Морган Райс - La Terra del Fuoco стр 11.

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Micople ruotò e recuperò Thor mentre cadeva, facendolo atterrare sulla sua schiena mentre si avventava contro i draghi che erano rimasti. Rispose ai loro ruggiti con i suoi, mordendo più forte, volando più veloce e colpendo più a fondo di loro. Più la ferivano e meno lei sembrava curarsene. Era un’ondata di distruzione e così anche Thor. Quando ebbero finito Thor si rese conto che non restava neppure un drago in cielo ad affrontarli: erano tutti caduti dal cielo all’oceano, feriti gravemente o uccisi.

Thor si ritrovò a volare solo con Micople in aria, in cerchio sopra i draghi caduti di sotto. I due respiravano affannosamente e perdevano sangue. Thor sapeva che Micople stava esalando gli ultimi respiri, vedendo il sangue scenderle dalla bocca e sentendo che ogni respiro era mortalmente doloroso.

“No, amica mia,” le disse trattenendo le lacrime. “Non puoi morire.”

È giunta la mia ora, la udì rispondere. Almeno muoio con dignità.

“No.” insistette Thor. “Non devi morire!”

Micople continuava a respirare sangue e il battito delle sue ali si faceva più debole mentre iniziavano a scendere verso l’oceano.

Mi è rimasta un’ultima battaglia, disse Micople. E voglio che il mio momento finale sia un momento di valore.

Micople sollevò lo sguardo e Thor seguì il suo sguardo vedendo la flotta di Romolo che si stagliava all’orizzonte.

Annuì con serietà. Sapeva ciò che Micople voleva. Voleva accogliere la propria morte in un’ultima grandiosa battaglia.

Thor, gravemente ferito, con il fiatone, sentendo di non potercela fare, voleva comunque morire allo stesso modo. Si chiese quindi se le profezie di sua madre fossero vere. Gli aveva detto che lui stesso poteva cambiare il proprio destino. Si chiese se l’avesse fatto. Sarebbe morto ora?

“E allora andiamo, amica mia,” le disse.

Micople ruggì con forza e insieme si lanciarono verso il basso, mirando contro la flotta di Romolo.

Thor sentiva il vento e le nuvole tra i capelli e contro il volto. Lanciò anche lui un forte grido di battaglia. Micople ruggì per far sentire la propria rabbia e entrambi si lanciarono in basso. Micople aprì le fauci e lanciò una fiammata dopo l’altra contro le navi, una alla volta.

Presto un muro di fuoco si diffuse sul mare man mano che una nave dopo l’altra tutte venivano incendiate. Avevano davanti decine di migliaia di navi, ma Micople non si fermò, aprendo sempre più la bocca e lanciando un’ondata di fuoco dopo l’altra. Le fiamme si allungarono come fossero un’unica lunga parete e le grida degli uomini si levarono sempre più forti.

Le fiammate di Micople iniziarono ad indebolirsi e presto ogni soffio cominciò ad emanare ben poco fuoco. Thor sentiva che stava morendo sotto di lui. Volava sempre più in basso, troppo debole ormai per sputare fuoco. Ma non era ancora troppo debole per usare il suo corpo come arma. Quindi, invece di lanciare fiammate, si scagliò contro le navi colpendole con le sue dure scaglie, come un meteorite che cadeva dal cielo.

Thor si teneva stretto, aggrappato con tutta la sua forza mentre lei si tuffava contro le navi e spezzava gli scafi di legno. Distrusse una nave dopo l’altra, avanti e indietro, distruggendo la flotta. Thor si teneva stretto mentre pezzi di legno volavano dappertutto attorno a lui.

Alla fine Micople non poté più andare oltre. Si fermò al centro della flotta, galleggiando nell’acqua. Sebbene avesse distrutto moltissime navi, ancora in migliaia la circondavano. Thor galleggiava sulla sua schiena sentendola respirare debolmente.

