Federico Pierlorenzi - Kali Yuga стр 2.

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«Blue, muoviti». Le parole di Es suonano sempre più lontane.

«Figlioli, cè un tempo per ogni cosa, ora è il tempo di andare». La voce trema e i denti si stringono nello sforzo di tenere la porta aperta.

Es guarda lamico ancora seduto su quella sedia «Muovi il culo o raggiungerò il balcone della Titti per primo!».

Il ricordo risveglia Blue che si accorge di essere ancora seduto. Chiude gli occhi e fa un respiro profondo. Al riaprirli è in piedi e nel brevissimo istante in cui spalanca le palpebre gli sembra come di vedere delle figure mai viste prima che stanno cercando di chiudere la porta. Sagome umanoidi di sfumature bianche si accalcano contro la porta per chiuderla. Fissando lo sguardo Blue ne riconosce dettagli che compaiono e scompaiono a seconda di quanta attenzione pone su ogni singolo punto in cui guarda. Muscoli di braccia deformi che si ingrossano nello sforzo. Bava che sgocciola da labbra leporine e denti digrignanti. Dita tozze e irsute che penetrano la carne flaccida di altre creature nello sforzo della spinta.

«Blue». Es grida tendendogli la mano destra e tenendo la sinistra ben ancorata alluscio.

Il tempo per Blue si dilata, tutto corre velocissimo attorno a lui. Sente come se qualcuno cercasse di trattenerlo lì senza poterlo toccare.

Sua Eccellenza il nonno di Pablo non ce la fa più. Punta anche laltra mano contro la porta e il piede opposto sullo stipite. Il corpo è inclinato per reggere la pressione contraria. Cede un istante dopo che Blue si è aggrappato al braccio di Es e che questultimo ha tratto entrambi allesterno.

Sono fuori.

NIN

Il buio. Una goccia di rugiada si risveglia aggrappata ad un pelo. Proviene dalle tubature arrugginite di un palazzo di quasi cinquantanni fa. Ed ora è lì, in sospeso su quel pelo della sua gamba. Attende di scivolare via, confondersi di nuovo, stavolta piano piano, nel tutto da cui proviene. Aggregandosi prima ad una sola sua simile. Poi assieme ad unaltra. E ad unaltra ancora. Fino a tornare come era. Non certo dove era.

A cosa crede un ateo? Crede nelluomo? Nella fiducia? In se stesso? Nel semplice concetto di vita unica e univoca? Credere aiuta a vivere, a superare quei momenti in cui non hai ciò che desideri o semplicemente hai ciò che non desideri. In cosa credo io? Io non credo. In niente e in nessuno. Nella più totale e completa tristezza e razionalità, affido costantemente la mia fiducia in tutti per non doverla affidare completamente a qualcuno o qualcosa. Divido sapiente i pesi per non dovermi trovare un giorno a perdere tutto, in un istante, in un motivo o in un pretesto troppo labili e leggeri, volatili e inconcreti, assurdamente teorici per poter giustificare o semplicemente accettare la disfatta. La fine, la sconfitta, la perdita di ogni singolo momento felice passato, imbrattato ora dal vuoto che con infamia lascia. Tanti amici. Tanti amori. Tanto distacco dai più vicini per non soffrire. Per non perdere ogni singolo granello di effimera felicità che aiuta a sopportare il peso della sofferenza. Il peso della vita. Il peso. Vivere e soffrire ogni giorno pur di non soffrire mai più, di non vivere mai più. Non è facile sentirsi come eterni secondi nella corsa della vita in cui gareggi solo tu. Chi sta vincendo? Chi sta arrivando costantemente primo se di fronte a me non vedo neanche la coda del mio antagonista? Solo il vuoto, il nulla intorno. Avanti come dietro. E affianco una interminabile infinita lunga staffetta di tanto insinceri quanto momentanei sorrisi, che ti aiutano a superare la vita stessa giorno per giorno. Nulla è per sempre o forse tutto è per sempre. Un tutto fatto di nulla, di momenti, di vuoti e di ricordi addolciti dalla memoria così tenera e materna nei confronti di se stessa. Così troppo abituata a soffrire. Disinfettare le proprie ferite senza alcol, senza fuoco, senza vita. Ma con il solito putrescente palliativo che allevia dolore sofferenza e vita. Manca la forza il coraggio la fede ai quali appoggiarsi quando si ha bisogno di ricucire sadicamente gli squarci che la propria anima si è procurata strisciando e impigliandosi nella vita stessa. Nei dolori. La pazzia di credere. La pazzia. Di credere. Di credere e basta. In qualsivoglia essere o oggetto animatoinanimato che dia un senso a se stessi, alla propria vita, al proprio mondo di balocchi costruiti con amianto e fango. Cosa resta di sé. Dopo un interminabile cammino di vita? Bene o male? Bene e male, ricordi. Mendaci ricordi di vita. Palliativi per tirare avanti in progetti e programmi fini a se stessi.Fini alla mera riproduzione condannante individui che ancora non lo sono e non lo sanno. Una vita di fardelli e colori sbiaditi rimasterizzati in technicolor dallastuta memoria. Che ci coccola e ci vezzeggia sapendo che altrimenti non saremmo mai disposti a proseguire questa folle corsa. Andare avanti con luomo che cerca luomo. Unimmagine di se stesso. Per resistere, per avere un doping nel tragitto, per trovare infine chi sta vincendo realmente la corsa. NON IO.

