famigliare.
Abdlak è una persona sulla quale ti puoi fidare. Ha passato momenti difficili, e come hai potuto constatare, lo hanno segnato, ma ora è una persona diversa.
Se lo dici tu mi fido. Dai andiamo se no si fa tardi.
Eccoci arrivati a casa di Abdlak. Prima di entrare, prendi la borsa che cè nel bagagliaioe dì che la offri tu. E non ti preoccupare, lho già inserita nel tuo debito.
Grazie, non saprò ringraziarti abbastanza.
Buona sera a tutti, Enrico ha voluto farvi una sorpresa e ha portato un po da bere. Abdlak spero che tu non abbia comperato troppe cose.
Beh, lalcool non va a male, quindi se ne rimane lo teniamo per la prossima volta che ci vediamo a casa mia.
Sin dalla prima volta che avevo visto Abdlak mi aveva dato unimpressione ambigua. Era un uomo sulla quarantina, e se non aveva quarantanni di certo li portava maluccio. Solitamente mi era capitato di pensare che le persone paffutelle dimostrassero meno delletà che avevano, ma nel caso suo era diverso. Il viso rovinato, per chissà quale assurdo motivo, e lo sguardo non troppo amichevole, lo rendeva una persona a primo impatto cattiva e con la quale era meglio non averci a che fare. Non importava se indossasse una camicia e un paio di jeans sgualciti, quando ci si ritrovava ad avere a che fare con Abdlak, datemi retta, era meglio girare i tacchi e andarsene. Teneva la barba sempre ben curata e i capelli rasati a pelo, apostrofandogli unaurea scorbutica. Il suo modo di vestire poteva essere approssimativo, ma era comodo e di qualità, e di certo non lasciato al caso. Il sembrare leggermente trasandato faceva parte della sua persona e di certo gli serviva per nascondere qualcosa sotto ai vestiti.
Avevamo parcheggiato la macchina ai piedi di una palazzina dallaspetto elegante, incastonata in due palazzi dallugual sembianza. Il quartiere trasmetteva signorilità e sicurezza. Le sue lavorazioni barocche lasciavano a bocca aperta chiunque si soffermasse ad ammirarle, e in quel tramonto, dettato dallo stupendo gioco di luci, il sacrilegio più grande sarebbe stato non degnarle di uno sguardo. Già posati i primi passi sullasfalto, una leggera brezza primaverile cullava le note medio orientali fuoriuscenti dallimmobile del padrone di casa. Sebbene i miei sensi erano impegnati ad assorbire gli stimoli provenienti dal mondo esterno, il mio cuore pulsava per inalare la sua anidride carbonica. Una volta aperto luscio di casa e aver ricevuto gli onori da tutti i presenti, il mio sguardo si dannava in cerca della sua musa. Avevo voglia di vederla, sfiorarla, volevo ritrovare lossigeno dopo ore di agonia, ma non ci riuscii, perché lei non cera. Mi rassegnai, e mettendomi comodo, cominciai a parlare con chi avevo più confidenza, lalcool. Versai un po di lemon sul bicchiere di vodka e tutto venne più naturale. Proprio mentre mi stavo per riempire il secondo bicchiere ecco che la mia mano fu avvolta da unaltra mano, soffice e calda.
Lascia, faccio io, se non ti dispiace.
Il mio sguardo andò inizialmente alla mano posata sulla mia e lentamente a salire sul suo volto. Sentii una vampata di calore salirmi dallo stomaco sin alla testa, una sensazione tanto strana, quanto meravigliosa. Una volta che i nostri sguardi sincrociarono, fu come se il mondo intorno si fosse fermato. Eravamo stati scagliati in un paese sconosciuto e noi eravamo gli unici due interpreti delle nostre parole. Non la conoscevo affatto ma la sentivo mia come non avevo mai sentito nessunaltra. Ora che le nostre mani erano tuttuna, non la volevo lasciare, non volevo spezzare quellincantesimo meraviglioso e unico. Fu lei a sciogliere il legame per offrirmi da bere e comera arrivata se ne andò lasciandomi come uno stoccafisso.
