Facendo un rapido calcolo, si rese conto che in quel momento in Giappone erano le sette di sera. Se fosse stato fortunato avrebbe trovato ancora il Professore in clinica. Aveva i suoi numeri, sia quello privato, che quello diretto del suo studio al ventitreesimo piano della clinica Hirohito di Kyoto. Ma come chiamarlo? Inoltrare la chiamata dal cellulare avrebbe significato, oltre la spesa non indifferente, lasciare una traccia indelebile sui tabulati della sua utenza mobile. Dal centralino dell'Ospedale, pensò, partivano ogni giorno centinaia di telefonate dirette ad altre cliniche sparse in tutto il mondo, e sarebbe stato molto difficile individuare la sua telefonata in mezzo alle altre, se a qualcuno fosse venuto in mente di farlo. In fin dei conti, una consulenza telefonica con un luminare di un'altra nazione, rientrava nei costi e nella normale routine della ricerca scientifica. Piuttosto che comporre il numero, dovendo farlo precedere dal suo codice personale, decise di far lavorare il centralinista.
«Devo chiamare l'Ospedale di Kyoto per conto del primario, il Professor Gabrielli.»
«Un interno in particolare?»
«No, chiami il centralino e passi la linea nello studio del Professore.»
Il Professor Gabrielli era in visita in quel momento. Non appena sentì squillare il telefono nella stanza del primario, digitò un codice sulla tastiera del suo apparecchio telefonico, in modo tale da riprendere la telefonata dal suo studio. Un piccolo trucco per mescolare un po' le carte.
Alla voce che rispondeva in un incomprensibile giapponese, il Dottor Giannini oppose una frase in Inglese.
«I'd like to speak with Professor Whu.»
La voce a migliaia di chilometri di distanza si adeguò alla lingua con cui veniva apostrofata, e rispondeva nel medesimo idioma, con accento diverso a quello con cui aveva parlato l'italiano, ma comprensibile alle orecchie di quest'ultimo.
«Dai tabulati delle presenze, vedo che il professore ha passato il badge in entrata questa mattina alle otto e non è ancora uscito dall'ospedale. Provo a passarglielo.»
«L'efficienza giapponese!», pensò il medico italiano. «Se fossi stato io qui alle sette di un sabato sera, nessun centralinista al mondo mi avrebbe inoltrato una chiamata.»
Dopo qualche secondo di attesa con il sottofondo di una nenia giapponese, il Professore rispose.
«Hallo?»
«Professor Whu? Sono il Dottor Marco Giannini, dall'Italia. Ci siamo conosciuti all'ultimo convegno di Zurigo sulle nanotecnologie applicate alla medicina. Ricorda?»
«Oh, come no? Il bamboccione italiano!» Il professore parlava l'idioma italico, ma utilizzava alcune parole pensando che suonassero bene e dessero colore al discorso, senza neanche immaginarne il loro significato offensivo.
Il Dottor Giannini gli espose a grandi linee la sua scoperta.
«Sei il solito cazzone. Vuoi farmi credere che i nanobot presenti nel sangue di quella donna sono capaci di utilizzare l'idrogeno, ricavato dall'acqua presente nei liquidi organici, come propulsore per spostarsi in maniera autonoma da un sito all'altro dell'organismo? Fantascienza pura! E chi ce li avrebbe messi dentro il corpo della tua paziente, E.T. in persona, per caso? Possiamo concludere qui il discorso, mio caro mangiaspaghetti!»
«Aspetti, professore. Ho ottenuto un video al microscopio elettronico e glielo invierò via e-mail. Ma quello che è più sorprendente è che al pronto soccorso alla paziente hanno riscontrato scottature provocate da sigarette. Quando l'ho esaminata io, solo dopo poche ore, la pelle della donna era del tutto integra, non c'era alcuna traccia di scottature o lesioni di sorta.»
Il professore cominciò a cambiare atteggiamento nei suoi confronti.
«Vorrei esaminare la paziente di persona. Prenderò il primo volo per l'Italia e sarò lì domani in serata. Tu devi solo fare in modo che la donna non lasci l'ospedale!»