Mentire a se stessi e al mondo per resistere. O per paura di conoscersi veramente e sentirsi il peso di doversi comportare di conseguenza senza più poter nascondersi dietro le proprie autoillusioni di un mondo perfetto. O del migliore dei mondi possibili. La morte. La vita delluomo è la morte. La natura delluomo è la morte. Luomo è morte. Ogni respiro è respiro di morte per me stesso e per gli altri che mi circondano con i loro cadaveri putrefatti di vita. Cosa mi spaventa della morte? Del non esserci più? Del non soffrire-gioire che perseguita le mie notti insonni e i miei giorni vacui? Nulla! La vita è morte e la morte è nulla! È non più soffrire, ridere, giocare, amare, gioire, pensare, respirare, odiare, deludere (sé e gli altri), insomma vivere... Acqua calda in arrivo al tavolo 3!

Mostrare i denti e gettare sale nelle proprie ferite. Allontanarsi da se stessi e dagli altri. Sentire il sangue scorrere sempre più forte. Sentire aumentare la velocità con la quale il cuore spreca ogni suo singolo unico battito di quelli già contati, preconfezionati da da chi? Dalle parche? Da dio? Da me stesso? Sentire e sentirsi morire ad ogni rintocco ventricolare ogni volta che ami, che odi, che ridi, che piangi, che ti emozioni. Sentire la vita e la morte in un unico movimento oscillatorio dove tu sei e sai di essere.

Non ne ho più la forza.

Forse non lho mai avuta.

Difetto di fabbrica?

