Морган Райс - Concessione D’armi стр 9.

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Micople sentì un improvviso dolore pungente tra le sensibili scaglie del muso e vide due soldati dell’Impero, con lance lunghe dieci metri, che la pungolavano attraverso la rete mantenendosi a distanza di sicurezza. Micople cercò di ritrarsi dai loro colpi, ma la rete la teneva immobile. Ringhiò mentre continuavano a punzecchiarla ripetutamente, chiaramente divertiti.

“Non fa più paura adesso, vero?” chiese uno all’altro.

Il compagno rise, pungendola con la lancia vicino all’occhio. Micople si spostò all’ultimo momento, evitando così di essere accecata.

“È innocua come una mosca,” disse uno.

“Ho sentito dire che la metteranno in mostra nel nuovo edificio del congresso dell’Impero.

“Io ho sentito una cosa diversa,” disse un altro. “Dicono che le taglieranno le ali e la tortureranno per tutto il male che ha fatto ai nostri uomini.”

“Mi piacerebbe poterlo vedere.”

“Dobbiamo veramente consegnarla intatta?” chiese uno.

“Ordini.”

“Ma non vedo perché non possiamo almeno maltrattarla un poco. Dopotutto non ha bisogno di entrambi gli occhi, giusto?”

Gli altri risero.

“Beh, se la metti così, direi di no,” rispose il compagno. “E che così sia. Divertiamoci.”

Uno di loro si avvicinò e sollevò un’alta lancia.

“Stai ferma ora, ragazzina!” disse il soldato.

Micople trasalì, impotente, mentre il soldato le si avventava contro, pronto a conficcarle la lancia nell’occhio.

Improvvisamente un’altra ondata si abbatté sulla nave. L’acqua fece cadere il soldato che scivolò dritto verso il suo muso, con gli occhi sgranati per il terrore. Con un grosso sforzo Micople riuscì a sollevare un artiglio giusto per permettere che il soldato le finisse sotto, poi lo abbassò calandolo sulla sua gola.

L’uomo gridò mentre il sangue sgorgava ovunque, mescolandosi con l’acqua e lasciandolo morire dissanguato. Micople sentì una sferzata di soddisfazione.

I soldati rimasti si voltarono e corsero via, gridando impauriti. Nel giro di pochi istanti sopraggiunsero una decina di uomini dell’Impero, tutti con lunghe lance in mano.

“Uccidete la bestia!” gridò uno di loro.

Si avvicinarono tutti per ucciderla e Micople si sentì certa che fosse la sua fine.

Ma poi sentì un’improvvisa rabbia sorgerle dentro, diversa da qualsiasi cosa avesse mai provato. Chiuse gli occhi e pregò Dio di darle un ultimo sprazzo di forza.

Lentamente sentì un forte calore salirle dalla pancia e scorrerle fino alla gola. Sollevò la bocca ed emise un ruggito. Con sua sorpresa dalla bocca le uscì un’enorme fiammata.

Il fuoco attraversò la rete e anche senza distruggerla avvolse gli uomini che le si stavano avvicinando.

Gridarono tutti mentre i loro corpi andavano a fuoco. La maggior parte di essi collassò a terra mentre quelli che non morirono all’istante corsero e saltarono in mare. Micople era soddisfatta.

Apparvero altre decine di soldati, questa volta con delle mazze, e Micople cercò di raccogliere ancora delle fiamme.

Ma questa volta non funzionò. Dio aveva risposto alle sue preghiere e le aveva concesso la grazia di un colpo. Ma ora non c’era nulla che potesse fare. Era grata almeno per ciò che aveva appena fatto.

Decine di soldati si gettarono su di lei, colpendola con le mazze e lentamente Micople si sentì sprofondare, sempre più in basso, chiudendo gli occhi. Si rannicchiò stretta, rassegnata, chiedendosi se il suo tempo in questo mondo fosse giunto al termine.

Presto tutto divenne nero.

CAPITOLO SETTE

Romolo si trovava al timone della sua enorme nave, lo scafo dipinto di nero e oro, con la bandiera dell’Impero – il leone con l’aquila in bocca – che sventolava fiera nel vento. Stava lì con le mani ai fianchi, la sua struttura muscolosa ancora più larga, come se fosse ancorato sul pontile, e guardava le onde impetuose e brillanti del Mar Ambrek. In lontananza si scorgevano le sponde dell’Anello.

