Marco Fogliani - Scherzi Dei Vicini стр 4.

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Ed invece lei non riuscì ad aspettare il mio ritorno. Se ne andò quasi allimprovviso, mi dissero, ed io non ebbi modo neanche di accompagnarla al cimitero.

Quando rividi sua sorella, con cui ormai ero entrato in buoni rapporti, dopo esserci abbracciati e scambiati le condoglianze mi disse, con lo stesso tono scherzoso che usava spesso Chiara e che era evidentemente una caratteristica di famiglia:

Ti è andata bene: dalle ultime analisi che aveva fatto sembra che non fosse incinta. Altrimenti avresti fatto meglio a salire sul tuo aereo e a non farti più vedere da queste parti. Però secondo me aggiunse, lei è morta comunque per causa tua: per il troppo amore. Troppo amore, tutto insieme, tra voi due. E non ce lha fatta.

Sembrava che scherzasse, ma forse diceva sul serio. E mi abbracciò di nuovo con affetto.

IL TAPPETINO CHE SAPEVA VOLARE

Eh, non son più i bei tempi di una volta! Nessuno purtroppo crede più alle favole, salvo forse i bambini più piccini. Né, vorrei aggiungere, la gente sa dare il giusto valore alle cose o sa riconoscere ciò che davvero merita rispetto.

Non dico di quando ero giovane io: a quei tempi vedevo, più volte al giorno, qualcuno inginocchiarsi con devozione ed animo pio; ed ogni volta mi sentivo sfiorare con le guance quasi per un bacio affettuoso e di rispetto. Allora sì, si sapevano distinguere la seta dalla lana e dal cotone, ed io nella mia casa ero doppiamente considerato il bene più prezioso, sia per la mia raffinatezza che per il mio sacro incarico. E naturalmente nessuno osava portare scarpe in mia presenza.

Ma senza andare così indietro, mi basta ripensare a nonna Ida per provare nostalgia e malinconia per i tempi andati. Ricordo con quale delicatezza mi strofinava e mi lavava tutte le settimane, sebbene non fosse poi così necessario visto che non riceveva mai nessuno. Una delicatezza dovuta non solo alle sue poche energie, ma al timore di rovinarmi. E comunque per lei era un rito altrettanto sacro, e forse anche più impegnativo, della preghiera di un maomettano. Ricordo con quanta cura mi rimettesse al posto che mi aveva prefissato ogni volta che, dopo una scappatella, non riprendevo lesatta posizione.

Il mio maggior cruccio è che da tanto tempo ormai, in presenza di adulti, mi sento costretto a restare immobile come un volgare scendiletto. Lultimo svolazzamento di un certo rilievo lo feci quando la signora Maria, la nipote di nonna Ida, mi scaricò vicino al bidone della spazzatura. Che affronto! Un vero tappetino persiano antico di seta! Solo perché si erano appena insediati come sposini in quella casa si arrogavano il diritto di decidere della mia sorte, senza rispettare le vecchie sane abitudini della nonna. Gli ho evitato una grossolana sciocchezza. Attraverso una finestra sono tornato di nascosto al mio posto, nel bagnetto di servizio: lei ha pensato che fosse la volontà del marito e mi ha lasciato lì. Ma da allora non mi ha più lavato. Non solo, ma mi ha trattato peggio del peggiore straccio della casa: ho conosciuto ombrelli bagnati, scarpe infangate, e altre simili sconcezze. Forse era meglio la spazzatura.

Certo ho avuto tanto tempo per scorrazzare liberamente per casa in loro assenza. Ma ho sempre evitato di farmi vedere, e appena sentivo la chiave nella toppa mi precipitavo al mio posto e vi rimanevo immobile come se nulla fosse successo. Quella proprio non era vita.

Un giorno ho voluto provare la loro reazione nel vedermi muovere. Mi venne lidea quando trovai da qualche parte della casa il cadavere di uno scarafaggio. Me lo nascosi sotto e alla sera, mentre stavano mangiando, mi trascinai lentamente verso la cucina. Che scena! Ricordo le urla spaventate di lei, ma ricordo anche i colpi di bastone e di piedi che ricevetti dal marito, il quale alla fine si dette anche delle arie per quel cadavere di cui non aveva alcun merito. Io ci presi delle gran botte, ma per fortuna sono di ottima fattura e non ne ebbi alcun danno.

