Favaro Alberto - Definita стр 11.

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Alla fine, era risultato che Andrés era un destinatario della DACA.

“Emilia, dove è Andrés ora?”

Lei trattenne un singhiozzo.

“L’agente ci fece delle domande sul motivo per cui eravamo così lontani da casa, e Andrés fu portato alla stazione di polizia per ulteriori indagini. Fu rilasciato poche ore dopo ma gli fu data una segnalazione per violazione stradale e un appuntamento in tribunale. Io ci andai con lui. Andrés fu dichiarato colpevole di violazione stradale per non essersi fermato a uno stop. Gli fu data una multa da pagare, che pagammo prima di andarcene. Quando uscimmo dal tribunale, un uomo in uniforme chiamò Andrés per nome e cognome. Non ci aspettavamo che l’uomo fosse un agente dell’ICE. Ce n’erano tre in totale, che ci stavano aspettando. Andrés fu sottoposto a fermo lì.” Lei mi fissava con un’espressione di confusione come se non riuscisse a credere al suo stesso racconto. “Mi ci sono volute due settimane per scoprire dove lo hanno portato. Attualmente è chiuso nel dipartimento penitenziario di Washington. Sono già cominciate le procedure per deportarlo—e tutto perché non si è fermato a un segnale di stop.”

6

Fitz

La mia sveglia suonò alle cinque martedì. Dopo essermi assicurato che Austin fosse pronto per la scuola, partii per la mia corsa mattutina, lasciandomi parecchio tempo per essere in ufficio alle otto. Mentre i miei piedi calpestavano l’asfalto, il sudore mi gocciolava lungo il collo e mi scendeva lungo la colonna vertebrale. Feci una pausa al Lincoln Memorial per allungarmi i polpacci prima di cominciare il secondo giro del mio percorso da quattro miglia. Il vecchio Abe sembrava perso nei suoi pensieri, godendosi la luce del sole del primo mattino mentre fissava sulla piscina riflettente l’immagine del Washington Monument. Pensai che la sua espressione potesse accoppiarsi alla mia. La mia mente era in subbuglio, combattuta per le minacce di mio padre. Non sapevo se avesse il coraggio di andare avanti e c’era molto in palio.

Si presumeva che io incontrassi i membri delI’RNC il sabato sera precedente. Avevo dato buca e ora mio padre era sul piede di guerra. Non aveva importanza. Poteva pensare che fossi debole ma si sbagliava. Non ero più il pollo di una volta. Gli avevo permesso di infliggermi anche troppi danni nella mia vita e non gli avrei permesso di lasciare che la storia si ripetesse.

Vidi un movimento con l’angolo dell’occhio e alzai lo sguardo dalla posizione di allungo in cui mi trovavo. Dall’angolo, emerse una bionda con abbigliamento da corsa aderente, correndo nella direzione opposta a quella da cui ero arrivato. Non era strano vedere un’altra jogger. Molte persone correvano lungo il Mall a quell’ora del mattino. Tornai a completare I miei allungamenti, poi mi misi in posizione eretta e passai alle braccia. Pronto per cominciare il mio giro successivo iniziai con un’andatura moderata, colmando lentamente la distanza tra me e la runner.

Quando la oltrepassai, cominciai a faticare a camminare. Battei le palpebre combattendo contro l’immagine della donna che avevo appena incrociato.

Smisi di correre e mi guardai indietro. Lei non aveva rallentato, ma si stava guardando alle spalle—guardando me. Quando vide che mi ero fermato, si girò velocemente e sembrò incrementare il ritmo.

“No, non è lei,” dissi tra me ad alta voce.

Scossi la testa. Lo stress a cui ero sottoposto mi stava facendo vedere cose. Tuttavia, mentre vedevo la sua piccola figura allontanarsi da me, non riuscivo a scacciare l’assillante sensazione che fosse lei—la ragazza che aveva stregato i miei sogni sin da quando avevo ventidue anni. Impulsivamente, mi girai e cominciai a inseguirla. Dovevo sapere. Se non era lei, allora avrei inventato qualche scusa su un errore di identità e sarei tornato sui miei passi.

