“È quello che voglio che tu faccia” le dico, rifiutandomi di portare con me anche lei.
Mi giro verso Ben, lui si volta e incrocio i suoi occhi funerei. La loro espressione mi fa venire voglia di distogliere lo sguardo, ma mi sforzo di non farlo.
“Tu vieni?” domando. Spero che dica sì. Mi scoccia che Logan rimanga qui, che mi faccia andare via così, quando mi farebbe davvero comodo un po’ d’aiuto.
Ma Ben, ancora sotto shock, non fa altro che guardarmi. Mi guarda come se non capisse. Mi domando se sta davvero rendendosi conto di ciò che gli succede attorno.
“Tu vieni?” domando con più veemenza. Non ho tutta questa pazienza.
Lentamente, scuote la testa, e indietreggia. È proprio alienato, cerco di non avercela con lui – anche se è dura.
Mi giro per scendere dalla barca, e salto sulla riva. È una bella sensazione avere i piedi sulla terraferma.
“Aspetta!”.
Mi giro e vedo Logan alzarsi dal sedile di guida.
“Sapevo che sarebbe successa qualche cavolata del genere” dice.
Cammina sulla barca, raccogliendo le sue cose.
“Che stai facendo?” domando.
“Secondo te?” domanda lui. “Non vi lascio andare da sole”.
Di colpo mi sento sollevata. Se fossi stata sola non sarei stata così preoccupata – ma sono entusiasta di avere un altro paio di occhi per Bree.
Salta giù dalla barca e raggiunge la riva.
“Te lo dico adesso, questa è un’idea stupida” dice nel momento in cui tocca terra accanto a me. “Dovremmo muoverci. Fra poco sarà sera. L’Hudson potrebbe gelare. Rischiamo di rimanere bloccati qui. Senza parlare dei mercanti di schiavi. Hai 90 minuti, intesi? 30 minuti per andare, 30 per stare, 30 per tornare. Zero eccezioni, per nessuna ragione. In caso contrario, vi lascio qui”.
Lo guardo stupita e grata al tempo stesso.
“Affare fatto” rispondo.
Penso al sacrificio che ha appena fatto, e mi accorgo di stare provando anche qualcos’altro. Al di là del suo atteggiamento, inizio a sentire di piacere molto a Logan. E poi non è così egoista come pensavo.
Come ci giriamo per andarcene si sente rumoreggiare sulla barca.
“Aspetta!” urla Ben.
Mi volto e lo guardo.
“Non potete lasciarmi qui con Rose. E se arriva qualcuno? Cosa dovrei fare?”.
“Tieni d’occhio la barca” dice Logan, rigirandosi per andare.
“Non so come si guida!” grida Ben. “Non ho armi!”.
Logan si volta di nuovo, allunga una mano e tira fuori una delle pistole dalla cinghia sulle cosce e gliela lancia. Lo prende in pieno petto, e Ben muove goffamente le mani per afferrarla.
“Vedi se riesci a capire come usarla” sogghigna Logan prima di girarsi nuovamente.
Osservo meglio Ben, che se ne sta là con l’aria indifesa e spaventata, con una pistola che sa a stento come funziona. Sembra completamente atterrito.
Vorrei confortarlo. Dirgli che andrà tutto bene, che torneremo presto. Ma mentre mi giro dall’altra parte e guardo l’ampia zona di montagna che ci sta davanti, per la prima volta non mi sento così sicura di farcela.
DUE
Camminiamo a passo spedito sulla neve e sono sempre più in ansia man mano che il cielo si fa più scuro e sento il passare del tempo. Mi guardo le spalle e vedo le mie impronte sulla neve, e più in là, Ben e Rose sulla barca fluttuante che ci guardano con gli occhi spalancati. Rose si stringe a Penelope, che è altrettanto spaventata. Penelope abbaia. Mi sento male a lasciarli tutti e tre là, ma so che la nostra missione è necessaria. So che possiamo recuperare cibo e provviste che ci saranno d’aiuto, e credo che abbiamo un buon vantaggio sui mercanti di schiavi.
Corro verso il capannone arrugginito, coperto di neve, apro con forza il portone piegato, sperando che il pickup che vi avevo nascosto anni fa sia ancora lì. Era un vecchio pickup arrugginito, ridotto malissimo, più rottami che auto, con solo mezzo quarto di tanica di benzina rimasto. Mi ci sono imbattuta un giorno, in un fossato sulla Route 23, e lo nascosi con cura qui lungo il fiume, nel caso ne avessi avuto bisogno. Ricordo di essere rimasta sorpresa quanto si mise in moto.
