Морган Райс - Rito Di Spade стр 6.

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“LASCIATEMI IN PACE!” urlò in risposta.

La sua voce riecheggiò ripetutamente rimbalzando contro le pareti della cripta.

“AVRETE PRESTO IL VOSTRO RISCATTO!”

Ma il vento continuava.

Gareth, furioso, scese più a fondo, fino a che raggiunse la grande sala di marmo, scavata nella terra e con un soffitto di tre metri, dove tutti i suoi avi erano sepolti in sarcofagi di marmo. Gareth marciò solennemente lungo il corridoio e i suoi passi risuonarono sul marmo. Raggiunse l’estremità della stanza, dove giaceva suo padre.

Il Gareth di un tempo avrebbe picchiato contro il sarcofago di suo padre. Ma ora, per una qualche ragione, stava iniziando a provare una certa affinità con lui. Non capiva perché. Forse era l’oppio che si stava dileguando dentro di sé, o forse perché sapeva che presto anche lui sarebbe morto.

Gareth toccò il grande sarcofago e si chinò su di esso, abbassando la testa. Si sorprese quando iniziò a piangere.

“Mi manchi, padre,” disse singhiozzando, la voce riecheggiante nella stanza vuota.

Continuò a piangere, le lacrime gli scendevano lungo il volto, fino a che le ginocchia gli si fecero più deboli e crollò esausto a terra, sedendosi sul pavimento, appoggiato addosso alla tomba. Il vento ululò come in risposta e Gareth mise giù la torcia che ardeva sempre più debolmente: una fiammella che si spegneva nell’oscurità. Gareth sapeva che presto tutto sarebbe stato buio e che avrebbe raggiunto tutti quelli che amava di più.

CAPITOLO CINQUE

Steffen camminava triste lungo il solitario sentiero nella foresta, allontanandosi lentamente dalla Torre dell’Asilo. Gli spezzava il cuore lasciare Gwendolyn lì a quel modo, la donna che aveva giurato di proteggere. Senza di lei, lui non era niente. Da quando l’aveva incontrata aveva sentito di aver finalmente trovato uno scopo nella vita: sorvegliarla, consacrare la propria vita a ripagarla per avergli permesso – a lui, un mero servitore – di salire di rango. E soprattutto per essere stata la prima persona nella sua vita a non detestarlo e sottovalutarlo per il suo aspetto.

Steffen aveva provato un senso di orgoglio nell’aiutarla a raggiungere sana e salva la Torre. Ma lasciarla lì lo aveva svuotato. Dove sarebbe andato adesso? Cosa avrebbe fatto?

Senza lei da proteggere, la sua vita sembrava di nuovo priva di scopo. Non poteva tornare alla Corte del Re né a Silesia: Andronico aveva sconfitto entrambe le città e gli tornò in mente la distruzione che aveva visto quando era fuggito da Silesia. L’ultima cosa che ricordava era la sua gente catturata e fatta schiava. Non avrebbe avuto senso tornare. Inoltre Steffen non aveva intenzione di riattraversare l’Anello e stare così lontano da Gwendolyn.

Camminò senza meta per ore, serpeggiando lungo i sentieri della foresta, cercando di riflettere, fino a che gli venne in mente dove andare. Seguì la strada di campagna verso nord, salì una collina – il punto più alto – e da quella posizione privilegiata scorse un piccolo villaggio arroccato su un’altra collina in lontananza. Si diresse da quella parte, e quando la raggiunse vide che quella cittadina aveva ciò che gli serviva: una perfetta visuale della Torre dell’Asilo. Se Gwendolyn avesse mai cercato di andarsene da lì, voleva essere abbastanza vicino ed essere sicuro di poterla accompagnare e proteggere. Dopotutto la sua lealtà era verso di lei ora. Non verso un esercito o una città, ma verso lei. Lei era la sua nazione.

Quando Steffen arrivò nel piccolo e umile villaggio decise che sarebbe rimasto lì, in quel luogo, da dove avrebbe sempre potuto osservare la Torre e tenere sott’occhio Gwen. Attraversando i cancelli notò che si trattava di un villaggio povero e ordinario, un altro piccolo insediamento ai confini dell’Anello, così nascosto nella Foresta Meridionale che gli uomini di Andronico sicuramente non si erano presi la briga di andare da quella parte.

