Delio Zinoni - Lia стр 29.

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Per tutta la durata dell’incidente, Astrix non perse una battuta, né tradì esitazione alcuna.

Il dignitario con la catena tornò verso la fine dell’atto, con un’espressione scornata. Anch’io tornai al mio posto, e trovai un Gost Baran con un’aria molto meno soddisfatta di prima, benché gli applausi a Grendel, forse per fare dimenticare quelli tributati a Karmak, fossero stati abbondanti e insistenti.

Sentii il nostro capocomico consigliare agli altri di tagliare certe scene.

L’atmosfera di tensione si allentò solo alla fine, quando Myrtilla (cioè Ergrid) morì. Forse per caso, o forse per calcolo, nel lasciarsi cadere la veste le si aprì lungo un fianco, e la fanciulla rimasse stesa sul palco con le gambe scoperte. Questa volta gli applausi mi parvero spontanei. Del resto il monologo finale era stato recitato in maniera quasi perfetta, con la giusta dose di strazio e rassegnazione, quantunque mancasse delle espressioni di perdono per l’ex-sposo, e di ogni accenno ad un amore non ancora spento, come nell'originale (ma quale poteva dirsi l'originale?).

Calai il sipario. Mentre gli attori si apprestavano a ringraziare il pubblico, io uscii con un piattino per intercettare quelli che cercavano di svignarsela in anticipo. Non avevo modo di fare paragoni, ma non mi parve che le offerte fossero particolarmente generose.

Intravidi Gost Baran che parlava con i notabili, e Dumpy Dum che a sua volta raccoglieva l’obolo.

Quando tornai, Gost neppure guardò il denaro. Lo infilò in una borsa e disse: – Partiamo.

Gli altri si stavano già togliendo i costumi.

Mi toccò andare a prendere i cavalli, che erano stati messi in una stalla non lontana.

Quando tornai il carro era già stato caricato, in qualche maniera.

Aggiogammo i cavalli e partimmo. Le strade erano deserte e buie. Una lanterna accanto alla cassetta e una luna incerta ci aiutarono a ritrovare la strada. Due volte incontrammo una ronda. Baran mostrò loro una carta, che le guardie fecero finta di esaminare: forse non sapevano leggere, ma riconobbero il sigillo.

Raggiungemmo la porta opposta a quella da cui eravamo entrati. L’ufficiale di servizio lesse con attenzione, volle ispezionare il carro, ma rinunziò ben presto ad addentrarsi nella massa disordinata degli attrezzi di scena. Io osservavo tutto con un’ansia che non sapevo spiegarmi, se non che la respiravo nell’aria.

Due guardie sollevarono la sbarra, che era di rovere largo un palmo. La porta si aprì lamentosamente. Uscimmo.

Solo quando la porta si fu richiusa alle nostre spalle, mi sentii di chiedere: – Perché tanta fretta? – (ma pur sempre con un sussurro) a Dumpy Dum, che camminava vicino a me.

Poi Baran, che sedeva a cassetta, sferzò i cavalli e noi tutti che seguivamo a piedi, perché a causa del disordine non c’era posto sul carro, fummo costretti ad affrettare il passo fin quasi a correre, e la mia risposta dovette attendere.

Per la seconda volta lasciavo una città di notte.

(24) I CACCIATORI


– Ma noi che colpa potevamo avere?

– Si erano preparati, non ti pare? Dovevano saperlo in anticipo.

– Avevamo attaccato manifesti per tutta la città! – Dumpy Dum alzò le spalle, o immagino che lo facesse, nel buio.

– I nuovi regimi sono sempre sospettosi. – Dopo un istante aggiunse: – E anche quelli vecchi.

Sebbene fosse trascorsa da tempo la mezzanotte, il carro non si era ancora fermato. Procedeva lento sulla strada tortuosa e in salita, in una notte appena rischiarata dalle stelle, fra le colline a sud di Larissa.

– Gost ha paura che ci inseguano?

– Che ci ripensino – rispose laconico il nano.

Ad una lega dalla città, il nostro impresario aveva abbandonato la strada maestra, quella che conduceva ad oriente, verso il regno di Ichomene, per imboccare un viottolo che, sospettavo, neppure lui conosceva bene, perché ad ogni bivio o incrocio si fermava, e poi aveva l’aria di riprendere il cammino a caso.

