NellâAntico testamento troviamo questi concetti e le parole che li descrivono nei testi della Torah (Pentateuco per i cristiani), scritti fra il VII e il IV secolo a.C. e, più precisamente, fra il V e il IV i libri Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, mentre il Deuteronomio, parola che dignifica Seconda Legge, è forse situabile nel VII secolo in una prima stesura perduta detta âlibro dellâAlleanzaâ, ne parla il successivo libro 2 Re (22, 3-20), e sicuramente è scritto nel V secolo il testo giunto a noi. Troppo lungo sarebbe parlare qui della formazione e della datazione dei libri veterotestamentari, ma volendo approfondire si può vedere il saggio divulgativo di Guido Pagliarino âIl Vento dell'Amoreâ, Tektime Editore, 2018.
La nefesh o anima non è dunque per la Bibbia qualcosa di separabile dal corpo e capace di sopravvivere senza di esso.
Un poâ come nella Grecia del IV secolo avanti Cristo è per Aristotele (384-322 a.C.) anche se câè chi, richiamandosi alla Metafisica aristotelica, libro XII, 3, 1070, ritiene che questo filosofo non escluda la sopravvivenza dello spirito intellettivo individuale, e lo vedremo un poâ meglio qualche rigo oltre. Intanto si consideri che per lo Stagirita lâEssere non è il Dio-Amore incarnato e umanissimo dei cristiani e nemmeno è lâebraico Jahvè, sollecito e paterno verso il suo popolo eletto anche se, come tutti i padri dellâantichità , può punire assai severamente; il Dio aristotelico pensa solo a ciò che è perfetto, cioè pensa solo sé stesso, dunque ignora il mondo anche se questo, dopotutto, muove perché câè lui; dunque, il Dio dâAristotele non considera gli uomini e men che mai li ama, mentre sono essi a doverlo amare proprio perché è perfetto, e difatti lâanima umana è attratta dallâEssere senza châegli si muova verso di essa. Però la stessa anima tende allâEssere solo durante la propria vita terrena perché, come sâè detto, non sopravvive al proprio corpo. Comâè noto, lâanima è contemplata in modo specifico da Aristotele nei tre libri del trattato intitolato appunto DellâAnima; il filosofo si chiede se corpo e anima siano tra loro separabili e se la seconda abbia la potenzialità di passare, reincarnandosi, da corpo a corpo come pensavano Platone e prima di lui i Pitagorici, oppure se, finendo il corpo dâesistere, cessi anche la sua anima. Per Aristotele quelle che chiama affezioni o attività dellâanima non possono esserci senza il relativo corpo, ad esempio lâira, che per la scienza del suo tempo deriva dal bollire del sangue, non può esserci senza il medesimo plasma, e il corpo devâessere fornito di strumenti di senso per poterli esercitare sulla realtà , cioè devâessere dotato di organi affinché possa esserci unâanima che intende la realtà : senza gli orecchi, ad esempio, lâanima non sente, e però per lo Stagirita noi sentiamo non perché abbiamo gli orecchi, ché se questi per ipotesi fossero staccati dal corpo non udiremmo, ad esempio il cadavere fresco ha ancora orecchi non decomposti ma non sente più, bensì perché attraverso gli orecchi è lâanima che ode (la moderna fisiologia sa bene che non è lâapparato uditivo in sé che sente e che esso è solo strumento, però la stessa fisiologia afferma che lâapparato uditivo è strumento del cervello e non dellâanima). Insomma, per Aristotele lâuomo vive in quanto ha corpo e anima, perché egli è il loro insieme, sinolo, e dunque, in opposizione a Platone, in DellâAnima Aristotele giunge a negare la sopravvivenza della stessa anima umana. Si diceva poco sopra che questo filosofo può anche dare lâimpressione dâavere una sia pur debole speranza di vita eterna. Parrebbe preferibile lâidea opposta, anche se questo non appare in DellâAnima ma nella Metafisica: Aristotele scrive nel XII libro della stessa: âSe, poi, rimanga qualcosa anche dopo, è problema che resta da esaminare. Per alcuni esseri nulla lo vieta: per esempio, per lâanima: non tutta lâanima, ma solo lâanima intellettiva; tutta sarebbe impossibileâ (Metafisica, libro XII, 3, 1070, traduzione di Giovanni Reale, Milano, 1978). Ebbene (cfr. Guido Pagliarino, à Uomo, Pozzuoli (Na), 2007): âSi deve però notare châegli aggiunge, il che non sempre è notato e citato da coloro che sostengono che Aristotele credesse allâimmortalità