Andrea Calo' - La Casa Sulla Chiusa стр 6.

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Con minimo accenno della voce, per non disturbare eccessivamente, attirai l’attenzione del ragazzino che, sentendosi chiamare da un estraneo, rimase un poco attonito. Non sembrava tanto intenzionato a parlare con noi, tant’è che ci mandò un chiaro cenno di aspettare e corse in casa per poi uscirne accompagnato dalla madre. Attraversato l’uscio, totalmente incurante della nostra presenza, tornò ai suoi gerani mentre la madre si avvicinava a noi. Era una bella donna dai capelli neri, piuttosto alta e snella ma non magra. Tuttavia mentre si avvicinava a noi, cominciavano a intravedersi i lineamenti e i segni lasciati dal tempo sul suo viso. Non doveva essere tanto giovane ma di certo era ben curata nell’aspetto. Forse le fatiche fisiche avevano precocemente lasciato le loro firme indelebili sul suo corpo. Non potevo saperlo né tantomeno in quel momento m’interessava, quindi smisi di pensare e mi preparai al dialogo con lei mentre un timido sorriso compariva sul suo volto.

«Buongiorno! Cercate qualcuno?», esclamò, mantenendo sulle labbra quell’interrogativo, in attesa di una nostra risposta.

«Buongiorno a lei signora. La prego di scusarci se le abbiamo recato del disturbo. Saprebbe indicarci quanto dista da qui il prossimo villaggio e quale direzione dobbiamo prendere? Conviene proseguire lungo il sentiero oppure dobbiamo deviare? Vede, siamo alla ricerca di un posto per fermarci a riposare un po’, per mangiare e comprare qualche bibita fresca. Non ci dispiacerebbe poter fare anche una passeggiata se possibile, per vedere qualche cosa. Abbiamo attraversato un villaggio che dista ormai circa dieci chilometri, non vorremmo tornare subito indietro percorrendo tanta strada a vuoto», replicai rassicurandola.

«Si ce ne sono alcuni, certamente. Vedo però che siete in bicicletta e sembrate anche piuttosto stanchi. Raggiungere il prossimo villaggio potrebbe provarvi ulteriormente e arrivereste davvero sfiniti al villaggio. E poi, non dovreste anche tornare indietro? Da dove provenite?», chiese. Aveva tutte le ragioni del mondo.

«Soggiorniamo a Gissey, arriviamo dalla chiusa 34s signora», esclamai fiero, quasi mi sentissi un esperto padrone del posto in cui posavo i miei piedi in quel momento.

«Ah, capisco! E’ la casa di Urs e Doris. Brave persone davvero», replicò. «Secondo me ne avete già percorsi tanti di chilometri, vi consiglierei di non proseguire oltre, almeno per oggi. Comunque la decisione spetta a voi. Mi sembra di percepire il dolore che sentite nelle vostre gambe e sui vostri fondoschiena!», continuò, sempre guidata da una fonte di divertimento contagioso che portò subito anche noi due a ridere di gusto mentre confermavamo la sua assunzione producendo una comica smorfia di dolore sulle nostre facce.

«Sentite ragazzi, le bibite fresche le abbiamo anche noi, l’unica differenza è che non sono in vendita quindi dovreste accettare la nostra ospitalità», disse divertita, «Se vi fa piacere unirvi a noi, siete i benvenuti. Non mordiamo, potete stare tranquilli!», disse infine con viso rassicurante e sincero.

«Ci sembra brutto approfittare di tanta gentilezza, signora…»

«Giselle, mi chiamo Giselle!», m’interruppe tendendoci la mano per presentarsi e attendendo che noi facessimo altrettanto.

Ci presentammo e dopo aver ringraziato fino alla noia, la seguimmo. Ci fece accomodare a uno splendido tavolo in pietra costruito sotto un porticato che completava il lato sulla destra della casa fino a raggiunger quasi il recinto del giardino della proprietà. Anche da quel punto si potevano scorgere la chiusa e il torrente poco distante, immersi nel verde dei campi e degli alberi. Nessuna collinetta, tuttavia, limitava la vista fino alla linea dell’orizzonte, permettendo all’occhio di spaziare, oltre i confini. Solo un movimento a sbalzi irregolari privava il terreno di quella piatta monotonia delle distese pianeggianti. Spingendo l’occhio ad andare oltre la linea dell’orizzonte, si notavano coltivazioni. Erano visibili solo perché leggermente rialzate rispetto al suolo e mostravano delle tinte di verde più scuro. Si trattava di vitigni molto fertili, nei quali si produceva il buon vino di Borgogna.

«Attendetemi qui per qualche istante, vado a prendere Monsieur Jacques. E’ mio padre. Lui si definisce uno dei più grandi chiacchieroni di Francia o forse d’Europa. Io invece lo ritengo essere davvero un uomo molto saggio, imparerete a conoscerlo», disse divertita e con fierezza al tempo stesso.

Non ho mai saputo se in questo lei si sentisse simile al padre oppure no, la figlia “saggia” di un uomo saggio. Forse esprimeva una saggezza diversa da quella del padre. Il tempo mi avrebbe suggerito la risposta. Sonia ed io ci guardammo in viso, divertiti da tanta allegria ma anche sorpresi da quell’ospitalità così inaspettata. Tememmo vagamente l’imbarazzo di quella situazione, soprattutto nei confronti del saggio, o chiacchierone, Monsieur Jacques.

«Papà, oggi ci sono amici a tavola con noi!», avvisò Giselle subito dopo aver varcato l’uscio, in direzione di una stanza che non riuscivo a identificare.

Ho sempre ritenuto che amicizia e fiducia fossero tra loro strettamente legate, due doni che le persone ricevono e concedono solo con il passare del tempo. La semplice conoscenza non implica necessariamente l’amicizia e la fiducia. Non ci può essere istinto in un rapporto di amicizia perché non si può misurare la cosiddetta “sensazione di pelle”. L’amicizia deve essere provata, dimostrata e condivisa. Altrimenti si tratta solamente di un rapporto unilaterale. Mi riferisco a quella forma di amicizia che implica la complicità e che a volte crea anche attrito tra due persone, l’amicizia nella sua forma più vera. Associo poi la fiducia al carburante necessario per far sì che l’amicizia possa andare avanti, permettendole di nascere, di svilupparsi, di evolvere verso sentimenti ancora più importanti, più profondi. Senza questo carburante non si può procedere, tanto vale quindi scendere e continuare a piedi, ma da soli. Osservando il film dei miei anni ho visto e sentito storie di persone che hanno donato la vita per l’amicizia, amando l’amico ancor più di se stessi. Ho visto persone svuotarsi di tutto pur di condividere le cose con i propri amici e mi son chiesto se anch’io al posto loro fossi stato capace di fare altrettanto. Forse avrei perso la sfida con me stesso, non so, ma di certo non ho ancora avuto una vera occasione per mettermi alla prova. Ho anche sentito di storie tradite, forse perché quel sentimento di amicizia era vissuto in modo diverso dalle persone in gioco, forse a senso unico, o forse per qualcuno l’amicizia era molto più sinonimo di buona opportunità e, come tale, da sfruttare a piene mani. Tuttavia non mi meraviglia tutto ciò. La lotta per la sopravvivenza della specie è scritta nel DNA dell’animale, sia esso uomo o bestia. Si lotta per sopravvivere e per andare avanti, “morte tua è vita mia”. Poco importa, a volte, di chi ne paga le conseguenze. E’ un processo di selezione naturale, questo è stato nei millenni passati e questo non cesserà mai d’essere in quelli futuri. Ci nascondiamo dietro quest’alibi e non ci preoccupiamo più degli effetti che ne possono derivare. Ho sentito infine anche di storie di amicizia ricambiata, casi davvero rari e il più delle volte parte di favole; quando reali, esaltati e idealizzati al pari di racconti leggendari. Suscita meraviglia il fatto che, a fronte di una bella storia di amicizia, si tenda a romanzarci sopra, a farne dei film, a creare miti da esporre e utilizzare come riferimento, ogni volta che le cose non evolvono come ci si aspetta, dispiegandosi nella stesura di chilometriche poesie o prose poi destinate alla vendita. Miti, grandi esempi di vita da emulare, da seguire. Non dovrebbe essere questa la “normalità”? Se penso a una persona, la considero mia amica, intendo dire che questa persona è come me, al pari mio. Altrimenti utilizzo un altro termine per catalogarla, preferisco chiamarla “conoscente”. E la fiducia quindi, come si pone, dove entra in gioco, quale posto occupa? La fiducia che riponiamo in un amico vero e non solo supposto tale, può essere la stessa riposta in un semplice conoscente? A mio modo di vedere le cose e in seguito alle esperienze, la risposta non può essere altro che negativa.

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