Juan Moisés De La Serna - La Spia

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La

Spia

Juan Moisés de la Serna

Traduzione di Alessandra Maffioli

Edizioni Tektime

2020

La Spia

Scritto da Juan Moisés de la Serna

Traduzione di Alessandra Maffioli

1ª edizione: giugno 2020

© Juan Moisés de la Serna, 2020

© Edizioni Tektime, 2020

Tutti i diritti riservati

Distribuito da Tektime

https://www.traduzionelibri.it

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Prologo

Il silenzio aveva già preso possesso di ciascuna delle stanze della casa, tanto che a volte era difficile per me andare lì, dove così tante cose erano accadute in famiglia.

In un primo momento accendevo la televisione o la radio, per sentire una voce ovunque fossi in casa, e questo mi confortava, ma poi, sembrava così assurdo, ingannando me stesso! come se fossi con qualcuno, quando non cera più nessuno.

Gioie, dolori e tristezza, sentite da ogni angolo di quella dimora, alla quale mia moglie si era sempre dedicata con tanta cura per mantenerla in ordine e pulita.

Ci sono momenti nella Vita

che dobbiamo afferrare

conservarli con grande affetto

e cercare di non dimenticare.

Ma non ci aspettiamo mai

che sia sempre così

se la memoria fallisce

i ricordi spariranno

Per quanto pretendiamo

cercare di ricordare

unaria cattiva se li è portati via

e non ce li renderà

Ricordi e ancora ricordi

sono già nelloblio

perché al mancare della memoria

se li è presi, sono spariti

AMORE

Dedicato ai miei genitori

Sommario

Prologo

CAPITOLO 1. La Memoria

CAPITOLO 2. LAddio

CAPITOLO 3. La comunità

CAPITOLO 4. La Legge del Sette

CAPITOLO 5. Il Sopravvissuto

CAPITOLO 6. La Decisione

CAPITOLO 7. LUltimo Ricordo

Il silenzio aveva già preso possesso di ciascuna delle stanze della casa, tanto che a volte era difficile per me entrare là, dove così tante cose erano accadute in famiglia.

In un primo momento accendevo la televisione o la radio, per sentire una voce ovunque fossi in casa, e questo mi confortava, ma poi, sembrava così assurdo, ingannavo me stesso, fingendo di essere in compagnia, quando non cera più nessuno.

Gioie, dolori e tristezza, ascoltate da ogni angolo di quella dimora, alla quale mia moglie si era sempre dedicata con tanta cura per mantenerla in ordine e pulita.

A poco a poco cominciai a chiudere le stanze, quelle che non usavo più, o quelle che al solo vederle mi richiamavano tanti ricordi vissuti, per la maggior parte gioiosi, che però stranamente mi causavano grande dolore, forse perché ne sentivo la mancanza, o forse perché avevo la sicurezza che non si sarebbero mai ripetuti, che tutto ciò che avevo vissuto lì, sarebbe rimasto solo nella mia memoria, fino a quando questa fosse durata.

Anche se in diverse occasioni avevo detto a mia moglie di spostarci altrove, sia per motivi di lavoro o in occasione della nostra pensione, lei aveva sempre detto di no, che il suo posto era dove dimoravano i suoi ricordi, lì aveva visto i suoi figli crescere, e conosceva tutto il vicinato, e questo la faceva sentire a suo agio.

Per qualche strana ragione, preferiva lasciare le cose come stavano come diceva lei, senza cambiare nulla in casa, né un solo quadro o una fotografia, e quando le chiedevo perché, mi diceva solo che andava bene così.

Aveva difficoltà a prendersi una vacanza; spesso quando già eravamo più anziani e i nostri figli erano andati via per lavoro ed eravamo rimasti noi due soli, si aspettava che qualcuno si presentasse a casa, e trovava qualche scusa per non allontanarsi più di due o tre giorni da casa.

Ma come avrebbero potuto venire se alcuni vivevano in altri continenti, e con quello che viveva più vicino, a malapena ci tenevamo in contatto dopo aver avuto quella discussione.

Qualcosa di cui ancora mi pento, non tanto perché non era assolutamente necessaria, ma per le conseguenze che ebbe sulla nostra relazione. Mia moglie mi guardò in modo diverso da quel momento in poi, so che avevo ragione, e che nostro figlio aveva torto, ma lei come madre non capiva perché non sostenessi nostro figlio quando ne aveva più bisogno.

La cosa più difficile per me è stata la sua perdita, quando penso a quel momento riesco a malapena a respirare, così tanti anni di convivenza e, nonostante non sia stata sempre tranquilla, ci fu sempre molto amore e rispetto tra di noi.

Negli ultimi anni abbiamo avuto vite quasi separate, se così si può dire, ci rispettavamo, ci amavamo, ma ciascuno cercava di svolgere le proprie attività senza contare sullaltro, esattamente il contrario di quando ci siamo incontrati, quando volevamo fare tutto insieme e condividere il tempo il più possibile.

Forse era labitudine ma ci vedevamo a malapena, più che altro a pranzo e cena, lei pianificava ogni pomeriggio unattività diversa, a volte uscire con le amiche, altre per visitare alcuni suoi parenti, altre, in quanto a me, che preferivo stare a casa tranquillamente, passavo il tempo con i miei appunti e i miei calcoli quasi senza rendermi conto che era uscita, ma. quando morì.

Tutto cambiò, adesso avevo più tempo per le mie cose, nessuno che potesse dirmi che ci perdevo troppo tempo, nessuno che mi ricordasse che dovevo fermarmi per riposare, nessuno che ma per me tutto ciò che facevo, a cui mi dedicavo per così tanto tempo e credevo così importante, per me, tutto questo aveva perso il suo significato.

La casa era diventata gradualmente un mausoleo, non so perché, ma lei col passare degli anni, aveva riempito le pareti con le foto dei suoi figli e dei suoi nipoti, quelle che di tanto in tanto ricevevamo in occasione di una nuova nascita o di qualche festa.

Ora riesco a malapena a riconoscere le persone in quelle fotografie, e non è solo per la vista, per questo porto gli occhiali da lettura e vedere le cose con quei dettagli senza i quali sarebbe impossibile, è che i volti non mi dicono più nulla.

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