дАннунцио Габриэле - LInnocente / Невинный. Книга для чтения на итальянском языке стр 12.

Шрифт
Фон

Io interruppi:

Domani non sarò qui.

Ella si scosse al suono strano della mia voce. Io soggiunsi, senza attendere:

Partirò.

Soggiunsi ancóra, con uno sforzo per snodare la lingua, raccapricciato come uno che debba iterare il colpo per finire la vittima:

Partirò per Firenze.

Ah!

Ella aveva compreso a un tratto. Si volse con un moto rapido, si torse tutta su i cuscini per guardarmi; e io rividi, per quella torsione violenta, il bianco de suoi occhi, la sua gengiva esangue.

Giuliana! balbettai, senza sapere che altro dirle, chinandomi verso di lei, temendo chella venisse meno.

Ma ella abbassò le palpebre, si ricompose, si ritrasse, si restrinse in sé stessa, come presa da un gran freddo. Rimase così qualche minuto, con gli occhi chiusi, con la bocca serrata, immobile. Soltanto la pulsazione visibile della carotide nel collo e qualche contrazione convulsiva nelle mani davano indizio della vita.

Non fu un delitto? Fu il primo dei miei delitti; e non il minore, forse.

Partii, in condizioni terribili. La mia assenza durò più di una settimana. Quando tornai e nei giorni che seguirono il mio ritorno, io stesso mi meravigliavo della mia sfrontatezza quasi cinica. Ero posseduto da una specie di malefizio che aboliva in me ogni senso morale e mi rendeva capace delle peggiori ingiustizie, delle peggiori crudeltà. Giuliana anche questa volta mostrava una forza prodigiosa; anche questa volta aveva saputo tacere. E mappariva chiusa nel suo silenzio come in unarmatura adamantina, impenetrabile.

Andò con le figlie e con mia madre alla Badiola. Le accompagnava mio fratello. Io rimasi a Roma.

Da quel tempo incominciò per me un periodo tristissimo, oscurissimo, il cui ricordo ancóra mi riempie di nausea e dumiliazione. Tenuto da quel sentimento che meglio di ogni altro rimescola il fango essenziale nelluomo, io patii tutto lo strazio che una donna può fare di unanima fiacca, appassionata e sempre vigile. Accesa da un sospetto, una terribile gelosia sensuale divampò in me disseccando tutte le buone fonti interiori, alimentandosi di tutto il fecciume che posava nellinfimo della mia sostanza bruta.

Teresa Raffo non mera parsa mai desiderabile come ora che non potevo disgiungerla da una imagine fallica, da una sozzura. Ed ella si valeva del mio stesso disprezzo per inacerbire la mia brama. Agonie atroci, gioie abiette, sottomissioni disonoranti, patti vili proposti ed accettati senza rossore, lacrime più acri di qualunque tossico, frenesie improvvise che mi spingevano sul confine della demenza, cadute nellabisso della lussuria così violente che mi lasciavano per lunghi giorni istupidito, tutte le miserie e tutte le ignominie della passione carnale esasperata dalla gelosia, tutte io le conobbi. La mia casa mi divenne estranea; la presenza di Giuliana mi divenne incresciosa. Intere settimane passavano, talvolta, senza che io le rivolgessi una parola. Assorto nel mio supplizio interiore, io non la vedevo, non la udivo. In certi momenti,

levando gli occhi su lei, mi meravigliavo del suo pallore, della sua espressione, di certe particolarità del suo volto, come di cose nuove, inaspettate, strane; e non giungevo a riconquistare intera la nozione della realtà. Tutti gli atti della sua esistenza merano ignoti. Io non provavo alcun bisogno dinterrogarla, di sapere; non provavo per lei alcuna inquietudine, alcuna sollecitudine, alcun timore. Una durezza inesplicabile mi fasciava lanima contro di lei. Anche, talvolta, io avevo contro di lei una specie di vago rancore, inesplicabile. Un giorno la sentii ridere; e il suo riso mirritò, mi fece quasi ira.

Un altro giorno palpitai forte, udendola cantare da una stanza lontana. Cantava laria di Orfeo:

Che farò senza Euridice?

Vedendomi entrare nella sua stanza, ella si stupì; rimase per un poco attonita, in una sospensione manifesta.

Canti? io dissi, per dire qualche cosa, impacciato, meravigliato io stesso del mio atto straordinario.

Ella sorrise dun sorriso incerto, non sapendo che rispondere, non sapendo quale contegno assumere davanti a me. E mi parve di leggere nei suoi occhi una curiosità penosa, già altre volte da me notata fuggevolmente: quella curiosità compassionevole con cui si guarda una persona sospettata di follia, un ossesso. Infatti, nello specchio di contro io scorsi la mia imagine; rividi il mio volto scarno, le mie occhiaie profonde, la mia bocca tumida, quellaspetto di febricitante che avevo già da qualche mese.

Ti vestivi per uscire? le domandai, ancóra impacciato, quasi peritoso, non sapendo che altro dimandare, volendo evitare il silenzio.

Sì.

Era di mattina; era di novembre. Ella stava in piedi, presso a un tavolo ornato di merletti su cui rilucevano sparse le innumerevoli minuterie moderne destinate alla cura della bellezza muliebre. Portava un abito di vigogna oscuro; e teneva ancóra in mano un pettine di tartaruga bionda con la costola dargento. Labito, di foggia semplicissima, secondava la svelta eleganza della persona. Un gran mazzo di crisantemi bianchi le saliva di sul tavolo allaltezza della spalla. Il sole dellestate di San Martino scendeva per la finestra; e nella luce vagava un profumo di cipria o dessenza che io non seppi riconoscere.

Ваша оценка очень важна

0
Шрифт
Фон

Помогите Вашим друзьям узнать о библиотеке