In seguito acquistai di dignità e prestigio grazie a ciò che loro avevano di più caro e più bello: parlo del loro figlioletto Giorgio. Non quando era molto piccolo, perché lo tenevano nei suoi spazi ristretti sotto continua sorveglianza. Ma quando cominciò a camminare e ad avere più libertà, elaborai il mio piano di rivalsa.

Appena non cerano adulti in vista, mi trascinavo fino a lui. Era un gran simpaticone, mi guardava scodinzolare senza avere reazioni isteriche ed anzi con interesse, ogni volta toccandomi e prendendomi tra le dita come se non mi avesse mai visto prima. Potrei dire che giocavamo insieme. Quando tornava un adulto, lo rimproveravano di giocare con una cosa così sporca. Ma io insistevo. Tornavo da lui appena potevo, ed a volte era lui stesso a venire da me. Sapevo il rischio che correvo, di essere eliminato per motivi igienici; ma sapevo anche che si trattava di una famiglia che, seppur arida di fantasia e di buon gusto, non difettava di buon senso. Ed infatti alla fine decisero che avevo bisogno di una bella lavata.

Inizialmente ne fui molto contento, anche perché ciò significava essere accettato ufficialmente come compagno di giochi di Giorgio. Lo fui un po meno dopo aver provato un lavaggio con centrifuga in una di queste infernali macchine lavatrici moderne, con un detersivo tale che temetti per i miei colori. Non lo auguro a nessuno. Alla fine mi sentivo come se il mondo si fosse sdraiato sopra di me, e per giunta ero zuppo come una spugna ubriaca. Però devo dire che i miei colori erano tornati come non li ricordavo da tempo, forse addirittura come non erano mai stati. Chiunque mi avrebbe trovato bello.

Insieme ad unaltra montagna di biancheria e panni umidi fui ammassato in una cesta. Mi sentivo soffocare. Volevo scappare, a costo di buttare tutto sul pavimento, ma resistetti: sapevo infatti che di lì a poco si sarebbe svolto il rito settimanale della stenditura. Stavolta però, e questa era la novità, lavrei vissuto in prima persona.

Poco dopo, infatti, la signora Maria salì in terrazza con la cesta. Dapprima mi sentii alleggerire di quel peso soffocante che mi sovrastava; poi venne il mio turno, mi distese per la mia lunghezza e mi sdraiò su un filo. Come se non bastasse questo fastidio, mi strinse una molletta a ciascuna estremità. Un martirio.

Un pallido sole ed un vento sostenuto guarnivano quel pomeriggio autunnale. Unaltra signora stava infliggendo lo stesso supplizio ad altri capi colorati. Le due donne dovevano conoscersi bene, a giudicare dal tono della conversazione.

Appena se ne vanno, pensai, me la svigno anchio.

Nel frattempo il filo si abbassava sotto il peso di nuovi panni. Di uno molto pesante in particolare.

Oh, ma questa è davvero bellissima! Da dove viene?

È di mia nonna, rispose la signora Maria. Guarda che bei ricami, fatti a mano. Oggigiorno non ne fanno più di coperte così belle. Me lha regalata per il nostro fidanzamento.

Tienila bene da conto, che chissà quanto vale.

Più sentivo queste parole, più mi ingelosivo e mi agitavo. Neanche fosse stato il tesoro di Alì Babà. Continuavano a tessere le lodi di quella coperta che, per quanto fosse bella, non aveva neppure la metà dei miei anni e del mio valore.

Lasciamela toccare. Oh, come è delicata e fine anche al tatto.

Le ho fatto fare un lavaggio a parte, con lacqua tiepida e lammorbidente. Non volevo che si rovinasse.

Non ne potevo più di sentire tutte quelle sciocchezze. Cominciai a dibattermi per liberarmi da quelle odiose mollette. Lo stendino con tutto quanto vi era appeso venne preso dalla mia stessa agitazione. Alcuni calzini volarono per terra. Il vento, che entra in tutte le cose e ne penetra e comprende gli umori, cominciò ad assecondare i miei fremiti con una serie di raffiche inaspettate. Mentre le due signore si davano un gran da fare per raccogliere ciò che cadeva e limitare o prevenire altri danni, io mi liberai della prima molletta e comincia a percuotere ripetutamente, con la mia coda libera, la vicina coperta della nonna. Con due o tre colpi ben assestati le feci spostare il baricentro finché non cominciò a scivolare, lentamente ma inesorabilmente, nonostante gli sforzi della signora Maria. Strettamente avvinghiate, e con mia grande soddisfazione, si accasciarono entrambe sul pavimento della terrazza, luna non più immacolata, laltra dolorante e consapevole di dover rifare qualche bucato.

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