dellâanima: âComunque, è chiaro che non occorre affatto, per questo, ammettere lâesistenza delle Idee: lâuomo genera lâuomo e lâindividuo un altro individuoâ (ibid). Dunque, se lâanima intera non è separabile dal corpo, tuttavia la sua parte più alta potrebbe esserlo? Intanto, devâessere chiaro che, comunque, per lo Stagirita lâintelletto individuale, che nel caso sarebbe più pneumatico che psichico, perderebbe la personalità nel raggiungere il culmine in Dio, a differenza che per il reincarnazionista Platone; sappiamo che lo spirito per Platone riguardava il mondo superno delle idee: dunque, Aristotele ripiegherebbe, in proposito, sulle idee del proprio maestro: se credesse alla sopravvivenza; ma non mi pare evitabile lâimpressione châegli lâammetta solo per estremo scrupolo, infatti non manca di ricordare che lâuomo genera lâuomo e che per questo non câè bisogno delle idee e, con ciò, ho la sensazione châegli sottintenda, ancora una volta, che per lui solo la specie è eterna. Ricordiamoci poi che gli scritti aristotelici giunti a noi non costituiscono una trattazione sistematica destinata al pubblico; e due altre cose vanno tenute presenti, cioè che nei suoi primi anni Aristotele è ancora legato a Platone e che gli scritti che conosciamo saranno ordinati e pubblicati molto tempo dopo la sua morte, e non secondo lâordine temporale della loro stesura, onde non si può escludere, mi pare, che lâammissione inserita nella Metafisica che lâanima individuale potrebbe sopravvivere sia dellâepoca, per così dire, platonica, espressa cioè prima dei tre libri del De Anima in nessuno dei quali, invece, tale ammissione appare.â
Presso gli antichi ebrei tutti gli esseri viventi non solo hanno ma sono la vita, la nefesh circola nel sangue tanto degli umani che degli animali ed è per questo che il sangue non può essere mangiato: nel Deuteronomio è scritto: â[â¦] tuttavia astieniti dal mangiare il sangue, perché il sangue è la vitaâ â in lingua ebraica invece di vita si legge nefesh â âtu non devi mangiare la vita insieme con la carneâ (Dt 12, 23). Peraltro non sono caratteristici del solo Giudaismo
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Tale raffigurazione dello sheòl si ritrova pure nella parabola evangelica del ricco egoista e del povero Lazzaro (Lc 16, 19-31), Lazzaro peraltro che non devâessere confuso con lâomonimo amico di Gesù, morto e da lui risuscitato, che troviamo nel vangelo secondo Giovanni (Gv 11, 1-44).
Lâebreo e fariseo san Paolo la vede similmente agli altri farisei, ma con una variante; infatti, se è vero châegli pure, nella sua epistola di teologia antropologica 1 Corinzi, dice che lâuomo in terra è un corpo materiale-animale psichico â chiama corpo la persona completa perché anche per lui il corpo comprende la psiche e, quindi, coincide con lâintero individuo umano â e se è vero che crede come gli altri farisei alla vita eterna dei giusti, per lui nellâattimo dellâassunzione a Dio la persona salvata, cioè giustificata da Cristo, si trasforma da animale psichica in spirituale gloriosa. Peraltro, se è pur vero che per il Cristianesimo del I secolo e di buona parte del II un essere umano è su questa terra interamente materiale e, dunque, è il suo stesso corpo, sulla base dellâesperienza, a formarne ed esprimerne il pensiero â noi diciamo grazie al cervello, gli antichi dicevano grazie al cuore â, la stessa persona può ragionare a livello elevatissimo fin a poter pensare a Dio, diversamente dagli animali che hanno ricevuto solo un soffio vitale e, i più evoluti, una capacità mentale ridotta in funzione della mera sussistenza; il Creatore resta personalmente presente nellâessere umano, cioè ogni persona ha in sé anche lâindivisibile spirito divino o, in altri termini ancora, in ciascun uomo e in ciascuna donna ci sono corpo, anima e spirito; ma mentre il corpo e lâanima sono personali, lo spirito è lâanimo stesso di Dio, vivificante la persona e illuminante la sua mente, tantâè vero che per la teologia cristiana Gesù â il Figlio uomo e Dio â sâè incarnato per salvare la stirpe adamitica in corpo e anima, non anche in ispirito: ovvio, ché lâanimo dellâessere umano non aveva bisogno dâessere salvato visto che non è suo personale ma si tratta di Dio stesso.