Le navi rimaste si voltarono contro di loro. Presto il cielo divenne nero e Thor udì un suono sibilante. Sollevò lo sguardo e vide un arcobaleno di frecce proiettate verso di loro. Improvvisamente venne pervaso da un dolore orribile, colpito dalle frecce e senza un posto dove nascondersi. Anche Micople venne colpita ed entrambi iniziarono ad affondare sotto le onde: due grandiosi eroi che avevano combattuto la battaglia della loro vita. Avevano distrutto i draghi e buona parte della flotta dell’Impero. Avevano fatto ben più di quanto un normale esercito sarebbe riuscito a fare.

Ma ora non era rimasto nulla, potevano morire. Mentre Thor veniva colpito da una freccia dopo l’altra, affondando sempre più un basso, capì che non c’era null’altro da fare se non prepararsi a morire.

CAPITOLO SETTE

Alistair abbassò lo sguardo e si ritrovò in piedi su un ponte. Guardando oltre, verso il basso, vide l’oceano che si infrangeva contro gli scogli con assordante frastuono. Una forte folata di vento le fece perdere l’equilibrio e lei, sollevando lo sguardo, vide come in molti altri sogni nella sua vita un castello arroccato in cima a una scogliera, avvolto da un’aura dorata. Di fronte a lei c’era una figura solitaria, una sagoma, con le braccia protese in avanti come a volerla abbracciare, ma Alistair non poteva vedere il suo volto.

“Figlia mia,” disse la donna.

Cercò di fare un passo verso di lei, ma aveva le gambe bloccate. Abbassando lo sguardo vide che era legata al terreno. Per quanto provasse, era incapace di muoversi.

Allungò le mani verso sua madre e pianse disperatamente: “Madre, salvami!”

Improvvisamente Alistair sentì che il mondo le ruotava davanti velocemente, si sentì precipitare e si rese conto che il ponte stava collassando sotto i suoi piedi. Cadde con le catene che tintinnavano dietri di lei, verso l’oceano, insieme a un intero pezzo di ponte.

Alistair si sentiva completamente intorpidita mentre il suo corpo affondava nell’acqua gelida dell’oceano, ancora con le catene ai piedi. Andava sempre più a fondo mentre la luce sopra di lei si faceva progressivamente più lontana e debole.

Aprì gli occhi e si ritrovò seduta in una piccola cella di pietra, un luogo che non riconobbe. Di fronte a lei sedeva una figura solitaria che riconobbe appena: il padre di Erec. La guardava con occhi torvi.

“Hai ucciso mio figlio,” le disse. “Perché?”

“Non è vero!” protestò lei debolmente.

Lui si accigliò.

“Verrai condannata a morte,” aggiunse.

“Non ho assassinato Erec!” protestò Alistair. Si alzò e cercò di correre verso di lui, ma di nuovo si trovò legata alla parete.

Alle spalle del padre di Erec apparvero una decina di guardie con indosso un’armatura nera e bellissime visiere. Il suono dei loro speroni riempì la stanza. Si avvicinarono, la afferrarono e strattonarono staccandola dalla parete. Ma le sue caviglie erano ancora legate e le catene stringevano sempre di più facendole male.

“No!” gridò Alistair.

Alistair si svegliò, ricoperta di sudore freddo, e si guardò attorno cercando di capire dove si trovasse. Era disorientata: non riconosceva la piccola stanza, la cella buia nella quale sedeva, con le antiche pareti di pietra e le sbarre di metallo alle finestre. Si voltò, cercando di camminare, e udì un suono sferragliante: abbassando lo sguardo vide che aveva le caviglie legate al muro. Cercò di scuoterle per scioglierle ma non ne fu capace: il ferro freddo le premeva contro la pelle.

Alistair considerò la situazione e capì che si trovava in una piccola cella di detenzione nei sotterranei e che l’unica luce proveniva dalla finestrella scavata nella pietra e bloccata da delle sbarre di metallo. Si udivano lontane grida di esultazione e Alistair, curiosa, si diresse alla finestra per quanto le catene le permisero. Si chinò e guardò attraverso le sbarre, cercando di cogliere un barlume di luce e di capire dove si trovava.

Vide una grande folla riunita a capo della quale si trovava Bowyer, orgoglioso e trionfante.

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