Clemente tacque. Guardato prima con molta diligenza un taccuino che si cavò dal seno di sotto alla mezzetta, rispose:
Più nulla.
A quando lincoronamento?
I vostri ufficiali di cerimonie possono concertarne il tempo e le forme col maestro del sacro palazzo.
Addio, dunque, Beatissimo Padre.
E Carlo disparve, le porte si chiusero, Clemente si trovò solo nella stanza. Allora, declinato il capo sul camino, meditò per lunghissima ora: allimprovviso si muove e si pone davanti alla sedia che occupò limperatore durante il colloquio:
Carlo dAustria! cominciò a dire alzando il dito e comprimendolo sopra langolo della tempia destra, le libertà dei comuni di Spagna, i privilegi delle città dei Paesi Bassi, le prerogative degli Stati Germanici ti avviluppano dentro rete validissima. Tu ti sforzi con ogni ingegno per divorarli; bada, Maestà, il tarlo rodendo si scava la tomba. La tua potenza non uguaglia il tuo orgoglio, i vasti concetti della tua mente non posano sopra anima in proporzione vigorosa; se pieno di forza rassomigli al sole di estate, come quel sole ogni giorno il tuo spirito tramonta. Maestà, tu mi hai supplicato per ottenere dalle mie mani una corona; ah semplice che fosti! io sarei venuto in capo al mondo per offrirtela; prostrati, Maestà, umiliati, Perché mi tarda importi questa corona sul capo; io la circonderò di punte invisibili e angosciose, le quali ti penetreranno nel cranio scompigliandoti il pensiero, turbandoti del continuo la coscienza. Io ti adatterò la corona sul capo come il collare al collo dello schiavo; che importa a me di cingertene il collo, la mano, il piede o la testa? Non per questo tu diventi meno servo alla chiesa romana! Affrettati a prostrarti, Maestà: io minnalzerò tanto, quanto tu labbasserai; e allorchì, Maestà, avrai baciato la polvere dei miei calzari, ti travaglierai indarno per dominarmi sul capo. Rendimi grande con la tua viltà e in processo di tempo se vorrai abbattere lidolo che tu stesso avrai fatto grande, o non ci riuscirai, o rimarrai infranto sotto la rovina di quello.
Capitolo Quarto La incoronazione
lo avrebbe stretto tra le braccia e baciato nel volto. Ma come resistere alla compiacenza di vedersi innanzi prostrato un signore di tante provincie? Non tutti i giorni si trovano imperatori da rinnovare tale ossequio; e poi, Clemente lo aveva già detto, si sarebbe di tanto rialzato il sacerdozio quanto abbassato limpero. Si dimenticava pertanto del convenuto: il coronato stette lunga pezza nellattitudine dello schiavo: in quel punto la corona gli pesò sul capo come se fosse stata una montagna; allora gli parve che il mondo, pocanzi da lui sorretto nella mano, adesso di tutto il suo peso gli gravitasse sul corpo: come il serpente della Scrittura, lui si nudrì di cenere e la sentì amara, senza misura amara; sicché il suo cervello, compresso dal pentimento, dalla umiliazione e dalla rabbia, stillò una goccia di sudore, la quale, come quella dellanima dannata dello scolare apparsa al suo maestro di filosofia, secondo che racconta frate Jacopo Passavanti nello Specchio della vera penitenza, avrebbe avuto virtù di traforare da una parte allaltra con insanabile piaga i piedi del pontefice, se per avventura ci fosse caduta sopra.
Fuori del tempio il popolo urlava, insaniva, fremeva a guisa di baccante scapigliata; Perché nessuna scintilla dintelletto gli balenasse su lanima, qui ì pane, qui copia di vino, camangiari e giullari. Sopra una colonna di marmo stava laquila imperiale; la quale da uno de suoi becchi versava vino rosso, dallaltro vino bianco, e giù intorno alla base della colonna vedevi prostesi uomini deturpati da oscena ubbriachezza. Sicché lAlamanni a questo spettacolo ebbe a dire: Ecco laquila imperiale rende oggi a spiluzzico alla gente italica il sangue che loro bevve a lunghi sorsi in tanti anni e le lacrime che le fece in copia versare; ma gliele rende stemperate nel veleno della stupidità.
Ahi! popolo, io che ho viscere di umanità e sono parte di te, conosco le tue miserie e le compiango. Bevi, procurati un sonno uguale alla morte; le tue gioie consistono nel non sentire i tuoi dolori. Ora tu sei condotto in piazza, come lorso ammansito, per sollazzare i tuoi sovrani padroni.
Dalle finestre, dai terrazzi lui ordina che ti siano gettati pane e carne. Potessi cibarti per un anno e approvigionarti lo stomaco, come la cittadella che teme lassedio, saresti meno infelice; ma domani linsolito cibo ti recherà molestia, forse anche la morte. Feste, forni e forche; ecco la somma dei paterni argomenti con i quali ti governano i tuoi signori. Domani tornerai a logorarti nelle consuete officine, a bagnare di sudore i solchi dei campi; quivi travagliati da mattina a sera, e lopera delle tue mani, il sudore della tua fronte devotamente consegna ai re e ai sacerdoti tuoi. Questi ti lasceranno la vita, ti lasceranno un pane, il cielo che ti copre e il sole che ti scalda o che non basta? Indiscreto! Via, ti lasceranno tanto spazio di terra da riporci dentro le tue ossa, perché non le rodano i cani, ed ancora perché morto tu col fetore non gli offenda dopo che vivo tanta recasti loro gravezza e molestia.