“Oddio. Non so se posso farlo!”
“Beh, qualcosa ti sta dicendo che è ora. Ci sono già state anche troppe coincidenze.”
“Hai ragione. Posso farlo. Un gioco da ragazzi,” rispose Cadence, ma il suo tono era quasi sarcastico.
“Bene. Sono felice che sia chiaro. Ora me ne torno a letto. Non devo essere al lavoro per almeno altre due ore.”
“Aspetta, Joy–” Si fermò subito, guardò il telefono e imprecò. “Maledizione!”
Si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro, sembrando persa nei suoi pensieri. Seguii le linee del suo piccolo corpo. Stava bene, veramente bene in realtà. Le sue curve erano più pronunciate, I seni e i fianchi più armoniosi di quanto ricordassi ma ancora snelli e in forma. Il corpo che stavo guardando apparteneva a una donna, non alla giovane ragazza di cui mi ero innamorato. Tuttavia, nonostante gli anni che erano passati, desideravo allungare il braccio e toccarla.
Non avrei dovuto origliare la sua conversazione, ma nel momento in cui avevo sentito il mio nome non avevo potuto farne a meno. Ero curioso di sapere di cosa stessero parlando e di cosa si presumeva dovesse dirmi.
Ed ero molto curioso su di lei.
Era la ragazza che aveva scosso il mio mondo circa diciassette anni prima, e da allora avevo raramente pensato a un’altra donna—e questo valeva anche per gli anni che avevo passato da sposato. Mentre mi domandavo se uscire dal mio nascondiglio e farmi vedere, mi resi conto dell’ironia della situazione. La stavo spiando, proprio come avevo fatto il primo giorno che l’avevo vista al lago. E ora ero qui anche oggi. Forse, come si dice, la storia si ripete. Toccava a me cambiare il suo corso.
“Cadence,” dissi ad alta voce quando mi mossi da dietro il monumento.
Lei fece un salto e si girò portandosi la mano al petto.
“Mi hai spaventata da morire!”
“Mi dispiace. Non volevo farlo,” mi scusai mentre mi avvicinavo. La mia memoria non le rendeva giustizia. Era ancora più meravigliosa di quanto ricordassi, facendomi quasi sussultare per l’incredulità. Non pensavo fosse possibile che lei fosse ancora più splendida di quanto era una volta. Mi schiarii la gola. “Devo dire, è un piacere incontrarti qui.”
Riprendendosi dallo shock della mia improvvisa apparizione, sembrò riaversi.
“Sì, già, un piacere. Ecco, io io…” balbettò. “Io in realtà devo andare. Stavo giusto per riprendere a correre.”
“Aspetta,” dissi e allungai la mano per afferrarle il braccio. Quando il mio palmo toccò la sua pelle, si bloccò. Così feci io e la stessa aria sembrò sfrigolare. Io quasi non ero in grado di parlare o di riordinare il mio cervello per farmi muovere. Era la prima volta che la toccavo in più di diciassette anni. La mia gola divenne secca in modo ridicolo e dovetti schiarirmela prima di poter parlare di nuovo. “É passato così tanto tempo. Come stai?”
Lei si liberò il braccio e si massaggiò la zona dove era stata la mia mano. L’azione non sembrava dire che era stata offesa dal mio tocco, ma piuttosto che il contatto l’aveva fatta sentire come mi ero sentito io. I suoi occhi verdi brillavano come smeraldi nel primo sole del mattino.
Erano sempre stati così accesi?
“Io bene,” rispose. “Tu?”
Cominciai a parlare di nuovo ma le parole non volevano uscire. Era come se stessi ancora assorbendo tutta l’incredulità di vederla di nuovo. Dovetti ricordarmi che era reale e non un folle sogno che si era ripetuto per gli ultimi diciassette anni.
“Non male,” fu tutto quello che riuscii a dire.
“Bene, ottimo. Ma, ecco, come ti ho detto, devo andare.”
Sembrava nervosa, ma non potevo lasciare andare via—non di nuovo. Almeno non fino a quando non avessi capito di cosa trattasse la sua conversazione telefonica. Quando lei mi fece un piccolo cenno con la mano e si girò per ricominciare a correre, corsi in avanti per mettermi nel gradino vicino a lei. Lei piegò la testa per guardarmi con curiosità ma non disse nulla.
“Vivi da queste parti?”
