“Mettila giù,” disse.
In segno di buona fede, prese delicatamente la Glock con le punte delle dita e la mise sul tavolo tra i due uomini anziani.
“Fallo,” disse a Ramirez. “Lasciala sul tavolo.”
“Merda,” sussurrò il partner. “Non mi piace per niente. Neanche un po’.” E tuttavia obbedì; appoggiò la pistola sul tavolo. Solo allora l’altro uomo, Tito, mise giù la sua e sorrise.
“Grazie,” disse Desoto. “Non vi preoccupate. Nessuno vuole le vostre pistole da poliziotto. Lì saranno al sicuro. Venite. Parliamo.”
Svanì dalla vista.
Tito indicò una piccola porta rossa, praticamente impossibile da notare data la sua posizione dietro uno dei séparé.
“Prima tu,” disse Ramirez.
Tito fece un inchino ed entrò.
Ramirez fu il secondo e Avery li seguì.
La porta rossa si apriva sulla cucina. Un corridoio portava ancora più a fondo nel palazzo. Proprio davanti a loro c’era una scalinata che scendeva in cantina, ripida e buia. In fondo c’era un’altra porta.
“Ho un brutto presentimento,” sussurrò Ramirez.
“Buono,” sibilò Avery.
Nella stanza oltre la porta era in corso una partita di poker. Cinque uomini, tutti ispanici, ben vestiti e armati di pistole, si ammutolirono al loro arrivo. Il tavolo era coperto di denaro e gioielli e alle pareti dell’ampia stanza erano appoggiati dei divanetti. Su numerosi scaffali Avery notò mitra e machete. C’era anche un’altra porta. Una rapida occhiata ai loro piedi rivelò che nessuno di loro aveva scarpe grandi abbastanza da essere l’assassino.
Sul divano, con le braccia allargate e un enorme sorriso sul volto che rivelava la griglia di denti affilati, c’era Juan Desoto. Il suo fisico era più taurino che umano, pompato e scolpito da allenamenti quotidiani e, Avery immaginò, steroidi. Un gigante anche da seduto, era alto più di due metri. Anche i suoi piedi erano enormi. Almeno un quarantasei, pensò Avery.
“State calmi, tutti quanti, calmi,” ordinò Desoto. “Giocate, giocate,” sospinse i suoi uomini. “Tito, porta loro qualcosa da bere. Che cosa le piacerebbe, agente Black?” chiese con enfasi.
“Mi conosce?” domandò lei.
“Non la conosco,” rispose l’uomo. “Ma so chi è lei. Due anni fa ha arrestato il mio cuginetto Valdez e alcuni dei miei cari amici nei West Side Killers. Sì, ho molti amici in altre bande,” disse, davanti allo sguardo sorpreso di Avery. “Non tutte le gang lottano tra di loro come bestie. Io preferisco pensare più in grande. La prego. Che cosa posso portarle?”
“Per me niente,” rispose Ramirez.
“Sto bene così,” aggiunse lei.
Desoto annuì verso Tito, che uscì da dove era entrato. Tutti gli uomini al tavolo continuarono a giocare a carte, eccetto uno. L’altro uomo era la copia esatta di Desoto, solo molto più piccolo e più giovane. Borbottò qualcosa a Desoto e i due ebbero un’accesa conversazione.
“È il fratello minore di Desoto,” tradusse Ramirez. “Pensa che dovrebbero ucciderci entrambi e buttarci nel fiume. Desoto sta cercando di dirgli che è per questo che è sempre in prigione, perché pensa troppo quando invece dovrebbe tenere la bocca chiusa e ascoltare.”
“Sientate!” gridò alla fine Desoto.
Con riluttanza, il fratello minore si riaccomodò ma fissò Avery in cagnesco.
Desoto prese fiato.
“Le piace essere una poliziotta famosa?” chiese.
“Non proprio,” rispose Avery. “Dà agli uomini come te un bersaglio all’interno del dipartimento di polizia. Non mi piace essere un bersaglio.”
“Vero, vero,” confermò lui.
“Stiamo cercando informazioni,” aggiunse Avery. “Una donna di mezza età di nome Henrietta Venemeer ha una libreria sulla Summer. Libri spirituali, new age, psicologia, cose così. Si dice che non ti piaccia il suo negozio. Qualcuno le stava dando fastidio.”
“E sarei stato io?” esclamò lui sorpreso, indicandosi.
“Tu o i tuoi uomini. Non siamo sicuri. È per questo che siamo qui.”
“Perché sareste venuti fin qui, dentro la tana del lupo, per chiedere di una donna con una libreria? Vi prego, spiegatemi.”