Steffen arrivò sotto gli sguardi stupiti di decine di paesani: volti dipinti di ignoranza e mancanza di compassione, tutti a guardarlo a bocca aperta e con quella familiare espressione di beffa e derisione che aveva incontrato da quando era nato. Mentre tutti osservavano il suo aspetto lui sentiva su di sé i loro occhi beffardi.

Avrebbe voluto girarsi e andarsene di corsa, ma si sforzò di non farlo. Aveva bisogno di stare vicino alla Torre, e per il bene di Gwendolyn avrebbe sopportato qualsiasi cosa.

Un abitante del villaggio, un uomo robusto sulla quarantina, vestito di stracci come gli altri, si voltò e si diresse severo verso di lui.

“Cos’abbiamo qui, una specie di scherzo della natura?”

Gli altri risero, girandosi a loro volta e avvicinandosi.

Steffen rimase calmo, aspettandosi quel genere di accoglienza cui era abituato da una vita. Aveva imparato che più le persone erano provinciali, più si divertivano a ridicolizzarlo.

Si raddrizzò e si assicurò che l’arco fosse al posto giusto appeso alla sua spalla, in caso quei paesani fossero non solo crudeli, ma anche violenti. Sapeva che, se ce ne fosse stato bisogno, ne avrebbe messi al tappeto molti in un batter d’occhio. Ma lui non era lì per la violenza. Era lì per trovare riparo.

“Sembra essere ben più che un semplice personaggio strano, giusto?” chiese un altro mentre il gruppo di persone si ingrossava attorno a lui facendosi sempre più minaccioso.

“Da come è vestito direi di sì,” disse un altro. “Guardate l’armatura reale.”

“E quell’arco: è pelle pregiata.”

“Per non parlare delle frecce. Punte d’oro, vero?”

Si fermarono a pochi passi da lui, guardandolo con volti minacciosi. Gli fecero ricordare i bulli che lo tormentavano da bambino.

“Allora, chi sei, pagliaccio?” chiese uno di loro.

Steffen fece un respiro profondo, determinato a stare calmo.

“Non ho intenzione di farvi del male,” iniziò.

Tutti scoppiarono a ridere.

“Del male? Tu? Che male potresti mai farci?”

“Non potresti nuocere neanche ai nostri polli,” rise un altro.

Steffen avvampò mentre le risa si intensificavano, ma non voleva lasciarsi provocare.

“Ho bisogno di un posto dove stare e di cibo da mangiare. Ho mani callose e forti per lavorare. Assegnatemi un compito e mi darò da fare. Non mi serve molto. Lo stretto necessario.”

Steffen voleva perdersi nuovamente nel duro lavoro, come quello svolto in tutti gli anni passati nei sotterranei del castello a servire re MacGil. Gli avrebbe tenuto la mente lontana dai pensieri. Poteva lavorare sodo e vivere nell’anonimato come si era preparato a fare prima di incontrare Gwendolyn.

“E tu ti definisci un uomo?” gridò uno di loro, ridendo.

“Forse possiamo usarlo in qualche modo,” disse un altro.

Steffen lo guardò speranzoso.

“Magari nei combattimenti contro i cani o i polli!”

Tutti risero.

“Pagherei per vederlo!”

“Là fuori c’è una guerra, se non l’avete notato,” disse Steffen freddamente. “Sono sicuro che anche in una cittadina provinciale e semplice come questa, potete dare una mano a mantenere le provviste.”

Gli abitanti si guardarono confusi.

“Certo che sappiamo della guerra,” disse uno, “ma il nostro villaggio è troppo piccolo. Gli eserciti non si preoccupano minimamente di venire da questa parte.”

“Non mi piace il modo in cui parli,” disse un altro. “Tutto affettato. Sembra che ti sia stata impartita una qualche istruzione. Pensi di essere meglio di noi?”

“Non sono meglio di nessuno,” disse Steffen.

“Questo è ovvio,” rise un altro.

“Basta chiacchiere!” intervenne uno degli abitanti con tono serio.

Si fece avanti e spinse gli altri con forti manate. Era più anziano e sembrava una persona seria. La folla fece silenzio in suo presenza.

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