– Dove stiamo andando?

– Credo che voglia trovare la strada per il mare.

Il mare!

All’alba, ci eravamo appena svegliati, ricevemmo la visita di due cacciatori. Apparvero nel nostro campo come un lento manifestarsi di ombre e di foglie e di rocce, finché non assunsero forma umana. Uno era anziano e piccolo e nodoso. L’altro giovane e piccolo e magro. Non dissero una parola. Il primo ci porse una sorta di collana: uccelli infilati per il collo in un giunco, già spennati.

Gost Baran, con notevole prontezza di spirito, li ringraziò e fece segno a Myrtilla di tirare fuori le nostre provviste, quel poco che c’era. Invitò i due cacciatori a sedersi. Il più giovane, con poche mosse, risveglio di muovo le fiamme dalle ceneri della notte. Myrtilla infilò gli uccelli in uno spiedo, insieme a dei pezzi di lardo, e li pose sul fuoco; poi tagliò il pane e del formaggio che aveva acquistato a Larissa la sera prima. Baran cavò da un nascondiglio del carro una bottiglia di vino e la stappò con sussiego, come avevo visto a fare da certi camerieri nelle locande dei cortili ricchi di Morraine.

I due non dissero nulla, mentre gli uccelli rosolavano. Ringraziarono con cenni del capo per il vino e il pane, bevvero, aspettarono. Avvolti nei loro mantelli grigio-verdi, assomigliavano a quei cacciatori che venivano a Morraine nei giorni di mercato.

Risposero ad una sola domanda: i loro nomi. Riskrill il vecchio, Paradin il giovane. Ben presto, anche la loquacità di Baran si arrese.

Una sola volta si mossero: il vecchio sfiorò con la mano il polso del suo compagno più giovane, con l’altra indicò un punto sopra la cima di certi alberi. Dopo qualche battito di cuore, un uccello dalla lunga coda bianca si alzò in volo.

Mangiammo. Del primo uccello, Riskrill gettò nel fuoco la testa, si lanciò alle spalle le ossa, seppellì in un buco praticato in terra con un dito il fegato. Paradin lo imitò con cura.

Il giovane era seduto vicino a me.

– Perché? – chiesi, senza molta speranza di ricevere una risposta. Ma forse il cibo e il vino, oppure l’esecuzione della cerimonia, avevano rotto la consegna del silenzio.

– Per conciliare. Il loro spirito – rispose. La sua voce era bassa, leggermente roca, come il fruscio del vento fra le foglie secche. Mi venne in mente che era come il suo mantello: adatta a confondersi con il bosco. – Lo spirito degli animali. Ha quattro forme. Fuoco. Aria. Terra. Acqua – aggiunse inaspettatamente.

Ci misi un momento a capire. Ma... – Acqua? – chiesi, parlando anch’io a voce bassa.

– La saliva – rispose lui.

Il ragazzo aveva più o meno la mia età. – È tuo padre?

– No. Maestro.

– Come faceva a sapere che quell’uccello si sarebbe levato?

– Il maestro è un grande cacciatore. Conosce la natura degli animali. – E dopo una pausa, a voce ancora più bassa: – Un giorno anch’io sarò un grande cacciatore.

Osservai il giovane Paradin con una certa invidia. Lui sapeva cosa sarebbe diventato. O almeno cosa voleva diventare. Il suo sguardo incrociò il mio.

Baran disse: – Stiamo cercando la strada per il mare.

Riskrill disse: – Vi accompagneremo. Per un tratto.

– Da dove vieni? – chiesi a Paradin.

– Gaskill. È un piccolo villaggio. – Indicò una direzione. Non chiese da dove venissi io.

Notai un movimento con la coda dell’occhio. Riskrill si era alzato, senza produrre il più piccolo rumore. Paradin lo imitò dopo la pausa di un respiro.

Il vecchio indicò – Di lì. Vi raggiungeremo. Volete comprare cibo?

– Sì, certo! – disse Myrtilla.

I due se ne andarono senza voltarsi. Appena superati i primi alberi, svanirono del tutto alla nostra vista.

Due ore dopo, e una lega circa di strada, ad un crocevia: eccoli ad attenderci.

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