Морган Райс - La Fabbrica della Magia стр 10.

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Quando fu sul retro, Oliver trovò un’altra porta. Diversamente dalle altre, questa non era stata sbarrata. A dire il vero, era addirittura socchiusa.

Con il cuore in gola, Oliver spinse la porta. La sentì resistere contro la sua forza, ma poi emise il tipico sonoro cigolio del metallo arrugginito. Non era un buon segno, pensò Oliver, con i brividi per quel rumore così spiacevole. Se la porta fosse stata usata anche raramente, non avrebbe dovuto essere così bloccata per la ruggine, né produrre alcun suono.

Con la porta aperta quel che bastava perché lui potesse infilarcisi dentro, Oliver passò nell’angusto passaggio e si trovò all’interno della fabbrica. I suoi passi riecheggiarono mentre veniva proiettato in avanti di qualche metro per effetto della spinta che si era dato per entrare.

All’interno del magazzino era buio pesto e gli occhi di Oliver ci misero un poco ad adeguarsi all’improvviso cambio di luminosità. Praticamente accecato dall’oscurità, Oliver sentì il senso dell’olfatto che si acuiva, quasi a compensare la mancanza della vista. Divenne consapevole degli odori di polvere e metallo, oltre al caratteristico odore di un edificio abbandonato.

Aspettò con il fiato sospeso che gli occhi si abituassero finalmente alla poca luce. Ma quando lo fecero, la vista gli bastò appena per vedere a pochi metri dal proprio volto. Iniziò quindi a camminare con cautela per la fabbrica.

Sussultò di meraviglia quando si imbatté in un enorme apparecchio di legno e metallo, simile a un pentolone gigante. Ne toccò il fianco, e il contenitore iniziò a oscillare come un pendolo nel suo telaio di metallo. Ruotava anche su se stesso, e Oliver pensò che potesse avere a che fare con la mappatura del sistema solare e il movimento dei pianeti attorno, che ruotavano su diversi assi. Ma a cosa servisse realmente quel marchingegno, Oliver non ne aveva la più pallida idea.

Proseguì e trovò un altro oggetto dall’aspetto strano. Era costituito da una colonna di metallo, ma con una specie di braccio meccanico che sporgeva in alto e un artiglio a forma di mano alla base. Oliver provò la manovella e il braccio iniziò a muoversi.

Come in sala giochi, pensò Oliver.

Si muoveva come quei bracci motorizzati, con la mano che però non afferrava mai nessuno dei pupazzi contenuti nella vetrinetta. Questo era molto più grande, però, come se fosse stato progettato per sollevare ben più che semplici oggetti.

Oliver toccò ogni dito della mano ad artiglio. Avevano tutti lo stesso numero di giunture di una mano vera, e ogni parte si muoveva quando lui la spingeva. Oliver si chiese se Armando Illstrom avesse tentato di costruire un suo robot, ma decise che aveva più senso che fosse un suo tentativo di automa. Aveva letto tutto di loro: macchine a carica manuale in forma umana che potevano eseguire specifiche azioni pre-pianificate, come scrivere o digitare su una tastiera.

Oliver continuò a camminare. Tutt’attorno a lui c’erano fantastiche macchine, immobili e imponenti, come giganti resi immobili dal tempo. Erano fatti di una combinazione di materiali come legno e metallo, e consistevano in molte parti diverse, come ingranaggi e molle, leve e manovelle. Tra esse pendevano un sacco di ragnatele. Oliver provò alcune delle macchine, disturbando una varietà di insetti che avevano preso casa in varie fessure nascoste.

Il senso di meraviglia iniziò però a svanire quando Oliver ebbe il pensiero, accompagnato da un orribile senso di disperazione, che la fabbrica fosse effettivamente finita in disuso e abbandono. E non certo recentemente. Dovevano essere passati decenni, a giudicare dallo spessore della polvere e dai grovigli di ragnatele, da quanto i macchinari cigolavano e dal numero di insetti che vi avevano trovato alloggio.

Con una crescente sensazione di angoscia, Oliver visitò velocemente il resto della fabbrica, sbirciando con sempre minore speranza nelle stanze attigue e lungo gli oscuri corridoi. Non c’erano segni di vita.

