Блейк Пирс - Una Ragione per Correre стр 8.

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“È giusto,” rispose con riluttanza O’Malley.

Simms si raddrizzò.

“Juan Desoto sarebbe sicuramente il mio sospettato numero uno. Se questo fosse il mio caso,” sottolineò, “cercherei di andare a trovare lui per primo.”

La frecciatina infastidì Avery.

Davvero mi serve tutto questo? pensò. Anche se era molto incuriosita dal caso, i confini confusi tra i responsabili la disturbavano. Devo seguire i suoi ordini? Ora è lui il mio supervisore? O posso fare quello che voglio?

O’Malley sembrò leggerle il pensiero.

“Credo che qui abbiamo finito. Giusto, Will?” disse, prima di rivolgersi esclusivamente ad Avery e a Ramirez. “Da adesso voi due siete i responsabili, a meno che non dobbiate consultarvi con il detective Simms a proposito delle informazioni di cui abbiamo appena parlato. Proprio ora stanno facendo delle copie dei file per voi. Verranno inviate all’A1. Dunque,” si alzò con un sospiro, “a meno che non ci siano altre domande, potete iniziare. Io ho un dipartimento da gestire.”

*

La tensione dentro l’A7 continuò a innervosire Avery fino a quando non si furono allontanati dall’edificio e dai giornalisti, e furono di nuovo in auto.

“È andata bene,” esultò Ramirez. “Ti rendi conto di cosa è appena successo là dentro?” chiese. “Ti hanno appena affidato il più grosso caso che l’A7 abbia avuto da anni, e solo perché sei Avery Black.”

Avery annuì silenziosamente.

Essere al comando aveva un alto costo. Poteva fare le cose a modo suo, ma se ci fossero stati dei problemi sarebbero stati solo una sua responsabilità. Oltretutto, aveva la sensazione che quella non sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe avuto notizie dall’A7. Mi sembra di avere due capi adesso, gemette dentro di sé.

“Quale è la nostra prossima mossa?” chiese Ramirez.

“Ripartiamo da zero con l’A7 e andiamo a trovare Desoto. Non sono certa di che cosa troveremo, ma se la sua banda stava molestando la proprietaria di una libreria, vorrei sapere il perché.”

Ramirez fischiò.

“Come fai a sapere dove trovarlo?”

“Tutti sanno dove trovarlo. Ha un piccolo caffè su Chelsea Street, vicino alla tangenziale e al parco.”

“Credi che sia il nostro uomo?”

“Non sarebbe la prima volta che Desoto ammazza qualcuno.” Avery scrollò le spalle. “Non sono sicura che questa scena del crimine corrisponda al suo modus operandi, ma potrebbe saperne qualcosa. A Boston è una leggenda. Da quello che so, ha lavorato per i neri, gli irlandesi, gli italiani, gli ispanici, tutti. Quando ero una recluta lo chiamavano l’Assassino Fantasma. Per anni nessuno ha nemmeno creduto che esistesse. L’unità anti crimine organizzato gli ha affibbiato degli omicidi persino a New York, ma nessuno è mai riuscito a dimostrare qualcosa. Ha sempre avuto quel caffè, da quando lo conosco.”

“Lo hai mai incontrato?”

“No.”

“Sai che faccia ha?”

“Sì,” disse lei. “Una volta ho visto una sua foto. Ha la pelle chiara ed è molto, molto grosso. Credo che si sia anche fatto affilare i denti.”

Ramirez si voltò verso di lei e sorrise, ma sotto quell’espressione Avery percepì lo stesso panico e la scarica di adrenalina che stava iniziando a provare lei. Stavano per entrare nella fossa dei leoni.

“Sarà interessante,” commentò lui.

CAPITOLO SEI

Il caffè si trovava sul lato nord del sottopassaggio per la tangenziale di East Boston. Era dentro un palazzo di mattoni a un piano con grandi vetrate e una semplice insegna, Caffè. I vetri erano oscurati.

Avery parcheggiò vicino all’ingresso e uscì dall’auto.

Il cielo si era rabbuiato. Verso sud-ovest, vedeva l’arancio, il rosso e il giallo del tramonto. Sul lato opposto c’era un negozio di alimentari e il resto della strada era occupato da case. La zona era tranquilla e modesta.

“Facciamolo,” disse Ramirez.