Non sembrò aver riconosciuto né il nome di Henrietta né la sua libreria. A dire la verità, Avery ebbe l’impressione che si sentisse insultato da quell’accusa.
“È stata assassinata la notte scorsa,” disse Avery, facendo molta attenzione agli uomini nella stanza e alle loro reazioni. “Le hanno spezzato il collo e l’hanno legata a uno yacht nella marina su Marginal Street.”
“Perché avrei dovuto fare una cosa del genere?” domandò lui.
“È quello che vogliamo scoprire.”
Desoto iniziò a parlare ai suoi uomini in uno spagnolo rapido e agitato. Il fratello minore e un altro uomo sembravano irritati di essere accusati di qualcosa così chiaramente al di sotto di loro. Invece gli altri tre si fecero imbarazzati sotto quell’interrogatorio. Iniziò una discussione. A un certo punto, Desoto si alzò in preda alla rabbia e sfoggiò tutta la sua altezza e la sua stazza.
“Quei tre sono stati al negozio,” sussurrò Ramirez. “Lo hanno rapinato due volte. Desoto è incazzato perché è la prima volta che ne sente parlare, e non ha mai avuto la sua parte.”
Con un ruggito, Desoto sbatté il pugno sul tavolo e lo spaccò in due. Banconote, monete e gioielli volarono per aria. Una collana quasi frustò Avery al volto e lei fu costretta a spingersi contro la porta. Tutti e cinque gli uomini si alzarono dalle sedie. Il fratello di Desoto gridò per la frustrazione e alzò le braccia. Desoto concentrò tutta la sua furia su un uomo in particolare. Puntò un dito in volto al tizio e volarono minacce.
“È stato lui a portare gli altri al negozio,” bisbigliò Ramirez. “È nei guai.”
Desoto si voltò con le braccia spalancate.
“Vi devo delle scuse,” annunciò. “I miei uomini hanno veramente avvicinato questa donna nel suo negozio. Due volte. È la prima volta che ne sento parlare.”
Il cuore di Avery batteva forte. Erano in una stanza isolata piena di criminali arrabbiati e armati, e nonostante le parole e i gesti di Desoto, l’uomo era una presenza intimidatoria, e se le voci erano vere, un pluriomicida.
“Grazie,” rispose Avery. “Giusto per essere chiari, uno dei tuoi uomini potrebbe aver avuto un motivo per uccidere Henrietta Venemeer?”
“Nessuno uccide senza il mio permesso,” affermò lui categoricamente.
“La Venemeer è stata posizionata in modo strano sulla barca,” insisté Avery. “In bella vista di tutto il porto. Le hanno disegnato una stella sopra la sua testa. Significa qualcosa per te?”
“Ti ricordi mio cugino?” domandò Desoto. “Michael Cruz? Un piccoletto? Magrolino?”
“No.”
“Gli hai spezzato un braccio. Gli ho chiesto come avesse potuto farsi battere da una ragazzina, e lui ha detto che era molto veloce, e forte. Credi che potresti battere me, agente Black?”
Era iniziata una spirale discendente.
Avery riusciva a sentirlo. Desoto si annoiava. Aveva risposto alle loro domande, era seccato e arrabbiato, e aveva due poliziotti disarmati nella saletta privata sotto il suo negozio. Anche gli uomini che stavano giocando a poker ormai erano totalmente concentrati su di loro.
“No,” disse lei. “Secondo me in una lotta corpo a corpo mi ammazzeresti.”
“Credo nella legge del taglione,” disse Desoto. “Credo che quando vengono date informazioni, in cambio ne devono essere ricevute. L’equilibrio,” sottolineò, “è molto importante nella vita. Io ti ho dato delle informazioni. Tu hai arrestato mio cugino. Ora hai preso due volte qualcosa da me. Lo capisci, vero?” domandò. “Tu mi devi qualcosa.”
Avery indietreggiò e assunse la tipica posa da jujitsu, con le gambe piegate leggermente divaricate, le braccia alzate e le mani aperte sotto il mento.
“Che cosa ti devo?” chiese.
Con un grugnito, Desoto balzò in avanti, caricò il braccio destro e colpì.
CAPITOLO SETTE
Nella mente di Avery la stanza si svuotò; divenne nera e tutto ciò che riusciva a vedere erano i cinque uomini, Ramirez accanto a lei e il pugno di Desoto che le si avvicinava al volto. La chiamava la nebbia, una dimensione dove andava spesso ai tempi in cui correva. Un altro mondo, separato dalla sua esistenza fisica. Il suo istruttore di jujitsu la definiva la “consapevolezza definitiva”, uno spazio in cui la sua concentrazione si faceva selettiva, e quindi i sensi erano più amplificati attorno a determinati obiettivi.