Софи Лав - Una Amore Cosi’ Grande стр 6.

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Sembrava destino.

Keira prese il telefono e fece il numero dell’agenzia immobiliare. Dopo qualche squillo, le rispose una voce roca, il raschio di una donna anziana con un vizio del fumo di decenni.

“Chiamo per l’appartamento sul vostro sito,” disse, spiegando all’anziana signora a quale fosse interessata nello specifico.

“Oh, sì, quello è una meraviglia,” rispose la donna. “Una zona fantastica. Quanto è alta lei?”

Keira fu presa in contropiede dalla domanda. “Perché?”

“Perché gli ultimi due tizi a cui l’ho mostrato erano grossi come giocatori di pallacanestro e volevano più spazio. Una perdita di tempo per tutti. E il tempo è denaro, ragazza. Quindi? Quanto è alta?”

“Un metro e cinquantasette,” disse Keira.

“Perfetto,” gracchiò la donna. “Quando vuole dare un’occhiata?”

Keira pensò al suo lavoro, agli straordinari che spesso doveva fare al Viatorum. “Nel weekend sarebbe meglio.”

“Che cosa fa oggi?” fu la risposta dell’agente. “Mi hanno cancellato un appuntamento quindi potrei avere del tempo per lei.”

“Oggi?” ripeté Keira, sorpresa. D’altra parte non aveva altro da fare. “Okay, sì. Oggi va bene!”

Presero gli accordi necessari e Keira chiuse la chiamata, sentendosi un po’ frastornata per la velocità in cui era successo tutto. Sembrava davvero che fosse destino.

*

Keira uscì dalla metropolitana, ritrovandosi in una zona sconosciuta ma piuttosto gradevole di New York. Era una delle cose che amava di più di quella città, il modo in cui cambiava, si evolveva, e si sviluppava tanto costantemente da reinventarsi di continuo. Fino a poco tempo prima quell’area doveva essere stata un po’ degradata e ancora la gente non si era accorta del mutamento, perché altrimenti le sarebbe stato impossibile permettersi l’affitto in un posto del genere!

Si affrettò lungo il marciapiede, controllando i numeri della porte man mano che avanzava, alla ricerca del palazzo giusto. Mentre si avvicinava al numero corretto, notò una donna davanti a sé, vestita con un tailleur rosa fucsia e scarpe con il tacco dello stesso colore, che fumava una sigaretta. Doveva essere l’agente immobiliare con cui aveva parlato a telefono.

La donna si voltò, avendo udito il suono dei passi di Keira, e gettò la sigaretta a terra. La spense con la punta della scarpa e si diresse verso la porta, facendole cenno di seguirla, dopo aver soffiato il fumo da una lato della bocca.

“Entriamo,” le disse prima ancora che si fosse avvicinata. “Mi sto gelando le chiappe qui fuori.”

Keira batté le palpebre sorpresa per la velocità con cui quella situazione continuava a evolversi. Senza nemmeno uno scambio di presentazioni, seguì la donna dentro l’edificio.

All’interno era squallido come si era aspettata, ma le scale erano tutte intere e l’ascensore non puzzava. Salirono al tredicesimo piano e Keira fu lieta di vedere che non c’erano graffiti da nessuna parte del corridoio in cui si fermarono.

L’agente immobiliare infilò una chiave nella toppa di una semplice porta bianca e aprì.

Ne emerse un tanfo di polvere. Sembrava che nessuno avesse più passato l’aspirapolvere in quell’appartamento da anni. Entrarono.

“Il proprietario ha vissuto qui per un po’, prima di trasferirsi in un altro posto e di mettere questo in affitto. È uno scapolo,” raccontò l’agente, passando le dita sulla balaustra e sollevando la polvere. “Probabilmente lo aveva già intuito.”

Ma a Keira non importava dello sporco. Non le importava nemmeno quanto sembrasse più piccolo l’appartamento dal vivo rispetto alle foto, o che la carta da parati fosse macchiata di impronte di mani. Riusciva a vedere al di là di tutto quello. Per lei l’appartamento significava la libertà, l’indipendenza, l’inizio di una nuova vita. Una nuova partenza. Un’ancora di salvezza.

“Lo adoro!” esclamò, battendo le mani.

