Era rimasto scioccato attraversando un paesaggio di distruzione, campi sterminati di cadaveri, pieni di uccelli spazzini, tutto bruciato dal fuoco dei draghi. Migliaia di cadaveri dell’Impero erano disseminati all’orizzonte, alcuni ancora fumanti. Il fumo si levava dai loro corpi e riempiva l’aria insieme all’insopportabile puzzo di carne bruciata che caratterizzava ormai una terra distrutta. Chiunque non fosse stato ucciso dalla fiammata del drago era stato macellato in battaglia contro i soldati dell’Impero, dei MacGil e dei McCloud. I cadaveri di ogni fazione giacevano a terra, intere città erano state distrutte e c’erano cumuli di macerie ovunque. Reece scosse la testa: quella terra che un tempo era stata così florida ora era stata devastata dalla guerra.
Da quando erano risaliti dal Canyon Reece e gli altri erano determinati a raggiungere casa, a tornare nella parte di Anello appartenente ai MacGil. Non riuscendo a trovare cavalli, avevano marciato fino alla parte dei McCloud, risalendo l’Altopiano e scendendo dall’altro versante. Ora, finalmente, si trovavano in territorio MacGil, e passavano tra nient’altro che rovine e devastazione. Dall’aspetto della terra, i draghi avevano dato una mano a distruggere le truppe dell’Impero e per questo Reece era loro grato. Ma non aveva ancora idea di quale fosse lo stato nel quale avrebbe ritrovato la sua gente. Erano morti tutti nell’Anello? Fino a quel punto pareva di sì. Reece moriva dalla voglia di scoprire se c’era qualcuno che stesse bene.
Ogni volta che raggiungevano un campo di battaglia pieno di morti e feriti – quelli che non erano stati uccisi dalle fiamme del drago – Selese ed Illepra andavano di cadavere in cadavere e li rigiravano controllando la loro identità. Non erano guidate solo dalla loro professione, bensì da un altro scopo: Illepra voleva trovare il fratello di Reece. Godfrey. E anche Reece aveva il medesimo obiettivo.
“Non è qui,” disse Illepra un’altra volta, rialzandosi dopo aver rigirato l’ultimo cadavere di quel campo, con il volto segnato dalla delusione.
Reece comprendeva quanto Godfrey contasse per Illepra e ne era toccato. Anche lui sperava che stesse bene e si trovasse tra i vivi, ma vedendo tutte quelle migliaia di cadaveri aveva il terribile presentimento che non fosse così.
Continuarono a marciare percorrendo campi sterminati, serie di colline, e così facendo scorsero un altro campo di battaglia all’orizzonte, disseminato di migliaia di cadaveri. Si diressero lì.
Mentre camminavano Illepra piangeva in silenzio. Selese le posò una mano sul polso.
“È vivo,” la rassicurò. “Non preoccuparti.”
Reece fece un passo avanti e le mise una mano rassicurante sulla spalla, provando compassione per lei.
“Se c’è una cosa che so di mio fratello,” le disse, “è che è un sopravvissuto. Trova sempre una via di scampo. Anche dalla morte. Te lo prometto. La cosa più probabile è che Godfrey sia già in una taverna da qualche parte, a ubriacarsi.”
Illepra rise tra le lacrime e se le asciugò.
“Lo spero,” disse. “Per la prima volta lo spero davvero.”
Continuarono la loro triste marcia attraversando in silenzio quella terra desolata, ognuno perso nei suoi pensieri. Le immagini del Canyon passavano di tanto in tanto a sprazzi nella mente di Reece: non riusciva a sbarazzarsene. Ripensava alla situazione disperata nella quale si erano trovati e provava immensa gratitudine per Selese: se non fosse giunta al momento giusto si sarebbero trovati ancora là sotto, sicuramente tutti morti.
Reece prese la mano di Selese e le sorrise mentre continuavano a camminare. Era commosso dal suo amore e dalla devozione che provava per lui, dalla sua determinazione nell’attraversare tutta al campagna solo per salvarlo. Provava un’incommensurabile ondata d’amore per lei e non vedeva l’ora di poter avere un momento da solo con lei per poterglielo esprimere. Già desiderava passare il resto della sua vita con lei. Provava nei suoi confronti una lealtà mai provata per nessun altro e non appena avessero avuto un po’ di tempo aveva giurato che le avrebbe chiesto di sposarlo. Le avrebbe dato l’anello di sua madre, quello che lei le aveva dato perché lo donasse all’amore della sua vita quando l’avesse trovata.