“Sì, nella zona di Washington, sì.” La sua risposta fu cauta. Fui in grado di apprezzarla. Dopo tutto, era passato così tanto tempo. Per quel che ne sapeva, potevo essere diventato uno psicopatico. Tuttavia, dovevo continuare a parlare.
“Io vivo ad Alexandria, ma il mio ufficio è nell’East End. Il Mall è comodo e corro su questo percorso quasi ogni giorno. Stranamente non ti ho mai vista fino a oggi. Corri spesso qui?”
“No, ho appena cominciato a venire qui perché stanno facendo dei lavori sui marciapiedi del mio quartiere.” Una ciocca di capelli uscì dalla treccia mentre correvamo. Ebbi il desiderio di allungare il braccio e mettergliela dietro l’orecchio ma mi trattenni.
“Credo che allora dovrei ringraziare il DDOT.”
“Per cosa?”
“Per aver rotto I marciapiedi. Questo ha cambiato la tua routine e ci ha permesso di incontrarci.” Lei mi guardò di soppiatto ma, ancora una volta, non rispose e quindi proseguii. “Non ho potuto fare a meno di sentirti al telefono.”
Cadence si fermò improvvisamente. Quando mi girai per guardarla vidi il suo volto impallidito. Sembrava che avesse appena visto un fantasma. Smisi di correre e tornai indietro camminando verso di lei.
“Lo hai fatto?” disse con un tono di voce molto alto.
“Sì, mi spiace. Non avrei dovuto. Dopo tutto. Già una volta mia hai fatto una lezione sul fatto che spiare non fosse educato,” dissi sorridendo sperando di metterla a suo agio richiamando un vecchio ricordo. “Ora però sono curioso. Cosa dovevi dirmi?”
“Nulla,” disse, solo un po’ troppo velocemente.
Interessante.
Ora ero veramente curioso.
“Guarda, è passato un bel po’ di tempo Cadence. Per quanto mi stia piacendo questa corsa inaspettata con te, preferirei parlare senza ansimare per lo sforzo. Perché non ci fermiamo e andiamo a prendere una tazza di caffè? Possiamo recuperare.”
Lei abbassò lo sguardo e scosse la testa. Quando alzò gli occhi per guardarmi di nuovo, i suoi occhi erano addolorati. Allungai il braccio e le presi una mano, capendo subito che era un errore. Era sempre stata uno dolore costante nel mio petto e questo movimento mi portava pericolosamente vicino a lei. Guardai verso le sue labbra a forma di cuore. Il bisogno di baciarla fu innegabile.
Cristo, datti una calmata.
Non so come succedesse così velocemente, ma non avrei dovuto esserne sorpreso. Anche quando eravamo più giovani le cose erano andate velocemente. Ora, con la sua piccola mano tra i miei palmi, seppi con assoluta certezza che non volevo lasciarla andare. Non riuscii a obbligarmi a fare un passo indietro.
Per la prima volta dopo diciassette anni, lei mi stava guardando. Pensavo mi fosse passata, ma solo tenerle la mano mi fece capire che non era così—proprio per nulla. In qualche modo, nel corso di un’estate, Cadence mi aveva virtualmente reso inutile per qualsiasi altra donna. Volevo poterlo negare, ma se ci avessi provato, sarebbe stato solo mentire a me stesso. Sicuramente mi ero imbattuto in altre donne meravigliose nel corso della mia vita ma nessuna di loro mi aveva mai attivato come aveva fatto Cadence. La forza magnetica che sentivo sempre verso di lei era ancora presente, forte proprio come il giorno in cui ci eravamo incontrati. Questa poteva essere la mia possibilità per spiegarmi—per scusarmi per non aver avuto le palle di oppormi a mio padre tanti anni prima. Lei doveva sentirmi e sapere che non era passato un singolo giorno senza che avessi pensato a lei.
“Non credo che il caffè sia una buona idea, Fitz,” sussurrò.
“Perché no?”
“Perché io…” iniziò a dire.
Poi mi venne un altro pensiero e guardai velocemente in basso verso la sua mano ancora nella mia—nessun anello. Cercai di nascondere il mio sollievo. Ero stato così preso dall’averla vista di nuovo, che non mi era proprio venuto in mente che lei poteva essersi concessa a qualcun altro. Solo l’idea che lei stesse con un altro uomo mi fece contrarre le viscere anche se non ne avevo alcun diritto.