Era veloce, dovevo proprio ammetterlo. Ero al massimo e avevo a malapena chiuso la distanza tra di noi. Con mio grande sgomento, uscì dal sentiero e girò attorno alla parete del Korean Memorial, scomparendo dalla mia vista.

Cazzo!

Quando raggiunsi la parete, mi guardai in giro. I turisti più mattutini stavano girovagando per la zona, scattando foto delle statue create per commemorare la guerra dimenticata. Controllai di nuovo la zona. Lei non c’era da nessuna parte. Era come se fosse svanita dalla faccia della terra.

Sto inseguendo un maledetto fantasma.

Convinto di aver completamente perso la testa, decisi di lasciar perdere il resto della mia routine di allenamento. Avevo lasciato la mia Audi parcheggiata nella quattordicesima strada. La strada di ritorno più veloce per arrivarci era quella di tagliare lungo il sentiero che mi avrebbe portato attraverso l’Ash Woods.

E fu così che la trovai.

Lei si stava avvicinando ai gradini del D.C. War Memorial. Facendo attenzione a restare fuori dalla sua vista, camminai lungo il lato opposto del monumento circolare. La guardai mentre si sedeva sui gradini e tirava fuori quello che sembrava un telefono cellulare. Da quell’angolazione non riuscivo a vedere il suo volto, solo la parte posteriore della sua testa. I suoi capelli—quel colore dorato che mi riportava indietro di quasi due decenni—erano raccolti in una treccia. Un’altra cosa che mi riportava indietro nel tempo. Fissando le ciocche gialle e dorate che si intrecciavano, seppi che doveva essere lei. Solo lei aveva I capelli così.

Potevo sentire che parlava con qualcuno. Aveva il cellulare in vivavoce, perciò la conversazione era forte e chiara.

“Per l’amor di Dio,” disse la voce all’altro capo della linea. “Ragazza, hai idea di che ore sono?”

“Oh, taci,” disse la bionda. La sua voce era netta e, al contempo, femminile. E così fottutamente familiare. “So che è presto ma ascolta. Questa è grossa. L’ho visto.”

“Visto chi?”

“Fitz!” sibilò il mio nome, dandomi la certezza che questa donna era effettivamente la donna dei miei sogni.

“Okay, ora sono sveglia. Cosa intendi dire con hai visto Fitz? Ne sei sicura?”

“Sì, ecco, no. I suoi capelli erano leggermente più lunghi ma… sì, sono sicura fosse lui.”

“Dove lo hai visto, Cadence?”

Bingo. É lei.

Un’ondata di soddisfazione mi travolse prima che un altro pensiero mi colpisse sul petto come una martellata.

Cadence. É veramente lei, in carne e ossa e solo a pochi passi da me.

Ricordi di caldi serate estive mi passarono davanti agli occhi. La vidi di nuovo, vicino al lago con i suoi occhi verdi scintillanti e i capelli luccicanti alla luce di un tramonto che stava scolorendo. Potevo quasi sentirla tra le mie braccia—anche ora. Il calore del suo abbraccio, il modo in cui sussurrava il mio nome quando la baciavo…

Cadence cominciò a parlare di nuovo, strappandomi da un passato lontano.

“Durante la mia corsa del mattino,” la sentii spiegare alla persona al telefono. “Stava correndo anche lui. Gli sono passata vicino ma non sono sicura che abbia capito che ero io.”

“Gli hai parlato?”

“Sei pazza?” urlò Cadence, poi sembrò riprendere il controllo. Si guardò nervosamente attorno per un momento e dovetti accucciarmi per restare nascosto. Quando parlò di nuovo, la sua voce era decisamente più bassa e dovetti sforzarmi per sentirla. “Seriamente, Joy. Quali sono le probabilità di vederlo correre al Mall dopo tutto questo tempo? E specialmente ora!”

Joy. La ragazza afroamericana che lavorava al negozio con Cadence.

Sorrisi tra me, compiaciuto per qualche strano motivo del fatto che fossero rimaste amiche dopo tutto quel tempo.

“Tutto questo è inquietante—come se ci fosse qualcosa di spettrale da capire,” disse Joy. “Non so, cara. Le stelle sembrano allinearsi in un modo veramente strano. Non importa quanto sia passato. Devi dirglielo.”

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