Marco Fogliani - Racconti Buonisti стр 7.

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Era divertente guardare la partita così da vicino, anche se lo spettacolo era molto calato per l'assenza di quello che fin lì era stato decisamente il migliore in campo. Ma chi era poi costui, pensò Riccardo: sono davvero io? Si sforzò di guardare verso la curva, da dove gli risultava che un gruppetto di tifosi tra cui egli stesso Riccardo stessero seguendo l'incontro. Sperava di riuscire a vedersi laggiù, ma la distanza era troppa.

Cosa avrebbe dovuto fare? Adeguarsi a questa improvvisa ed assurda svolta che aveva preso il corso della sua vita; oppure contrastarla, cercando di riportare la sua esistenza sui binari della normalità? All'inizio, decidendo di non decidere, si rispose che per il momento preferiva godersi la partita, poi ci avrebbe pensato.

"Riccardo! Raul, Raul. Sono Riccardo." A un tratto, nella confusione e nel frastuono di voci dello stadio gremito, gli parve di distinguere queste parole. "Raul, sono Riccardo Boccadoro. Ti prego, vorrei parlarti."

Stavolta era sicuro di quello che aveva sentito: era stato pronunciato il suo nome, qualcuno si indirizzava a lui. Riccardo si alzò, cercando di individuare alle sue spalle chi lo stesse chiamando; ma dietro a sé il campo visivo era quasi completamente ostruito dalla panchina.

"Ci vediamo fra cinque minuti allo spogliatoio: ti prego, Raul, non mancare."

Lo conosci davvero questo ragazzo?, gli chiese un compagno di squadra seduto lì di fianco.

Sì, lo conosco. Per un attimo fu tentato di chiedergli come arrivare agli spogliatoi; ma poi si disse che li avrebbe trovati da solo, senza destare inutili sospetti.

Zoppicando si infilò giù per delle scale in un corridoio che sembrava vuoto, a parte una guardia della sicurezza.

Raul, due parole al volo per Radio Campione?, gli chiese un giovane trafelato, ben vestito ed armato di cuffie e microfono, sorprendendolo alle spalle.

Vi prego, adesso no, lasciatemi andare a cambiare. E di qua il mio spogliatoio, vero?

Sì. Ma come ti senti? La caviglia ti fa male?

Sì, molto. Ma ora lasciatemi in pace.

Aprì la porta di quello che gli sembrava essere uno degli spogliatoi. Non vedendo nessuno stava per richiuderla, ma si sentì chiamare:

Riccardo. Sono qui.

Rimase a bocca aperta. Di fronte a lui cera un altro se stesso che indossava un cappotto e un paio di pantaloni che ben conosceva: gli mancava solo la sua sciarpetta biancorossa.

Ma è incredibile: sei uguale spiccicato a me!

Rimasero un po a fissarsi, increduli; poi laltro, che da adesso in poi per comodità chiameremo Raul, lo portò con sé davanti ad uno specchio.

Qualche differenza cè. Io ero un po più alto, con una massa muscolare più sviluppata e senza questo brutto neo sotto la mascella. Insomma, ero un pochino più bello, ora sono un po più bruttino.

Già. In compenso io ho una caviglia che prima stava bene e che adesso mi fa male.

Senti: non so che cosa tu abbia combinato, ma sembra che almeno mi siano rimasti laccento portoghese e labilità nel giocare a pallone. Che ne diresti se ci scambiassimo i vestiti, prima di combinare qualche altro pasticcio irreparabile?

Sì, scambiamoci i vestiti: mi sentirò più a mio agio. Comunque ti assicuro che io non ho fatto niente. Mi sono solo trovato lì, al tuo posto.

Spero solo di non perdere la maglia da titolare, dopo quanto hai combinato.

Raul si spogliò e si fece una rapida doccia. Anche Riccardo decise di fare lo stesso. Puoi usare il mio shampoo e la mia roba, se vuoi, gli disse Raul.

Si rivestirono tornando ognuno nei propri abiti civili. Quelli di Raul erano notevolmente più eleganti.