La porta del capannone si apre con un cigolio, ed eccolo lì, nascosto per com’era il giorno che lo portai, ancora coperto di fieno. Di colpo mi sento sollevata. Faccio un passo indietro e scrollo via il fieno, e sento freddo alle mani come tocco il metallo ghiacciato. Vado nel retro del capannone e apro le porte del fienile, facendo entrare la luce.
“Bella macchina” dice Logan mentre cammina dietro di me, osservandolo. “Sicura che vada?”.
“No” rispondo. “Ma casa di mio papà e a venti chilometri buoni e non è che possiamo raggiungerla a piedi”.
Dal tono della sua voce posso dire che non è contento di essere qui, che vorrebbe tornare alla barca e risalire il fiume.
Salto al posto di guida e cerco la chiave per terra. La sento, è nascosta in fondo. Giro la chiave, faccio un respiro profondo e chiudo gli occhi.
Ti prego, Dio. Ti prego.
All’inizio non succede niente. Mi si gela il sangue.
Ma provo e riprovo, giro sempre più, e lentamente inizia a prendere. Dapprima è un suono lieve, come quello di un gatto che sta morendo. Ma insisto, giro e rigiro, sperando che magari prenda meglio.
Dai, dai.
Finalmente prende per bene, e s’accende. Rantola e borbotta, è chiaramente vicino alla sua fine. Ma quantomeno va.
Non posso fare a meno di sorridere rinfrancata. Funziona. Funziona davvero. Possiamo arrivare a casa mia, seppellire il cane e prendere del cibo. Voglio pensare che che Sasha ci guarda dall’alto e ci aiuta. Forse anche papà.
Si apre lo sportello passeggero e salta dentro un’euforica Bree, che si precipita sull’unico sedile in polivinile, proprio accanto a me, mentre Logan salta dietro di lei, chiudendo lo sportello e guarda davanti.
“Cosa stai aspettando?” dice. “Il tempo passa”.
“Non devi dirmelo due volte” rispondo in modo altrettanto brusco.
Metto la marcia e do gas, uscendo a marcia indietro dal capannone, sulla neve, sotto il cielo pomeridiano. All’inizio le ruote girano un po’ a vuoto sulla neve, ma come accelero di più prendiamo un po’ trazione.
Procediamo, sterzando con le gomme lisce attraverso un campo pieno di buche, sobbalzando di continuo. Ma proseguiamo dritto, ed è l’unica cosa di cui m’importa.
Arriviamo velocemente a una piccola strada di campagna. Sono davvero contenta che la neve si sia sciolta per tutto il giorno – altrimenti non ce l’avremmo mai fatta.
Iniziamo a guadagnare a velocità. Sono sorpresa dal pickup, che sembra andare meglio man mano che si riscalda. Tocchiamo quasi i 65 all’ora mentre avanziamo sulla Route 23 in direzione ovest. Continuo a dare gas, fino a quando non prendo un tombino, e me ne pento. Sbattiamo tutti la testa. Rallento. È quasi impossibile vedere i tombini nella neve, e mi ero scordata quanto fossero diventate brutte queste strade.
È inquietante essere di nuovo su questa strada, diretta verso quella che una volta era casa. Mentre ripercorro la strada che avevo preso per inseguire i mercanti di schiavi cominciano a riaffiorare i ricordi. Ricordo la corsa in moto con la paura di morire, e cerco di non pensarci.
Procedendo ci imbattiamo nel grosso albero caduto in strada, adesso coperto di neve. Riconosco che è l’albero che era caduto sulla strada bloccando il cammino dei mercanti di schiavi, merito di un sopravvissuto sconosciuto che ci stava osservando. Non posso fare a meno di chiedermi se in questo momento ci sono altre persone là fuori, magari che ci stanno guardando. Guardo da lato a lato, perlustrando gli alberi. Ma non vedo alcun segno.
Stiamo procedendo in tempo e con mio sollievo niente sta andando storto. Non mi fido. È come se fosse tutto troppo facile. Do un’occhiata all’indicatore della benzina e mi accorgo che non ne abbiamo usata troppa. Ma non so quanto sia esattamente, e per un attimo non sono sicura se basterà a portarci avanti e indietro. Mi chiedo se non è stata un’idea stupida quella di provarci.