Con affetto Blue

Il foglio è sulla piccola scrivania, liscia, pulita, vuota. Nella stanza accanto cè Blue, seduto dentro la doccia. Le ginocchia quasi gli arrivano al petto ma a lui sembra di stare comodo, o perlomeno di non stare scomodo. Insomma sente di stare. Osserva le migliaia di goccioline che si infrangono contro le sue ginocchia e si disperdono disperate lungo tutto il suo corpo. Si cercano lun laltra e ogni tanto si ritrovano e si aiutano a riconquistare con il volere della gravità, la loro essenza. Scorrono di pelo in pelo e si ritrovano di nuovo assieme in quel rigolo dacqua, luccicante della bianca, limpida, sterile luce al neon. Per andare a seguire la massa stessa del tutto che sono. Lungo langusta doccia, fino alle tubature di nuovo arrugginite. Ogni tanto qualcuna più audace si insinua fra le sue ciglia e gli arrossa gli occhi. Segue la strada già percorsa in passato da troppe cugine salate. Cugine che ora non albergano più in lui, ormai da troppo tempo. Non ci sono più motivi per aprire i suoi dotti lacrimali, o forse ci sono sempre stati, ma ora non hanno più alcun senso. Il suo unico interesse ora è il tragitto di quelle tenere goccioline dacqua che adesso lo accarezzano. Lo coccolano finalmente, dopo la solita, lunga, interminabile giornata di nulla. I suoi occhi grigi e uggiosi seguono senza alcuna emozione il tragitto di quelle piccole e tenere amiche, che stanno sempre più allontanandosi anchesse dai suoi interessi. Dimprovviso si disincanta e fa un lungo sospiro. Sembra che abbia preso a respirare per la prima volta in ventanni di vita. Il suo volto si solleva rallentato e nota che le mattonelle di fronte a lui sono sempre le stesse: con le loro sbeccature irregolari, le loro macchioline di muffa, le loro sfumature, i loro colori forse accesi, ma che Blue vede totalmente grigi sin dalla nascita. Tutti i suoi colori caldi sono delle sfumature di grigi. Tutte le sue foto esotiche di pesci tropicali appese alle pareti. Tutti i tramonti dipinti dalla tremante mano della madre. Tutta la sua vita, in fondo, è unaccozzaglia di grigi inespressivi. Ed ora si è abituato a vivere a cavallo di quelle impercettibili sfumature. Quasi a sentirsi di dare fastidio al solo uscire dagli schemi che la vita gli ha generosamente invitato a seguire. E che lui non ha mai deciso di cambiare. In vita sua ha cambiato tante persone, e molte di queste, affascinate da quellessere leggero e profondo, sono cambiate in cuor loro in meglio. Ma questo Blue non lo sa. O forse non gli interessa più. Ci sono tanti come lui, uno in più o uno in meno non farà di certo la differenza in un calcolo sommatorio e diffamatorio di sette miliardi di persone e più. Alza il braccio sinistro dopo un secondo laconico respiro e alza la temperatura della doccia. Si sta abituando anche al caldo e pensa che una sauna vera e propria non lha mai fatta in vita sua. Certo ci è andato vicino quando è rimasto chiuso in ascensore in un settembre ancora estivo, durante i corsi di recupero delle materie umanistiche al liceo. E pensare che in ascensore non era solo. Erano rimaste bloccate con lui due delle ragazze più in di tutto listituto. Ed aveva anche scoperto a sue spese quanto fossero stronze le due bimbe Prese da sole non sarebbero poi state neanche male, mentalmente parlando si intende, fisicamente non avevano nulla di che vergognarsi. Proprio due belle cocche di papà con la puzza sotto al naso e lidea di usare il mondo intero a loro piacere e comodo. Solo per riempire linconscio vuoto causato dalla sempre più crescente consapevolezza dellassenza di un non ben definito qualcosa. Avevano cominciato a denudarsi, pezzo per pezzo con i loro risolini e ammiccamenti vari. E Blue, lì, non era certo un pezzo di marmo. Rianalizzando lepisodio con il senno di poi ricorda solo le estenuanti prese per i fondelli che ne conseguirono per qualche mese ad opera dei soliti tre. E limmensa fatica di non saltare addosso a quei due pezzi di figliole. Quando riaprirono le porte dellascensore loro due erano in mutande e reggiseno, che si rimisero in fretta e furia alle prime avvisaglie di salvataggio. Dettaglio che Blue non divulgò mai, forse per eccessiva galanteria o coglionaggine. Come non raccontò mai i baci con tanto di lingua scambiati tra le due ragazze. I lembi di pelle tremula accarezzati dalle mani con le unghie dipinte. E i sorrisi ammiccanti, gli sguardi provocanti, i mugolii accennati... E lui zuppo di sudore ed arrapato come mai prima di allora Però ora il caldo e gli agrodolci ricordi che lo aggrediscono gli fanno mancare il fiato. È costretto ad aprire quello che in passato era uno sportello a tenuta stagna, per prendere un po daria. La fessura è quasi impercettibile, basta appena per il suo naso aquilino e la pupilla dilatatissima. Laria fredda va oltre il suo dovere e un brivido gelido gli scorre dal braccio destro su fino alla base del collo, per poi perdersi lungo la schiena ancora asciutta. Il brivido lo scuote dal suo torpore e la pupilla si stringe alla stessa velocità con la quale si risvegliò lultima volta che lo avevano tirato fuori da unoverdose con ladrenalina. Lespressione del suo volto per un istante è la stessa. Poi il flash dei ricordi passa. E il suo occhio destro, appesantito dalla cicatrice dei sei punti di sutura alla palpebra, si rassicura con la luce bluastra che compare ad intermittenza da sotto luscio della porta socchiusa. Il nightclub sotto casa sua adesso è aperto, di solito apre alle di solito non ha unora di apertura precisa. Né linsegna, che prepotente entra dalla finestra della sua camera da letto, si accende in orario con linizio della vita notturna. E tanto meno gli interessa adesso quale sia lora. È notte, questo gli basta. È lora adesso dei ricordi malinconici. Belli sì, ma malinconici. Proprio perché la vita ha smesso di aiutarlo fin da subito ed ogni singolo bel ricordo è stato appositamente messo su uno squallido altare emotivo. Ci ha lavorato in quella bettola con l'insegna bluastra, eccome se ci ha lavorato. Ed è riuscito anche a farci entrare a scrocco un paio di quei compagni più simili a lui, ed anche un po più assillanti degli altri E poi lei, i suoi capelli, il suo profumo così saturo di ormoni, così odioso. Oblique della Givenchi. Non lo scorderà mai, come non scorderà mai il suo odore, così dolce e inebriante, dopo una doccia rilassante a fine giornata lavorativa e ad inizio giornata solare

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