La seguii con lo sguardo, il suo ondeggiare tra il fumo dei narghilè, le donava unaurea ancor più misteriosa. Dopo aver aspirato due/tre boccate, si fece trasportare del ritmo che risuonava nella casa. Quella melodia era qualcosa di magico e incantevole, il ritmo accoppiato al movimento di un corpo così perfetto e aggraziato mi lasciò a bocca aperta. Facevo scendere la bevanda minuziosamente preparata per aver lautrice di quel servigio il più presto di nuovo accanto a me. Mi guardò assaporare la sua opera e una volta posato il bicchiere si defilò nel terrazzo che le stava alle spalle. Non potei non seguirla. In un primo momento le mie gambe cedettero come se avessi perso tutte le forze, rovinando sul divano. Fui preso del tutto in contropiede, non mi era mai capitato e sembrava che non volessero rispondere ai miei voleri, intanto dalla vetrata del terrazzo cera Sophia che nella penombra controllava i miei movimenti. Riuscii a recuperare le forze e a deliziarmi della compagnia della mia incantatrice.
Noi non possiamo fare quello che stiamo facendo.
La guardai in modo incredulo.
Cosè che stiamo facendo?
Sai benissimo di cosa parlo. Anchio ti sento vicino a me, ti desidero con ogni cellula del mio corpo, ma forse è lalcool che parla. Però non possolo so che non mi capirai, però un giorno forse riusciremo a stare assieme.
Non ti capisco
Nemmeno io riesco a capirmi.
Con gli occhi che scrutavano lorizzonte, come rapita da unaltra dimensione, aggiunse: quando ti senti solo, rapito, indifeso e senti che il mondo ti crolla addosso, dove vai Enrico?
La guardavo con curiosità senza riuscire a darle una risposta. Guardavo il profilo del suo volto, sprofondando nella luminosità della luna, riflessa dal suo occhio sinistro, senza riuscire a esternare i miei pensieri, ma questo per una semplice ragione, lei lì monopolizzava. Sino a che non concentrò la sua attenzione su di me.
Sei mai stata ai giardini di villa Spada?
Unombra vellutata e fulminea attraversò il suo sguardo e prima che potessi formulare qualsiasi pensiero o domanda, mincalzò con la sua risposta.
No. Non so dove siano. Mi ci porterai un giorno Enrico? Dimmi di sì, te ne prego. Anche se è una bugia, dimmi di sì, ne ho bisogno.
Sì. Andremmo. Andremmo lì, come in qualsiasi altro posto tu vorrai. A me basta stare con te.
A quelle parole, il sorriso che mi aveva regalato, aveva illuminato quella notte destate. Poi dun tratto e senza dire nulla più, entrò in casa lasciandomi a bocca aperta. Come un cretino la guardai andarsene. Non mi aveva dato lopportunità di assimilare le sue parole e di replicare. Ma perché dirmi tutte quelle cose, perché colpirmi così duramente senza darmi una spiegazione? E perché era triste mentre lo diceva? Non ci capivo nulla. Non ci avevo mai capito nulla! Rimasi lì come un idiota a pensare e ripensare ai suoi discorsi, senza trovarne una giustificazione. Rincasai e annebbiai ciò che provavo con la vodka. Lalcool per me era come una spugna che riusciva inizialmente a confondere i lineamenti dei problemi, successivamente a marcarli in profondità, sino a trasmettermi le sensazioni peggiori che potevo provare, facendoli divenire i più importanti e insormontabili del mondo, e infine rimpicciolendoli in misura millesimale, almeno sino a che la sbornia sarebbe durata. Anche perché, arrivata la sveglia, ritornavano più forti e ridondanti che mai, accompagnati dallamico davventure; il mal di testa.
Il suo comportamento mi mutò completamente, divenni un fantasma, una comparsa senza spirito e accondiscendenza. Non volevo parlare con nessuno, cercavo di distrarmi, di rilassarmi con la musica, ma sinché lei era lì a pochi metri da me non riuscivo a comportarmi diversamente. Di tanto in tanto scambiavo due parole e qualche battuta con i miei nuovi amici, ma non riuscivo a far nientaltro, come avrei potuto? Lei lo sapeva, lo percepiva, ma più cercavo in lei qualche carezza spirituale e più lei mi schiaffeggiava con il suo atteggiamento indifferente, gigioneggiante e irriverente. Presi il mio bicchiere, dopo averlo fatto straripare e uscii nuovamente in cerca di quiete.