L’agente non sembrò colpita dal suo entusiasmo. “Bene,” rispose semplicemente. “La camera da letto è per di qua. È il motivo per cui è così economico. Non c’è abbastanza spazio per un matrimoniale come si deve, solo per un letto da una piazza e mezzo. Ma lei è bassa quindi non avrà problemi.”

Keira sbirciò nella camera da letto. In effetti era poco più di un ripostiglio, ma tanto le serviva solo come posto dove dormire. Non era come se avesse un partner con cui condividere il letto, sarebbe stata lei da sola. Lei e magari un gatto…

“Per me è grande abbastanza,” replicò. “Non ho ancora un letto quindi si tratterà solo di trovarne uno che ci stia.”

L’agente immobiliare annuì con l’ormai familiare atteggiamento disinteressato. “Fantastico. Lo vuole prendere in affitto?”

A Keira serviva un momento per riflettere. Stava succedendo tutto troppo in fretta. Uscì dalla camera da letto per tornare in soggiorno e si avvicinò a una delle grandi finestre, per ammirare il panorama. Da lì riusciva a vedere Central Park.

All’improvviso si riuscì a immaginare seduta davanti a quella finestra, in vista delle strade al di sotto, a bere caffè e a scrivere. Sarebbe stata come la sua personale finestra parigina. Non le serviva niente di più, non quando andava all’estero per lavoro tanto spesso. Aveva solo bisogno di una casa tutta sua. Il suo nuovo inizio.

Si voltò di scatto verso l’agente immobiliare vestita di fucsia. “Sì. Lo prendo.”

CAPITOLO TRE

Mallory si chinò verso l’altro lato del tavolo e riempì il bicchiere di Keira con altro vino rosé. La ragazza fece una smorfia. Non era particolarmente affezionata a quella bevanda dolciastra che piaceva tanto a suo madre, ma non poteva farci niente. Quando si trattava di Mallory Swanson, ogni resistenza era inutile.

Bryn colse lo sguardo di Keira dall’altra parte del tavolo e sogghignò. Lei odiava il vino rosé tanto quanto la sorella. Almeno era diventato uno scherzo privato tra loro due.

“Dunque, Keira,” disse Mallory, rivolta alla figlia più giovane.

Keira distolse lo sguardo da Bryn e si girò verso la madre. Capiva dagli occhi stretti e dal modo in cui il bicchiere le pendeva tra le mani che aveva bevuto troppo. Che significava che stava per domandarle qualcosa di molto privato, come capitava sempre quando era vagamente brilla.

Keira si preparò. “Sì, mamma?”

“Hai avuto notizie di Cristiano?”

Ed eccolo lì. Un pugno allo stomaco.

Prima ancora che avesse il tempo per lamentarsi, Mallory sussultò e lanciò un’occhiataccia a Bryn.

“Niente calci, signorina!” esclamò. “Se non glielo chiedo, lei non ne parlerà mai. Come altro posso sapere che cosa sta succedendo nella vita di mia figlia? Un momento sembra che abbia incontrato l’Uomo Perfetto e poi subito dopo quello è già svanito. Voglio sapere che cosa è capitato.”

La petulanza era un’altra delle caratteristiche dell’ubriachezza di Mallory.

Keira sospirò. “Va bene. Tanto ormai parlarne mi può fare solo bene.” Appoggiò il bicchiere di vino. Almeno così aveva una scusa per non bere più rosé. “Non l’ho più sentito da dopo che l’ho lasciato. Credevo davvero che saremmo rimasti amici. Mi era sembrata una separazione tra persone mature, ecco. Come se entrambi avessimo capito che non era la cosa giusta da fare. Ma poi lui è scomparso dalla faccia del pianeta. Nessuna comunicazione di alcun tipo. Voglio dire, sono un’idiota per aver pensato che avrei potuto rimanere amica di un mio ex? È successo lo stesso con Shane.”

“Oh, cara, non sono la persona giusta a cui chiederlo,” rispose Mallory. “Sai fin troppo bene quanto è stata disastrosa la mia vita amorosa.”

Se Keira avesse avuto una cartella della tombola per gli argomenti di cui sua madre parlava dopo aver bevuto, probabilmente ormai sarebbe stata vicina alla vittoria. La carriera. Il dolore di un cuore spezzato. E ora il colpo di grazia: papà.

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