Морган Райс - Un Cielo Di Incantesimi стр 13.

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“Vedo molti più MacGil su questo campo,” disse Illepra speranzosa, “e nessuna fiammata di drago. Magari Godfrey si trova qui.”

Reece sollevò lo sguardo e vide migliaia di cadaveri. Si chiese, ammesso che si trovasse lì, se mai sarebbero riusciti a trovarlo.

Anche Reece andò in cadavere in cadavere, come gli altri, rigirandoli per osservarli. Vide tutti i volti della sua gente, faccia dopo faccia. Ne riconobbe alcuni, altri no; gente che aveva conosciuto e con cui aveva combattuto, persone che avevano lottato per suo padre. Si meravigliò della devastazione discesa sulla sua patria, come un flagello, e sperò sinceramente che fosse finalmente terminata. Aveva visto tante battaglie, guerre e cadaveri da potergli bastare per una vita. Era pronto a stabilirsi dando inizio a una vita di pace e salute; era pronto a ricominciare da capo.

“QU!” gridò Indra, la voce carica di eccitazione. Si trovava in piedi accanto a un corpo e lo osservava.

Illepra si voltò e corse verso di lei, mentre tutti gli altri si raccoglievano attorno. Si inginocchiò accanto al corpo con le lacrime che le inondavano li viso. Anche Reece si mise in ginocchio vicino a lei e sussultò vedendo suo fratello.

Godfrey.

La pancia prominente, la barba incolta, gli occhi chiusi, pallido, le mani blu e fredde. Sembrava morto.

Illepra si chino su di lui e lo scosse ripetutamente, ma lui non rispose.

“Godfrey! Per favore! Svegliati! Sono io! Illepra! GODFREY!”

Continuò a scuoterlo, ma lui non si mosse. Alla fine si voltò angosciata verso gli altri, guardando le loro cinture.

“La tua borraccia del vino!” chiese a O’Connor.

O’Connor cercò alla vita e la prese velocemente porgendola ad Illepra.

Lei la prese e la tenne sospesa sopra la faccia di Godfrey, versandone il contenuto verso le labbra. Gli sostenne la testa, gli aprì la bocca e versò del vino sulla sua lingua.

La reazione fu improvvisa: Godfrey si leccò le labbra e deglutì.

Tossì e poi si mise a sedere, afferrando la borraccia, con gli occhi ancora chiusi, e bevendo fino a svuotarla tutta. Lentamente aprì poi gli occhi e si asciugò la bocca con il dorso della mano. Si guardò in giro, confuso e disorientato, poi ruttò.

Illepra gridò di gioia, chinandosi verso di lui e abbracciandolo con forza.

“Sei sopravvissuto!” esclamò.

Reece sospirò di sollievo mentre suo fratello si guardava in giro, confuso ma definitivamente vivo.

Elden e Serna afferrarono Godfrey sotto le braccia e lo sollevarono in piedi. Godfrey rimase in piedi, inizialmente barcollante, e fece ancora un lungo sorso dalla borraccia, asciugandosi la bocca con il dorso della mano.

Poi si guardò attorno con la vista annebbiata.

“Dove mi trovo?” chiese. Si grattò la testa, dove si trovava un grosso livido, e subito strizzò gli occhi per il dolore.

Illepra osservò la ferita con occhi esperti passandovi sopra la mano, toccando il sangue seccato sopra la sua testa.

“Ti hanno ferito,” gli disse. “Ma puoi essere fiero: sei vivo. Sei salvo.”

Godfrey barcollò, ma gli altri lo sostennero.

“Non è una ferita seria,” disse esaminandolo, “ma hai bisogno di riposo.”

Prese una benda dalla vita e iniziò ad avvolgergliela attorno alla testa, facendo diversi giri mentre Godfrey trasaliva e la guardava. Poi si guardò in giro e osservò i cadaveri, sgranando gli occhi.

“Sono vivo,” disse. “Non posso crederci.”

“Ce l’hai fatta,” disse Reece, stringendogli con gioia le spalle. “Sapevo che ce l’avresti fatta.”

Illepra lo abbracciò, stringendolo, e lentamente anche lui la strinse a sé.

“Quindi è così che ci si sente ad essere un eroe,” disse Godfrey facendo ridere tutti. “Datemi ancora da bere,” disse, “e magari lo farò più spesso.”