Finalmente.

Il cuore di Romolo fremette di attesa quando mise occhio sull’Anello per la prima volta. Sulla sua nave viaggiavano i suoi migliori uomini, diverse decine di soldati di prima scelta, e dietro di loro navigavano migliaia delle migliori navi dell’Impero esistenti. Una vasta armata che riempiva il mare sotto l’egida dell’Impero. Stavano compiendo un lungo viaggio, girando attorno all’Anello determinati a sbarcare dalla parte di McCloud. Romolo aveva programmato di entrare nell’Anello da solo, cogliere di sorpresa il suo vecchio comandante – Andronico – e assassinarlo quando meno se lo aspettasse.

Sorrise al pensiero. Andronico non aveva idea del potere e dell’astuzia del suo numero due al comando, e stava per capirlo nel modo più duro. Non avrebbe mai dovuto sottovalutarlo.

Enormi onde continuavano a sollevarsi e Romolo gioiva tra gli schizzi d’acqua sul volto. Teneva stretto in mano il mantello magico che aveva recuperato nella foresta e sentiva che avrebbe funzionato, che gli avrebbe fatto attraversare il Canyon. Sapeva che quando l’avrebbe messo sarebbe stato invisibile, capace di penetrare oltre lo Scudo ed entrare da solo nell’Anello. La sua missione gli richiedeva di essere furtivo, astuto e di giocare sull’effetto sorpresa. I suoi uomini ovviamente non potevano seguirlo, ma non gli servivano: una volta dentro avrebbe trovato gli uomini di Andronico – uomini dell’Impero – e li avrebbe assoldati per sostenerlo nella sua causa. Li avrebbe divisi e si sarebbe creato il suo esercito, scatenando una guerra civile. Dopotutto i soldati dell’Impero amavano Romolo tanto quanto Andronico. Avrebbe usato gli uomini di Andronico contro di lui.

Poi avrebbe trovato un MacGil, lo avrebbe riportato dall’altra parte del Canyon, come il mantello richiedeva di fare, e se la leggenda era vera lo Scudo sarebbe stato distrutto. Senza lo Scudo avrebbe poi potuto raccogliere tutti i suoi uomini e l’intero esercito si sarebbe riversato all’interno, annientando l’Anello una volta per tutte. Poi, finalmente, Romolo sarebbe stato l’unico sovrano dell’intero universo.

Fece un respiro profondo. Poteva già assaporare la sensazione. Stava combattendo da una vita per un momento come quello.

Guardò il cielo rosso sangue, il secondo sole ormai al tramonto, un’enorme palla all’orizzonte, che a quell’ora del giorno emetteva una luce blu scintillante. Era l’ora del giorno in cui Romolo pregava i suoi dei: il dio della terra, il dio del mare, il dio del cielo, il dio del vento e, soprattutto, il dio della guerra. Sapeva di doverli placare tutti. Era pronto: aveva portato molti schiavi da sacrificare, sapendo che il loro sangue gli avrebbe dato potere.

Le onde continuavano a infrangersi attorno a loro mentre si avvicinavano alla costa. Romolo non attese che gli altri calassero le funi, ma balzò giù dallo scafo non appena la nave toccò la sabbia, un salto di sette metri buoni, atterrando in piedi con l’acqua fino alla vita. Non rabbrividì neppure.

Romolo passeggiava sulla riva come se fosse di sua proprietà lasciando profonde impronte sulla sabbia. Dietro di lui i suoi uomini abbassarono le funi e iniziarono a fissare le navi mentre una barca dopo l’altra arrivavano a destinazione.

Romolo osservò tutto il suo lavoro e sorrise. Il cielo si stava facendo scuro e lui aveva raggiunto la costa nel momento più appropriato per presentare un sacrificio. Sapeva che doveva ringraziare gli dei per questo. Si voltò e si rivolse ai suoi uomini.

“FUOCO!” gridò.

Gli uomini si affrettarono a costruire un’enorme pira, alta cinque metri: una massiccia pila di legno che attendeva solo di essere accesa, sagomata nella  forma di una stella a tre punte.

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