«Non so se ci riuscirò. Se la Polizia non ha motivi per trattenerla e la Brandi si riprende bene, in giornata sarà dimessa...»
«Falla trattenere, corrompi i poliziotti, so che in Italia non è difficile. Io arrivo prima possibile.»
Il professore chiuse la comunicazione.
«Chissà perché all'estero credono che siamo tutti mafiosi», pensò Marco tra sé e sé. «Però qualche aggancio in Questura lo ho. Tentar non nuoce.»
Chiamò la Questura e si fece passare la sovrintendente Gualandi, una sua vecchia fiamma dei tempi del liceo.
1 FESTA IN VILLA
28 Maggio 2010
Le sette di sera di un tranquillo venerdì di fine maggio. Avevo finito di impartire le ultime raccomandazioni alla baby-sitter, una giovane studentessa universitaria, che all'apparenza tutto sapeva fare tranne che trattare con i bambini, mentre Stefano stava tirando fuori dalla rimessa l'auto di lusso, una Mercedes classe E berlina color grigio metallizzato, tutta tirata a lucido.
Al suono del clacson, mi affrettai a congedare la ragazza e precipitarmi in cortile.
«Questi consessi mondani sono una cosa che odio», disse Stefano, concentrato sulla guida. «Come odio quest'auto, che dovrebbe rappresentare lo status symbol di una certa categoria sociale, costituita da professionisti e piccoli imprenditori, che devono apparire in società più che essere apprezzati per come svolgono il loro mestiere. Anche se appartengo alla stessa categoria, sai bene che non mi ci trovo in mezzo a loro. Stasera ci sarà tutta l'élite della città, immagino, a partire da Sindaco e Assessori vari, alcuni noti avvocati, alcuni baroni della medicina, il Notaio Criscuoli, e via dicendo.»
Mentre parlava, prese una strada a senso unico che costeggiava le antiche mura medioevali della città, in salita per la Costa del Montirozzo, per sboccare poco più a valle di Porta Bersaglieri, dove, in dei piccoli giardinetti, trovava posto il monumento dedicato a Federico II di Hohenstaufen. Imboccò poi Via Bersaglieri e da lì si portò in Via Nazario Sauro per proseguire in Via Mura Occidentali. In un punto in cui la strada correva a ridosso delle mura castellane, notai dei lavori. Era stato aperto un varco a forma di arco nelle mura, gli antichi mattoni erano stati accatastati su un lato, e intorno all'apertura si notavano dei tubi corrugati di plastica, di quelli per far passare i cavi dell'elettricità. Un tabellone indicava estremi della concessione edilizia, inizio e termine dei lavori e ditta appaltatrice, riportando a caratteri cubitali il nome del progetto: VIVERE IL CENTRO STORICO.
Mi rivolsi al mio compagno, chiedendo lumi.
«È un vero scempio. Cosa diavolo ci vogliono realizzare?»
«Una scala mobile, o un ascensore, credo, per raggiungere con facilità Piazza Federico II, attraverso il vecchio Palazzo Pianetti, che fino a qualche decennio fa ospitava le carceri. Solo che è tutto fermo perché subito dietro le mura hanno trovato dei reperti archeologici che risalgono all'epoca romana. E non è stato scoprire l'acqua calda! La parte storica di questa città sorge esattamente sopra il tracciato del Castrum realizzato dai Romani, che giunsero qui circa nel 300 Avanti Cristo, dopo aver sconfitto la coalizione di Umbri, Etruschi e Sanniti nella battaglia del Sentino. Proprio in questa zona, in prossimità del complesso di San Floriano, c'era un'enorme cisterna per l'approvvigionamento idrico della città di Aesis. La cisterna funzionava da riserva d'acqua anche per le Terme, che erano situate nella zona compresa fra Piazza Federico II e Porta Bersaglieri. Ancora oggi la zona è individuata da due strade che si chiamano, per l'appunto, Via delle Terme e Vicolo delle Terme.»