Fece un’altra grossa sorsata e alla fine si mise a camminare con loro, appoggiandosi ad Illepra, un braccio attorno alle sue spalle, mentre lei lo aiutava a tenere l’equilibrio.

“Dove sono gli altri?” chiese Godfrey mentre camminavano.

“Non lo sappiamo,” disse Reece. “Da qualche parte verso ovest, spero. È da quella parte che siamo diretti. Stiamo marciando verso la Corte del Re. Per vedere chi è ancora vivo.”

Reece sussultò mentre pronunciava quelle parole. Guardò verso l’orizzonte e pregò che i suoi connazionali avessero incontrato un destino simile a quello di Godfrey. Pensò a Thor, a sua sorella Gwendolyn, a suo fratello Kendrick, a tutti gli altri che amava. Ma sapeva che il massiccio esercito dell’Impero si trovava ancora davanti a loro, e a giudicate dal numero di morti e feriti che avevano già visto, aveva il brutto presentimento che il peggio dovesse ancora giungere.

CAPITOLO OTTO

Thorgrin, Kendrick, Erec, Srog e Bronson facevano da muro compatto contro l’esercito dell’Impero, i loro uomini dietro di loro, le armi sguainate, pronti ad affrontare il violento attacco da parte delle truppe nemiche. Thor sapeva che questo sarebbe stato il suo attacco andando incontro alla morte, l’ultima battaglia della sua vita, eppure non aveva niente di cui pentirsi. Sarebbe morto lì, affrontando il nemico, in piedi e con la spada alla mano, i suoi fratelli d’armi al suo fianco, difendendo la sua madrepatria. Avrebbe così avuto un’occasione di rimediare a ciò che aveva fatto prima, affrontando la sua stessa gente. Non c’era niente di più che avrebbe potuto chiedere in vita sua.

Pensò a Gwendolyn e pensò solo che gli sarebbe piaciuto poter avere più tempo per lei. Pregò che Steffen fosse riuscito a portarla al sicuro e che lei ora fosse salva, dietro le linee dell’esercito. Si sentiva determinato a combattere con tutto se stesso, a uccidere quanti più soldati dell’Impero poteva, anche solo per evitare che le facessero del male.

Mentre si trovava lì sentiva la solidarietà dei suoi fratelli d’armi, tutti privi di timore, valorosi, pronti a tenere testa al nemico. Erano gli uomini migliori del regno, i migliori cavalieri dell’Argento, dei MacGil, dei Silesiani, tutti uniti, nessuno intenzionato ad arretrare per la paura, nonostante le loro scarse probabilità. Erano tutti pronti a rinunciare alla propria vita per difendere la patria. Consideravano tutti l’onore e la libertà più importanti della vita.

Thor udì i corni che risuonavano lungo le linee, guardò le divisioni di innumerevoli uomini allineati in precise unità. Erano soldati disciplinati quelli che stava per affrontare, soldati guidati da comandanti spietati che avevano combattuto per tutta la vita. Era una macchina da guerra ben oliata, erano allenati per andare avanti alla anche dopo la morte del loro capo. Un nuovo comandante senza nome si fece avanti per guidare le truppe. I loro numeri erano grandiosi, infiniti, e Thor sapeva che non c’era modo per loro di sconfiggerli con i pochi uomini che avevano. Ma questo non importava più. Non aveva importanza se fossero morti. Tutto ciò che contava era come sarebbero morti. Sarebbero morti in piedi, da uomini, in un ultimo scontro di valore.

“Dobbiamo aspettare che siano loro a venire da noi?” chiese Erec a voce alta. “O è meglio che offriamo loro il saluto dei MacGil?”

Thor sorrise insieme agli altri. Non c’era niente di simile a un piccolo esercito che ne affrontava uno più grande. Era una sfida spericolata, eppure costituiva il culmine del coraggio.

All’unisono Thor e i suoi uomini improvvisamente lanciarono un grido di battaglia e si lanciarono tutti insieme alla carica. Partirono di corsa a piedi, affrettandosi a coprire lo spazio vuoto tra i due eserciti. Le loro grida squarciarono l’aria, i loro uomini vicini al seguito. Thor teneva alta la spada, correndo accanto ai suoi fratelli, il cuore che gli batteva forte, il vento gelido che gli colpiva il volto. La battaglia era fatta così. Gli ricordò cosa significasse essere vivo.

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