Rimase fermo lì, nel magazzino vuoto e buio, circondato dai relitti di un uomo che ora sapeva che non avrebbe mai conosciuto. Aveva avuto bisogno di Armando Illstrom. Aveva avuto bisogno di un salvatore che potesse liberarlo dall’oscurità. Ma era stato solo un sogno. E ora quel sogno era svanito.

*

Oliver fece l’intero viaggio di ritorno a casa in autobus sentendosi ferito e svuotato. Era talmente triste da non riuscire neanche a leggere il suo libro.

Arrivò alla sua fermata e scese nell’aria frizzante della sera. La pioggia gli batteva in testa, inzuppandolo completamente. Non se n’era quasi accorto, tanto era consumato dal suo personale dolore.

Quando raggiunse la sua nuova casa, Oliver ricordò di non avere ancora una sua chiave. Entrare poteva rivelarsi un altro crudele colpo in una giornata già disperatamente misera. Ma non aveva scelta. Bussò alla porta e si preparò.

La porta si aprì di scatto. Lì davanti a lui, con un sorriso demoniaco stampato in faccia, c’era Chris.

“Sei in ritardo per la cena,” disse guardandolo torvo, lampi di piacere che gli illuminavano gli occhi. “Mamma e papà stanno sclerando.”

Dall’interno della casa Oliver poteva sentire la voce acuta di sua madre. “È lui? È Oliver?”

Chris si voltò e gridò la sua risposta: “Sì. E sembra un ratto annegato.”

Guardò ancora Oliver, la sua espressione quasi di gioia per essere ormai vicino al confronto. Oliver lo spinse ed entrò in casa, passando oltre il tozzo corpo di Chris. Una scia di gocce cadde a terra dai suoi abiti fradici, creando una pozza ai suoi piedi.

Sua madre corse nel corridoio e si fermò dalla parte opposta fissandolo. Oliver non riusciva a capire se la sua espressione fosse di sollievo o di rabbia.

“Ciao, mamma,” disse con tono docile.

“Ma guardati!” esclamò lei. “Dove sei stato?”

Se si sentiva sollevata per il ritorno di suo figlio, era brava a mascherarlo e non vi diede seguito con un abbraccio né alcun altro gesto simile. La madre di Oliver non era solita elargire abbracci.

“Dovevo fare una cosa dopo scuola,” rispose Oliver in modo evasivo. Si tolse di dosso il maglione zuppo.

“Una lezione di nerd?” si intromise Chris. Poi rise fragorosamente della sua stessa battuta.

Mamma allungò una mano per prendere il maglione di Oliver. “Dammi qua. Dovrò lavarlo,” sospirò pesantemente. “E adesso entra. La tua cena si sta raffreddando.”

Spinse Oliver in salotto. Immediatamente Oliver notò che le cose nella sua nicchia erano state messe in disordine e spostate. All’iniziò pensò che fosse perché vi era stato trascinato un materasso e tutto vi era stato appoggiato sopra, ma poi vide la trappola a fionda posata sulla sua coperta. Accanto ad essa c’era la sua valigia, i ganci di sicurezza aperti e il coperchio spalancato. E poi vide con orrore che tutti i suoi cavi per il mantello dell’invisibilità erano stati sparpagliati sul pavimento, piegati e aggrovigliati come se qualcuno li avesse calpestati.

Oliver capì subito che quella era opera di Chris e gli lanciò un’occhiataccia. Suo fratello lo stava guardando, aspettando la sua reazione.

“Sei stato tu?” chiese Oliver.

Chris si infilò le mani in tasca e dondolò sui talloni, mostrandosi innocente. Scrollò le spalle. “Non ho idea di cosa tu stia parlando,” disse con un sorrisino che la diceva lunga.

Fu la gocciolina che fece traboccare il vaso. Dopo tutto quello che era successo negli ultimi due giorni, con il trasloco, l’orribile esperienza a scuola e la perdita del suo eroe, Oliver non aveva più le forze di sopportare anche questo. La rabbia esplose dentro di lui. Prima di avere anche solo la possibilità di pensare, andò a grandi passi verso Chris.

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