Che dite voi, messer lo conte? gridò mastro Benedicite. Farlo alloggiar nella torre
No, io non ho detto questo; sibbene ho voluto far intendere al nostro ospite come io non possa offerirgli una stanza degna di lui.
Che cos'è questa torre del Negromante? domandò il pellegrino.
Ah, per darvene una giusta notizia, mi bisognerebbe raccontarvi una storia troppo lunga, e tale da farvi addormentare sulla scranna. Roccamàla, messer pellegrino, è un triste luogo, ed io mi penso che la tristezza sua entri in gran parte nell'umor nero che ha regnato su sette generazioni de' miei antenati. Si narrano di questo castello le più paurose leggende Figuratevi! Il conte Ugo, primo dei Roccamàla, nella sua vecchiaia si era dato anima e corpo allo studio delle scienze naturali, e la buona gente dei dintorni fantasticò che egli avesse commercio con lo spirito maligno. Quando egli venne a morte, quella torre, dov'egli era uso dimorare, e che ha tolto da lui il nome di Negromante, fu argomento di terrore per tutti, e pochi ardirono d'allora in poi di passarvi la notte.
Ah, ah! disse, ridendo, il pellegrino. Storielle da metter paura ai bambini!..
Lo dico anch'io, rispose il conte ma tant'è; la cosa è passata in consuetudine, e non si può levar dal capo a nessuno de' miei vassalli che in quella torre ci sia un incantesimo, un diavoleto e che so io Ma che cosa volete dir voi, mastro Benedicite, che mi fate quegli occhi da spiritato?
Dico, messer lo conte, che voi mi sembrate pigliare a scherno la cosa più vera del mondo; dico che il diavoleto c'è, e che la storia non mente
Sì, la storia tutto quello che vorrete, ma intanto il libro nero non s'è mai potuto trovare.
Che prova ciò, messere?
Prova che le sono ubbie da bambini, o da vecchi rimbambiti; e ciò sia detto senza far torto a voi, che siete un uomo a modo, quantunque troppo facile a credere certe stramberie della gente volgare.
Ah! ci abbiamo dunque a Roccamàla una vecchia leggenda? soggiunse il pellegrino. Io son ghiotto di simili novità. Narratemi questa leggenda, Benedicite mi dilectissime! Se debbo andare a dormir nella torre, è pur ragionevole che io sappia
Ci andrete? dimandò lo strozziere, guardando il pellegrino con atto di maraviglia.
Se ci andrò? Lo chiedo per grazia profumata dal conte di Roccamàla. E chi sa che io, con le sante reliquie e le indulgenze che porto da Roma, non venga a capo di togliere dalla torre del Negromante
Ah! così voi diceste il vero! interruppe mastro Benedicite. Io, per me, con buona pace del magnifico conte Ugo, credo che ne sia grande il bisogno.
Ma raccontatemi dunque, ve ne prego in nome dei vostri diletti falconi, o nobile accipitrario disse il pellegrino, alludendo alla professione del falconiere che cosa avviene egli in quella torre del Negromante?
La è una storia lunga rispose mastro Benedicite siccome vi ha detto messer lo conte pur mo', ed ha cominciato da Ugo il Negromante, che dopo aver preso il convento ai monaci di San Bernardo, per farne una rocca, si trasse il diavolo in casa con le sue stregonerie.
