Erec sollevò lo sguardo a bocca aperta per lo stupor e guardò il drago levarsi in aria, sbattere le grandi ali e volare oltre. Era diretto verso nord. I suoi uomini levarono un grandioso grido di gioia al suo passaggio.
Erec era senza parole per l’ammirazione nei confronti delle gesta eroiche di Thor, la sua temerarietà, il suo controllo su quella bestia, e il potere dell’animale stesso. Gli era stata concessa una seconda possibilità di vita – a lui e a tutti i suoi uomini – e per la prima volta da un bel po’ di tempo si sentiva ottimista. Ora potevano vincere. Anche contro l’esercito da un milione di uomini di Andronico, con una bestia come quella potevano veramente vincere.
“Uomini, in marcia!” ordinò Erec.
Era determinato a seguire la traiettoria del drago, l’odore di zolfo, la scia in cielo, ovunque quella li conducesse. Thorgrin era tornato ed era ora di unirsi a lui.
CAPITOLO OTTO
Kendrick si lanciò all’attacco sul suo cavallo, circondato dai suoi uomini, in migliaia ammassati al di fuori di Vinesia, la città più grande in cui il battaglione di Andronico si era ritirato. Un’alta cancellata di ferro sbarrava l’accesso alla città, le mura di pietra erano spesse e migliaia di uomini di Andronico sciamavano dentro e fuori, in netta superiorità numerica rispetto all’esercito di Kendrick. L’elemento sorpresa non era più dalla loro parte.
Ancora peggio, dall’altra parte della città apparvero in vista migliaia di altri soldati di Andronico, rinforzi che inondavano la pianura. Proprio quando Kendrick aveva pensato di averli in pugno, la situazione si era velocemente capovolta. Infatti l’esercito stava ora marciando verso di loro, in ordine, disciplinato, una massiccia ondata di distruzione.
L’unica alternativa era ora quella di ritirarsi a Silesia e tenere duro lì temporaneamente fino a che l’Impero prendesse nuovamente il sopravvento, fino a che tutti finissero a diventare schiavi di nuovo. Non poteva accadere.
Kendrick non si era mai ritirato una sola volta dalla battaglia, neanche quando si era trovato in minoranza numerica e nessun altro dei coraggiosi guerrieri dell’esercito di MacGil, di Silesia e dell’Argento che erano ora lì con lui. Kendrick sapeva che tutti avrebbero combattuto fino alla morte. E mentre serrava la presa sull’elsa della sua spada, sapeva che ciò era esattamente quello che doveva fare quel giorno.
I soldati dell’Impero lanciarono un grido di battaglia e gli uomini di Kendrick risposero con un urlo ancora più forte.
Mentre scendevano al galoppo il versante della collina per scontrarsi con l’esercito che avanzava verso di loro, sapendo che si trattava di una battaglia che non potevano vincere, ma determinati a portarla comunque avanti, gli uomini di Andronico presero velocità e si avvicinarono sempre più. Kendrick sentiva l’aria che gli passava tra i capelli, sentiva la vibrazione dell’elsa della spada nella sua mano, e sapeva che era questione di pochi attimi perché si ritrovasse perso in un enorme clangore metallico, in un grande e familiare rito di spade.
Fu sorpreso di udire qualcosa di simile a uno stridio provenire dall’alto. Allungò il collo e guardò verso il cielo: qui vide qualcosa che sfrecciava attraverso le nuvole e che gli fece strizzare gli occhi per guardare meglio. Lo aveva visto un’altra volta prima d’ora – Thor che appariva in groppa a Micople – eppure la vista gli mozzò comunque il fiato. Soprattutto perché questa volta c’era anche Gwendolyn lassù.
Il cuore di Kendrick si gonfiò di gioia mentre li vedeva tuffarsi e si rendeva conto di ciò che stava per accadere. Sorrise, sollevò la spada in alto e galoppò più forte, capendo per la prima volta che la vittoria quel giorno dopotutto sarebbe stata loro.