Dopo una lunga giornata passata a obbedire agli ordini e a partecipare a riunioni, Ramirez sembrava carico e pronto all’azione. La sua impazienza preoccupò Avery. Alle bande non piace che dei poliziotti nervosi invadano il loro territorio, pensò. Specialmente quelli senza mandato e che hanno solo delle chiacchiere su cui basarsi.

“Vacci piano,” disse. “Faccio io le domande. Niente mosse improvvise. Non atteggiarti in alcun modo, okay? Siamo qui solo per fare domande e per vedere se possono aiutarci.”

“Certo.” Ma Ramirez si incupì e il suo linguaggio del corpo disse tutt’altro.

Quando entrarono nel locale risuonò il tintinnio di una campanella.

Il minuscolo spazio ospitava quattro séparé con dei divanetti rossi e un unico bancone al quale si potevano ordinare il caffè e altre portate da colazione durante la giornata. Sul menù c’erano meno di quindici piatti e nel locale ancora meno clienti.

Due uomini ispanici anziani e magri che avrebbero potuto essere dei senzatetto bevevano caffè seduti in uno dei séparé sulla sinistra. In un altro era accomodato scompostamente un giovane gentiluomo con gli occhiali da sole e un borsalino nero, che si voltò verso la porta. Indossava una canottiera nera e in una fondina da spalla aveva una pistola in bella mostra. Avery lanciò un’occhiata alle sue scarpe. Quarantadue, pensò. Al massimo un quarantadue e mezzo.

“Puta,” sussurrò l’uomo alla vista di Avery.

Gli uomini anziani non sembrarono accorgersi di nulla.

Dietro al bancone non c’era lo chef né il commesso addetto all’asporto.

“Salve,” salutò Avery. “Vorremmo parlare con Juan Desoto, se è dentro?”

Il giovane uomo scoppiò a ridere.

Pronunciò rapidamente qualche parola in spagnolo.

“Dice: ‘vai a farti fottere, poliziotta puttana con il tuo cagnolino,’” tradusse Ramirez.

“Adorabile,” commentò Avery. “Senti, non vogliamo problemi,” aggiunse e sollevò entrambi i palmi in segno di sottomissione. “Vogliamo solo fare qualche domanda a Desoto su una libreria su Summer Street che sembra non piacergli.”

L’uomo si raddrizzò e indicò la porta.

“Fuori dai piedi, polizia!”

C’erano molti modi in cui Avery avrebbe potuto gestire la situazione. L’uomo aveva un pistola e lei supponeva che fosse carica e senza licenza. Sembrava pronto ad attaccarla senza alcuna ragione. Quello, insieme al bancone vuoto, la portò a pensare che stesse succedendo qualcosa in una stanza sul retro. Droga, immaginò, oppure là dietro hanno uno sventurato negoziante e lo stanno massacrando di botte.

“Vogliamo solo qualche minuto con Desoto,” ripeté.

“Troia!” esclamò l’uomo, alzandosi e prendendo la pistola.

Ramirez estrasse immediatamente la sua.

I due uomini anziani continuarono a bere il loro caffè e a sedere in silenzio.

Ramirez gridò da sopra la canna della pistola.

“Avery?”

“Tutti quanti, calmatevi,” ordinò lei.

Un uomo apparve da un’apertura sulla cucina dietro al bancone, un individuo corpulento a giudicare dal collo e dalle guance rotonde. Sembrava essersi chinato per farsi vedere, il che riduceva la sua altezza. Il volto era parzialmente nascosto nell’ombra; era un ispanico calvo e dalla pelle chiara con una luce divertita negli occhi. Sulle labbra aveva un sorriso e nella bocca portava una griglia che faceva sembrare i suoi denti dei diamanti affilati. Non sembrava avere cattive intenzioni, ma era tanto tranquillo e calmo in quella situazione tesa che Avery fu costretta a interrogarsi sul motivo.

“Desoto,” disse.

“Niente armi, niente armi,” Desoto fece cenno dal riquadro della finestra. “Tito,” chiamò, “appoggia la pistola sul tavolo. Agenti. Mettete le pistole sul tavolo. Niente armi qui.”

“Assolutamente no,” disse Ramirez tenendo l’arma puntata sull’altro uomo.

Avery riusciva a sentire il corto pugnale che teneva legato alla caviglia, nel caso fosse finita nei guai. E oltretutto tutti sapevano che loro due erano diretti al locale di Desoto. Andrà tutto bene, pensò. Spero.

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