Ti lascio il mio numero di cellulare per qualunque evenienza, gli disse Raul estraendo dal suo portafoglio un biglietto da visita. Non lo dare a nessuno, è il mio numero super privato. E soprattutto mi raccomando: non fare parola di quanto è successo, soprattutto con la stampa. Altrimenti potresti rovinarmi la carriera. Tirò fuori anche due banconote di grosso taglio: Queste sono per il disturbo, e per la visita medica. Buona fortuna. Raul gli strinse la mano per salutarlo, e se ne stava andando.

Aspetta: chi ci assicura che non succederà di nuovo? obiettò Riccardo.

Raul si fermò a riflettere. Hai ragione. Potrebbe succedere ancora. Forse è meglio che restiamo insieme per un po. Però cerchiamo di non farci notare.

Col bavero alzato per nascondersi il più possibile, Raul fece strada a Riccardo, imbacuccato nella sua sciarpa biancorossa ritrovata arrotolata nella tasca del cappotto, e sgattaiolarono fuori dallo stadio evitando qualunque possibile incontro. Una volta al sicuro da tifosi e giornalisti, Raul chiamò un taxi col cellulare.

Andiamo in centro: è meglio rimanere lontano da qui per almeno un paio dore. Anzi, ho unidea migliore.

Chiamò qualcuno della squadra, forse lallenatore. Con un accento portoghese più marcato - che evidentemente faceva parte della sua immagine pubblica, ma che volendo poteva attenuare riferì qualcosa di un suo cugino che era venuto a Roma, e avvertì che sarebbe tornato in sede con mezzi propri.

Davvero ti è venuto a trovare un tuo parente?, chiese Riccardo al termine della telefonata.

Sì: sei tu il mio cugino di cui parlavo. Sei molto credibile in questo ruolo, non è vero? Scherzi a parte, tutti i miei parenti sono in Brasile. E più di un anno che vivo da solo in Italia; ma questo paese mi piace molto.

E ti mancano il tuo papà e la tua mamma?

Sì, abbastanza; e anche i miei fratelli e le mie sorelle, cinque in tutto. Ma non mi dimentico di loro. Ogni mese gli mando un po di soldi. Qui io guadagno bene, ed in Brasile si sopravvive con poco. Ecco un taxi, deve essere il nostro.

Si sbracciarono per farsi vedere.

Cè un bellalbergo in cui mi fermo sempre quando vengo qui. Potremmo andarci, se vuoi, propose Raul.

Ti va invece il cinema? Ho da poco dato un esame, e questo fine settimana volevo distrarmi un po. E per questo che sono venuto allo stadio, anche se a dire il vero non mi sono tanto rilassato.

Risero tutti e due.

Va bene. Scegli pure tu il film ed il cinema, meglio se un po lontano da qui. E unottima idea, così staremo al buio e non daremo nellocchio.

Salirono sul taxi, che nel frattempo era arrivato, e Riccardo diede indicazione al conducente.

Uscirono dal cinema che era buio. Il film era stato bello.

Hai detto che hai appena passato un esame?, chiese Raul.

Riccardo assentì.

E curioso. Proprio laltra notte ho sognato che davo un esame. E stato quasi un incubo per me che ho fatto solo qualche anno di elementari. Quando mi sono svegliato avevo la testa che mi scoppiava.

Riccardo ripensò al suo strano sogno di qualche giorno prima, quando si era svegliato con le gambe doloranti.

Ma è stato un incubo peggiore, proseguì Raul, ritrovarmi in curva tra tifosi che lanciavano accidenti e maledizioni di ogni genere contro di te; anzi, contro di me. E stato proprio avvilente. Spero che quelli non fossero tuoi amici, e che tu non sia come loro.

Alcuni li conosco un po. Ma stai tranquillo: io non sono come loro. Anzi, sono un tuo grande ammiratore. Chissà, forse è per questo che è successo quello che è successo. A proposito: ho unidea. Vieni un attimo a casa mia: ti faccio vedere alcune cose interessanti.

Labitazione di Riccardo era lì vicino. Suo padre era in casa e quando li vide chiese sbigottito: "Chi di voi due è mio figlio?"

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