“Non posso ancora credere che tu abbia attraversato tutto l’Anello solo per me,” le disse.
Lei sorrise.
“Non era così tanta strada,” gli rispose.
“Non così tanta strada?” le chiese. “Hai messo in pericolo la tua vita per attraversare un territorio devastato dalla guerra. Sono in debito con te. Oltre quanto possa dire.”
“Non mi devi nulla. Sono felice che tu sia vivo.”
“Siamo tutti in debito con te,” si intromise Elden. “Ci hai salvati tutti. Saremmo rimasti bloccati là sotto, nelle viscere della terra, per sempre.”
“Parlando di debiti, ce n’è uno di cui devo discutere con te,” disse Krog a Reece avvicinandoglisi zoppicando. Da quando Illepra gli aveva steccato la gamba in cima al Canyon, almeno Krog era stato capace di camminare da solo, sebbene rigidamente.
“Laggiù mi hai salvato, e ben più di una volta,” continuò. “È stato piuttosto sciocco da parte tua, se me lo chiedi. Ma l’hai fatto lo stesso. Comunque non penso di essere in debito con te.”
Reece scosse la testa, preso alla sprovvista dalla rudezza di Krog e dal suo impacciato tentativo di ringraziarlo.
“Non so se stai cercando di insultarmi o se tenti di ringraziarmi,” disse Reece.
“Ho i miei modi,” disse Krog. “Da ora in poi ho intenzione di guardarti le spalle. Non perché tu mi piaccia ma perché mi sento chiamato a farlo.”
Reece scosse la testa, come sempre sbalordito dal comportamento di Krog.
“Non ti preoccupare,” gli disse. “Neanche tu piaci a me.”
Continuarono tutti a camminare, tutti rilassati, felici di essere vivi, di trovarsi in superficie, di essere tornati da quella parte dell’Anello. Tutti eccetto Conven, che camminava in silenzio, separato dagli altri, chiuso in se stesso fin dalla morte di suo fratello nell’Impero. Niente, neppure la fuga dalla morte, sembrava poterlo scuotere.
Reece ripensò e ricordò come, là sotto, Conven si fosse gettato senza paura incontro al pericolo, una volta dopo l’altra, quasi rischiando di morire per salvare gli altri. Reece non poteva fare a meno di chiedersi se fosse stato spinto più da un desidero di rimanere ucciso che da quello di dare reale aiuto ai compagni. Era preoccupato per lui. Non gli piaceva vederlo così alienato, così perduto e depresso.
Reece gli si avvicinò.
“Hai combattuto brillantemente laggiù,” gli disse.
Conven si limitò a scrollare le spalle e a guardare a terra.
Reece si scervellava alla ricerca di qualcosa da dire, mentre camminavano in silenzio.
“Sei contento di essere tornato a casa?” gli chiese. “Di essere libero?”
Conven si voltò e lo guardò con occhi vuoti.
“Non sono a casa. Non sono libero. Mio fratello è morto. E io non ho il diritto di vivere senza di lui.”
Reece sentì un brivido scorrergli lungo la schiena a quelle parole. Chiaramente Conven era ancora sopraffatto dal dolore e lo portava come un riconoscimento d’onore. Conven era più come un morto che camminava, gli occhi vuoti. Lo ricordava com’era un tempo, sempre pieno di gioia. Capiva che il suo lutto era molto profondo e aveva il brutto presentimento che non si sarebbe mai ripreso. Si chiedeva cosa ne sarebbe stato di Conven. Per la prima volta non gli venne alla mente alcun pensiero positivo.
Continuarono a marciare e le ore passarono. Raggiunsero un altro campo di battaglia, ritrovandosi ancora spalla a spalla con i cadaveri. Illepra e Selese si divisero come anche gli altri, andando di corpo in corpo, rigirandoli e cercando tracce di Godfrey.