Alessandro Manzoni - I PROMESSI SPOSI стр 94.

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- Cosa comandan questi signori? - disse ad alta voce.

- Prima di tutto, un buon fiasco di vino sincero, - disse Renzo: - e poi un boccone -. Così dicendo, si buttò a sedere sur una panca, verso la cima della tavola, e mandò un - ah! - sonoro, come se volesse dire: fa bene un po' di panca, dopo essere stato, tanto tempo, ritto e in faccende. Ma gli venne subito in mente quella panca e quella tavola, a cui era stato seduto l'ultima volta, con Lucia e con Agnese: e mise un sospiro. Scosse poi la testa, come per iscacciar quel pensiero: e vide venir l'oste col vino. Il compagno s'era messo a sedere in faccia a Renzo. Questo gli mescé subito da bere, dicendo: per bagnar le labbra -. E riempito l'altro bicchiere, lo tracannò in un sorso.

- Cosa mi darete da mangiare? - disse poi all'oste.

- Ho dello stufato: vi piace? - disse questo.

- Sì, bravo; dello stufato.

- Sarete servito, - disse l'oste a Renzo; e al garzone: - servite questo forestiero -. E s'avviò verso il cammino. - Ma... - riprese poi, tornando verso Renzo: - ma pane, non ce n'ho in questa giornata.

- Al pane, - disse Renzo, ad alta voce e ridendo, - ci ha pensato la provvidenza -. E tirato fuori il terzo e ultimo di que' pani raccolti sotto la croce di san Dionigi, l'alzò per aria, gridando: - ecco il pane della provvidenza!

All'esclamazione, molti si voltarono; e vedendo quel trofeo in aria, uno gridò: - viva il pane a buon mercato!

- A buon mercato? - disse Renzo: - gratis et amore.

- Meglio, meglio.

- Ma, - soggiunse subito Renzo, - non vorrei che lor signori pensassero a male. Non è ch'io l'abbia, come si suol dire, sgraffignato. L'ho trovato in terra; e se potessi trovare anche il padrone, son pronto a pagarglielo.

- Bravo! bravo! - gridarono, sghignazzando più forte, i compagnoni; a nessuno de' quali passò per la mente che quelle parole fossero dette davvero.

- Credono ch'io canzoni; ma l'è proprio così, - disse Renzo alla sua guida; e, girando in mano quel pane, soggiunse: - vedete come l'hanno accomodato; pare una schiacciata: ma ce n'era del prossimo! Se ci si trovavan di quelli che han l'ossa un po' tenere, saranno stati freschi -. E subito, divorati tre o quattro bocconi di quel pane, gli mandò dietro un secondo bicchier di vino; e soggiunse: - da sé non vuol andar giù questo pane. Non ho avuto mai la gola tanto secca. S'è fatto un gran gridare!

- Preparate un buon letto a questo bravo giovine, - disse la guida: - perché ha intenzione di dormir qui.

- Volete dormir qui? - domandò l'oste a Renzo, avvicinandosi alla tavola.

- Sicuro, - rispose Renzo: - un letto alla buona; basta che i lenzoli sian di bucato; perché son povero figliuolo, ma avvezzo alla pulizia.

- Oh, in quanto a questo! - disse l'oste: andò al banco, ch'era in un angolo della cucina; e ritornò, con un calamaio e un pezzetto di carta bianca in una mano, e una penna nell'altra.

- Cosa vuol dir questo? - esclamò Renzo, ingoiando un boccone dello stufato che il garzone gli aveva messo davanti, e sorridendo poi con maraviglia, soggiunse: - è il lenzolo di bucato, codesto?

L'oste, senza rispondere, posò sulla tavola il calamaio e la carta; poi appoggiò sulla tavola medesima il braccio sinistro e il gomito destro; e, con la penna in aria, e il viso alzato verso Renzo, gli disse: - fatemi il piacere di dirmi il vostro nome, cognome e patria.

- Cosa? - disse Renzo: - cosa c'entrano codeste storie col letto?

- Io fo il mio dovere, - disse l'oste, guardando in viso alla guida: - noi siamo obbligati a render conto di tutte le persone che vengono a alloggiar da noi: nome e cognome, e di che nazione sarà, a che negozio viene, se ha seco armi... quanto tempo ha di fermarsi in questa città... Son parole della grida.

Prima di rispondere, Renzo votò un altro bicchiere: era il terzo; e d'ora in poi ho paura che non li potremo più contare. Poi disse: - ah ah! avete la grida! E io fo conto d'esser dottor di legge; e allora so subito che caso si fa delle gride.

- Dico davvero, - disse l'oste, sempre guardando il muto compagno di Renzo; e, andato di nuovo al banco, ne levò dalla cassetta un gran foglio, un proprio esemplare della grida; e venne a spiegarlo davanti agli occhi di Renzo.

- Ah! ecco! - esclamò questo, alzando con una mano il bicchiere riempito di nuovo, e rivotandolo subito, e stendendo poi l'altra mano, con un dito teso, verso la grida: - ecco quel bel foglio di messale. Me ne rallegro moltissimo. La conosco quell'arme; so cosa vuol dire quella faccia d'ariano, con la corda al collo -. (In cima alle gride si metteva allora l'arme del governatore; e in quella di don Gonzalo Fernandez de Cordova, spiccava un re moro incatenato per la gola). - Vuol dire, quella faccia: comanda chi può, e ubbidisce chi vuole. Quando questa faccia avrà fatto andare in galera il signor don... basta, lo so io; come dice in un altro foglio di messale compagno a questo; quando avrà fatto in maniera che un giovine onesto possa sposare una giovine onesta che è contenta di sposarlo, allora le dirò il mio nome a questa faccia; le darò anche un bacio per di più. Posso aver delle buone ragioni per non dirlo, il mio nome. Oh bella! E se un furfantone, che avesse al suo comando una mano d'altri furfanti: perché se fosse solo... - e qui finì la frase con un gesto: - se un furfantone volesse saper dov'io sono, per farmi qualche brutto tiro, domando io se questa faccia si moverebbe per aiutarmi. Devo dire i fatti miei! Anche questa è nuova. Son venuto a Milano per confessarmi, supponiamo; ma voglio confessarmi da un padre cappuccino, per modo di dire, e non da un oste.

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