Cioè soggiunse il conte furono i monaci che inventarono questa storia del diavolo, per vendicarsi della perdita del convento. Ma basti, ve la dirò io, questa leggenda, poichè il mio falconiere ci menerebbe troppo per le lunghe. Si narra adunque che, dopo la morte di Ugo il Negromante, in certe notti dell'anno si vedessero apparir fiamme dalle finestre della torre che sta sul burrone; che poi queste fiamme si vedessero ogni notte; e v'ebbe chi giurò d'aver veduto nel bagliore il profilo del mio antenato. Altri disse del diavolo; altri di tutt'e due, che stessero amichevolmente a colloquio. Comunque sia, cose strane si vedevano; e frattanto, chi dormiva nelle stanze della torre non udiva mai nulla, non si addava di nulla; che anzi, appena postosi a letto, era côlto da sonno così profondo che fino a giorno inoltrato non c'era più verso di svegliarlo. Notate, messer pellegrino; non sono io che vi narro queste cose; è la cronaca di Roccamàla. Ed essa narra eziandio che, dopo molti anni di queste paurose apparizioni, uno dei miei maggiori, Aleramo il biancamano, mandò pei monaci, e con donativi alla loro comunità cercò di renderseli benevoli, affinchè cacciassero il demonio dalla torre del Negromante. Ma, o fosse che i loro scongiuri non approdassero, o che non bastassero i presenti del mio trisavolo, fatto sta che il demonio non volle uscir fuori, e bisognò chiamare quassù il santo vescovo Gualberto, uscito dall'ordine de' Cisterciensi medesimi, il quale una notte si chiuse nel luogo maledetto, dopo essersi fatto dare un foglio di pergamena, chiuso in una fascia di pelle nera, e non ricomparve che la mattina seguente. Ma egli pare che il santo vescovo avesse sfruttato per bene il suo tempo, imperocchè corse la voce che egli avesse parlato con lo spirito maligno, e trovatolo duro anzichè no, avesse pure ottenuto da lui la promessa di non rimetter più piede in Roccamàla, sotto certe condizioni, le quali furono scritte nella pergamena e sottoscritte dai due in formis ed modis. Dico bene, mastro Benedicite?
Benissimo, messer lo conte, benissimo!
E queste condizioni, disse il pellegrino, che aveva mostrato di udire con molta attenzione la leggenda del suo ospite quali erano esse?
Affè, ch'io non saprei dirvele ora! rispose il conte. Ma egli mi par di aver udito che tra l'altre ci fosse questa di rinunziare a' suoi diritti di possesso su Roccamàla, fino a tanto non ci fosse tra i suoi signori un uomo contento.
Bizzarro, quel demonio! esclamò il pellegrino.
Ve l'ho detto, messere; questa favola deve essere stata messa fuori dai nostri ottimi frati, e resa poi più credibile dal fatto che tutti i signori di Roccamàla furono gente malinconica oltremodo. Che ha il castellano che non lo si vede mai a sorridere? Non sapete? i signori della rocca non possono essere lieti mai; il santo vescovo Gualberto sapeva pure il fatto suo, quando accettò il patto del diavolo. O come volete che faccia egli a tornare, se questi castellani, di padre in figlio, son sempre così rannuvolati? E così, una storia siffatta ha potuto essere creduta, e sopra tutto accresciuta dalle superstizioni del volgo.
E il libro?..
Ah, il libro nero? Benedicite vi potrà raccontare com'è scritto, come legato, e quante borchie, quanti fermagli ci avesse sulla negra coperta; ma ohimè, vedete leggenda sciagurata! nè egli l'ha visto, nè altri al mondo.
Messere esclamò Benedicite, con accento di rispettoso rimprovero.
Sì, sì, ripigliò il conte sorridendo la nota cronaca racconta che il libro nero fosse chiuso in un armadio di legno, rivestito di ferro, che sta ancor di presente nella torre. Ma si è rovistato ogni cassettone, ogni ripostiglio, e il libro non è comparso. S'è picchiato su per le pareti, cercando se si sentisse alcun vuoto, ma le furono novelle. Chi vi dirò io di vantaggio? Da Aleramo biancamano in poi, nessuno mai seppe di questo negozio, chè certo ha da essere stato inventato più tardi dal convento vicino. Infatti il mio trisavolo non ne tramandò memoria veruna, e non ne seppero nulla, almeno per diretta via, nè Corrado senza paura, nè Ingone il rosso, nè Roberto il taciturno, che fu mio padre. Ora, voi sapete tutto, cioè quanto rileva, della leggenda di mastro Benedicite, la quale vuol essere compiuta col dirvi che nella stanza della torre, e sempre a cagione di questa favola, non ci dorme più alcuno, sebbene ella sia una delle migliori di Roccamàla.