a cadere, su le nostre mani, sul nostro viso, gocce di pioggia tiepide come lacrime. Io direi, con la voce alterata: Rientriamo. E, presso la soglia, allimprovviso, la prenderei su le mie braccia, la sentirei abbandonarsi come esanime, la porterei su per le scale senza avvertire alcun peso. Dopo tanto! Dopo tanto! La violenza del desiderio in me attenuata dalla paura di farle male, di strapparle un grido di dolore. Dopo tanto! E i nostri esseri, allurto di una sensazione divina e terrribile, non provata né imaginata mai, si struggerebbero. Ed ella, dodpo, mi parrebbe quasi morente, con la faccia tutta molle di pianto, pallida come il suo guanciale.
Ah, così me parve, morente mi parve, quella mattina, quando i dottori laddormentavano col cloroformio ed elle, sentendose sprofondare nellinsensibilità della morte, due o tre volte tentò di alzare le braccia verso di me, tentò di chamarmi. Io uscii dalla stanza, sconvolto; e intravidi i ferri chirurgici, un specie di cuchiaio tagliente, e la garza e il cotone e il ghiaccio e le altre cose preparate su un tavolo. Due lunghe ore, interminabili ore, aspettai, esacerbando la mia sofferenza con leccesso delle imaginazioni. E una disperata pietà strinse le mie viscere duomo, per quella creatura che i ferri del chirurgo violavano non soltanto nella carne miserabile ma nellintimo dellanima, nel sentimento piu delicato che una donna possa custodire: una pietà per quella e per le altre, agitate da aspirazioni indefinite verso le idealità dellamore, illuse dal sogno capzioso di cui il desiderio maschile le avvolge, smanianti dinalzarsi, e così deboli, così malsane, così imperfette, uguagliate alle femmine brute dalle leggi inabolibili della Natura; che impone a loro il diritto della specie, sforza le loro matrici, le travaglia di morbi orrendi, le lascia esposte, a tutte le degenerazioni. E in quella e nelle altre, rabbrividendo per ogni fibra, io vidi allora, con una lucidità spaventevole, vidi la piaga originale, la turpe ferita sempre aperta che sanguina e che pute
Quando rientrai nella stanza di Giuliana, ella era ancóra sotto lazione dellanestetico, senza conoscenza, senza parola: ancóra simile a una morente. Mia madre era ancóra pallidissima e convulsa. Ma pareva che loperazione fosse riuscita bene; i dottori parevano soddisfatti. Lodore del iodoformio impregnava laria. In un canto, la monaca inglese empiva di ghiaccio una vescica; lassistente ravvolgeva una fascia. Le cose tornavano nellordine e nella calma, a poco a poco.
Linferma rimase a lungo in quel sopore; la febbre comparve leggerissima. Nella notte però ella fu presa da spasimi allo stomaco e da un vomito infrenabile. Il laudano non la calmava. E io, fuori di me, allo spettacolo di quello strazio inumano, credendo chella dovesse morire, non so più che dissi, non so più che feci. Agonizzai con lei.
Nel giorno seguente, lo stato dellinferma migliorò; e poi, di giorno in giorno, andò ancóra migliorando. Le forze lentissimamente tornavano.
Io fui assiduo al capezzale. Mettevo una certa ostentazione nel ricordare a lei, con i miei atti, linfermiere duna volta; ma il sentimento era diverso, era sempre fraterno. Spesso io avevo lo spirito preoccupato da qualche frase duna lettera dellamante lontana, mentre leggevo a lei qualche pagina dun libro preferito. LAssente era indimenticabile. Talora però, quando nel rispondere a una lettera mi sentivo un po svogliato e quasi tediato, in certe strane pause che nella lontananza ha anche una passione forte, io credevo questo un indizio di disamore; e ripetevo a me stesso: Chi sa!.
Un giorno, mia madre disse a Giuliana, in mia presenza: Quando ti leverai, quando ti potrai muovere, andremo tutti insieme alla Badiola. Non è vero, Tullio?
Giuliana mi guardò.
Sì, mamma risposi, senza esitare, senza riflettere. Anzi, io e Giuliana andremo a Villalilla.
Ed ella di nuovo mi guardò; e sorrise, dun sorriso impreveduto, indescrivibile, che aveva una espressione di credulità quasi infantile, che somigliava un poco a quello dun bambino malato a cui sia fatta una grande insperata promessa. Ed abbassò le palpebre; e continuò a sorridere, con gli occhi socchiusi che vedevano qualche cosa lontana, molto lontana. E il sorriso sattenuava, sattenuava, senza estinguersi.
Quanto mi piacque! Come ladorai, in quel momento! Come sentii che nulla al mondo vale la semplice commozione della bontà!
Una bontà infinita emanava da quella creatura e mi penetrava tutto lessere, mi colmava il cuore. Ella stava nel letto supina, rialzata da due o tre guanciali; e la sua faccia dallabondanza dei capelli castagni un poco rilasciati acquistava
una finezza estrema, una specie dimmaterialità apparente. Aveva una camicia chiusa intorno al collo, chiusa intorno ai polsi; e le sue mani posavano sul lenzuolo, prone, così pallide che soltanto le vene azzurre le distinguevano dal lino.
Presi una di quelle mani (mia madre era già uscita dalla stanza); e dissi sottovoce:
Torneremo dunque a Villalilla.
La convalescente disse: