Federica Cabras - E Non Vissero Felici E Contenti стр 4.

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«Ma alla fine tu me le hai mai fatte le corna?» domandò lei, un po brilla.

«Nossignora. Mai. Una tipa mi ha quasi strappato di dosso le mutande, sembrava una mangiatrice di uomini»

«Carino.» commentò lei, un sopracciglio sollevato.

«Ma io non glielo ho lasciato fare.» aggiunse, con orgoglio. Ricordava ancora quel bel sedere con, annessa e connessa la sensazione di averlo tra le mani e quel completino in pizzo, ma questo non lavrebbe mai ammesso con sua moglie. «Lho respinta.»

«Che uomo» mormorò lei. «Era una bella donna?»

«Che centra?» sospirò lui, capendo al volo la trappola. «No, era una donna normale, un po grassoccia. Forse anche lievemente strabica. Capelli crespi e sedere grosso. Non il mio tipo, comunque.»

Il corpo di Giorgia era tuttaltro che normale era una gran figa, di quelle che si vedono nelle riviste mezze svestite e i suoi capelli sembravano fatti di seta, ma ora era il caso di aggiungere benzina sul fuoco.

«Piuttosto, tu? Mia dolce donna del mistero.»

«Io, no. Assolutamente.»

Sandi era calma e sicura di sé. Mai e poi mai si sarebbe rovinata.

«E il tuo libro? Lhai lasciato a Olivia? Il titolo?»

«Sì, è nelle sue mani, o, meglio, è quasi nella sue mani. Lo troverà domattina. Il titolo non lo so lo deciderà chi per me.»

Poco prima di dolce e caffè lei disse al cameriere, allorecchio, di aspettare un quarto dora prima di portare un tiramisù per entrambi.

«Sai cosa dobbiamo fare?» disse lei, gli occhi spalancati e accesi. «Vieni con me!»

Si alzò e lo prese per mano. Lui non capiva. Lei si guardò attorno, guardinga, e lo spinse dentro il bagno delle signore. Una volta dentro lo baciò con foga e gli ricordò per lultima volta chi fosse Sandra Alti e perché facesse perdere così tanto la testa a tutti, malgrado lui questa capacità non lavesse mai veramente dimenticata.

Uscirono poi dal locale, tirandosi per le mani, eccitati e felici come due adolescenti.

Mangiarono un gelato, poi corsero tra la folla cercandosi, trovandosi, rincorrendosi. Tutti ridevano, alla vista di quella coppia adulta che si faceva gli agguati, che urlava e si nascondeva. Nessuno capiva. Ma loro sapevano. A mano a mano che giungeva lora divenivano sempre più nervosi, inquieti. Era come se non vedessero lora che tutto avvenisse ma nel contempo che volessero prolungare quellora di libertà, di pace, di leggerezza.

Poi si guardarono. Un ultimo bacio fu scandito dalle campane che annunciavano la mezzanotte, e fu allora che camminarono mestamente verso la strada che avevano scelto con cura.

Stapparono unaltra bottiglia di champagne che Sandi aveva comprato in unenoteca proprio per quelloccasione e bevvero alla grande. Poi si presero per mano, presero un respiro e saltarono dallalto cavalcavia.

Qualcuno ha detto che tra il decidere di uccidersi e il farlo ci sia un momento un solo, impercettibile e svelto momento nel quale tutto si mette nuovamente in dubbio. Ecco perché spesso allultimo momento si chiede aiuto, o si fugge. È un ultimo barlume di speranza, di voglia di vivere e spesso è di vitale importanza. È la linea che divide lessere vivi dallessere morti. Sandi e Eddie avrebbero potuto pensare che a tutto cè una soluzione, che ogni cosa si può risolvere. Invece le loro menti non ebbero quel momento di riflessione. Poco prima di saltare Sandi pensava a quanto avrebbe desiderato sapere la sorte del libro e alleventuale titolo che avrebbe voluto dargli, mentre Eddie al fatto che quel cielo di mezzanotte venato di un rosso fuoco fosse fantastico.

E con i pensieri: Diario di una passione mortale e Lavrei voluto nella nostra stanza da letto finirono due vite, complesse e malate, in un certo senso, ma senza ombra di dubbio interessanti.

*

Ester e Miguel erano fatti, come al solito. Lei urlava per cambiare stazione alla radio e lui urlava perché non voleva che lei urlasse. Avevano un concetto di vita che oscillava dallillegale al dannoso. Tutte le cose pericolose o schifose o moralmente inaccettabili li affascinavano. Non ricordavano lultima volta che avevano fatto lamore da sobri e senza aver assunto droghe. Non lavevano comunque mai fatto in un letto. Quando finivano la grana per bucarsi di eroina si inventavano qualcosa; era più difficile se finivi a rota tutti potevano fare di te ciò che volevano, ed eri alla mercé di ogni idiota che passava ma erano sempre riusciti a tirare su qualche soldo. Lei aveva già venduto da tempo tutto il suo oro; lo aveva unito a quello rubato a sua madre ed era uscito un gran gruzzolo. Lui non aveva né oro né madre che avesse oro, quindi non aveva avuto nemmeno lopportunità di farlo. Insieme avevano messo su ebay gli elettrodomestici e i mobili. Ora vivevano in una catapecchia con un tavolo, un materasso maleodorante e scosciato e una televisione datata e polverosa. Da qualche mese lei doveva adescare gli uomini ricchi nelle stazioni di servizio; le faceva schifo e talvolta le veniva voglia di smettere di farsi solo per non vedere quelle facce eccitate, e sudate, e grasse. Ma poi si tornava al principio. Lui diceva di amarla, ma accettava di buon grado che vecchi pervertiti posassero le mani su di lei. «È per una buona causa.» si ripeteva. E non ci pensava. Se lavesse fatto sarebbe precipitato nella tristezza della sua miserabile esistenza e non ne sarebbe uscito vivo.

Non erano altro che due poveri miserabili che, per un fortuito caso del destino, si erano incontrati. Non avevano idee, né prospettive. Nemmeno i loro nomi erano quelli reali.

Lei veniva da una famiglia perbene; padre avvocato, madre professoressa di italiano e sorella biologa, ricercatrice alla Sapienza di Roma. Un futuro angelico era stato scritto anche per lei, o almeno finché, a quindici anni, fu chiaro a tutti che una pecora nera ci vuole in ogni nucleo familiare. Iniziò con roba leggera, poi entrò in brutti giri: solita storia. I suoi, troppo perfetti per tutta quellanormalità, con gli estranei non la nominavano neppure ma fra loro ne parlavano di continuo. Non sapevano quale fosse lerrore, cosa avessero fatto di male. Per fortuna laltra figlia, con i suoi scintillanti risultati, oscurava linsuccesso di avere una disgraziata in famiglia. Ogni tanto, tra un buffet di Natale e un Capodanno sempre con gli stessi facoltosi amici con la puzza sotto il naso, quando il senso di colpa si impadroniva del loro cuore di pietra la cercavano e le davano un paio di biglietti da cento euro; magra consolazione, dato che venivano usati solo per un ulteriore passetto verso la morte.

Lui era, invece, un bambino nato disagiato. Aveva assaggiato, fin da piccolo, il sapore del sangue nella bocca: non sempre i compagni della sua mamma erano capaci di amarlo. Era stata lei la sua mamma, la figura che dovrebbe, in genere, adempiere al faticoso compito di rendere lesistenza dei propri figli un incanto a iniziarlo alla droga. Daltronde lei stessa era stata indirizzata da suo padre, trafficante di droga noto in tutto il circondario. Nemmeno se si fosse impegnata avrebbe potuto fare di meglio. Aveva messo al mondo cinque figli tutti di padri differenti, e aveva fatto in modo che ognuno di loro fosse abbastanza capace di mettersi nei guai prima di schiaffarli alla porta. Lunica sorellastra con la quale avesse stretto legami e alla quale voleva un gran bene era sparita anni prima; questo di certo non laveva aiutato.

Lui se ne era fatto una ragione. «È la vita», diceva, con tono triste ma fermo.

Stavano insieme da anni; entrambi avevano altri amanti e spesso litigavano tanto da mettersi le mani addosso tuttavia erano luno il porto sicuro dellaltro. Cerano, e in quel tipo di vita era già tanto così.

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