*
Thor e Gwen volavano in groppa a Micople, ondeggiando dentro e fuori dalle nuvole, le grandi ali del drago che sbattevano sempre più forte mentre lui la spronava. Percepiva che c’era del pericolo là sotto per Kendrick e gli altri, si tuffò in basso e sbucò dalle nuvole. Davanti a lui si aprì una veduta totale del paesaggio: tra le colline tondeggianti dell’Anello vide la vastità dell’esercito di Andronico che avanzava contro gli uomini di Kendrick in aperta pianura.
Thor spronò Micople.
“Scendi!” le sussurrò.
Lei scese in basso, così vicina al terreno che Thor poteva quasi saltare a terra, poi aprì la bocca e soffiò il fuoco. Il calore quasi scottò Thor stesso. Ondate e ondate di fuoco rotolarono attraverso la piana e si levarono le grida terrorizzate degli uomini dell’Impero. Micople portò una devastazione come mai si era vista, incendiando chilometri e chilometri di campagna e uccidendo migliaia di uomini di Andronico.
Chiunque sopravviveva si voltava per scappare. Thor avrebbe lasciato il resto a Kendrick: che se ne curasse lui.
Virò verso la città e vide migliaia di soldati dell’Impero all’interno. Sapeva che Micople non poteva girarsi in un’area così ristretta, con quelle mura alte e strette, e che sarebbe stato troppo rischioso farla scendere lì. Thor vide centinaia di soldati che miravano al cielo con frecce e lance, e temette che potessero fare del male a Micople a così poca distanza. La cosa non gli andava per niente. Sentiva la Spada della Dinastia che gli pulsava in mano e capì che si trattava di una battaglia che doveva portare avanti da solo.
Diresse Micople davanti alla città, fuori dalla grande cancellata di ferro.
Quando atterrò, si chinò in avanti e sussurrò all’orecchio di Micople: “Il cancello. Brucialo e io lo potrò strappare da lì.”
Micople gli rispose con un verso gracchiante, sbattendo le ali sulla difensiva. Era chiaro che voleva rimanere con Thor, combattere al suo fianco all’interno della città. Ma Thor non gliel’avrebbe permesso.
“Questa è la mia battaglia,” insistette. “E ho bisogno che tu porti Gwen in salvo.”
Micople sembrò capire. Improvvisamente si chinò in avanti e sputò una fiammata contro il cancello di ferro, fino a farlo fondere completamente.
Thor si chinò su Micople.
“Va’!” le sussurrò. “Porta Gwendolyn in salvo.”
Thor saltò giù e appena toccò terra sentì che la Spada della Dinastia gli vibrava in mano.
“Thor!” gridò Gwen.
Ma Thor stava già correndo verso i cancelli fusi. Udì Micople prendere il volo e capì che stava portando Gwen al sicuro.
Thor passò di corsa attraverso i cancelli aperti ed entrò nel cortile, proprio nel cuore della città, nel mezzo della massa di migliaia di uomini. La Spada della Dinastia vibrava contro il suo palmo come una cosa viva, guidandolo come se fosse più leggera dell’aria. Tutto quello che lui doveva fare era tenersi stretto.
Sentì che il braccio, il polso e tutto il corpo si muovevano, colpendo e attaccando in ogni direzione. La Spada fischiava in aria e tagliava gli uomini come fossero burro, uccidendone decine alla volta. Thor ruotava e colpiva da tutte le parti. All’inizio l’Impero cercò di contrattaccare, ma dopo che Thor ebbe tagliato scudi, armature e armi di ogni genere come se non fossero neanche lì, dopo che ebbe ucciso file e file di uomini, si resero conto di cosa stavano affrontando: un vortice magico e irrefrenabile di distruzione.
Nella città divampò il caos. Le migliaia di soldati dell’Impero si voltarono e cercarono di fuggire dalla città, di allontanarsi da Thor. Ma non c’era posto dove potessero andare. Condotto dalla Spada Thor era troppo veloce, come un fulmine che saettava per la città. I soldati, presi dal panico, correvano entro le mura, scontrandosi tra loro e correndo disordinatamente nel tentativo di uscire.