«Io non ho mai prestato servizio per lImperatore. Tu pecchi mentendo, ragazzo!»
«Davvero io lho creduto»
«Sebbene io non te ne abbia parlato Poco male in fondo era a Palermo che intendevo giungere già tre anni or sono. Troverò la mia Zoe e la strapperò dalle mani di quel maledetto!»
Onesimo tossì due volte, segno che avesse tralasciato di comunicare una postilla importante.
«Temo, Maestro, che le cose non siano come le credete. Il Re non vi ha accordato nessuna grazia, ed in verità, anche se desiderasse farlo, la cosa non sarebbe così semplice.»
«Quale razza di sovrano vi governa?» chiese stizzito Alessio.
«Quello che vi è successo è accaduto nella gloriosa Messina e la legge cittadina, maggiore perfino allarbitrio del Re, vieta ai tribunali che non siano composti da messinesi di giudicare i misfatti avvenuti in città.»
«E dunque il Re non può niente?»
«Potrebbe, ma col clima di diffidenza che aleggia in giro, difficilmente contrarierà una città che finora gli è stata amica.»
«E non vale a nulla che a morire sia stato soltanto un avaro giudeo?»
«I giudei di Messina hanno pari diritti dei cristiani, e godono di tutela anche nelle altre città del Regno.»
«Che assurdità!» esclamò Alessio.
«Vi ci dovete abituare anche se so bene che a voi stranieri molte cose di questa terra appaiano come bizzarrie. Ad ogni modo, farete bene a considerarvi come in prestito per un servigio da rendere al Re, poiché in realtà appartenete ancora alle carceri messinesi.»
«Per quale assurdo piacere allora mi hai fatto tirare fuori? Non posseggo più il denaro e non posseggo più la libertà verrò comunque ucciso, ma dopo aver lasciato la mia firma sulle pareti del Palazzo del Re. Che guadagno posso averne in tutto questo?»
«Maestro, voi mi avete detto che la vostra arte vi importava più della stessa vita ed io ho creduto di farvi felice.»
«Tu sei solo un monachello che ha deviato la propria fede e si è abbandonato al materialismo delle arti umane.»
«Chiedo solo di vedervi allopera e poi farò penitenza.»
Alessio si resse quindi la testa come preso da una forte emicrania.
Capitolo 2
Ottobre 1160 (Anno Mundi 6669), Balermus16, Palazzo Reale
Raccogliere il testimone di Re Ruggero sarebbe stato un compito arduo per chiunque. A causa della straordinarietà delluomo che era stato e della grandezza raggiunta dal suo regno, sarebbe diventato il termine di paragone per tutti i re che si sarebbero avvicendati sul trono di Sicilia ed ovviamente, comè facile immaginare, dal confronto quasi tutti ne sarebbero usciti rimpiccioliti.
La nascita di Guglielmo non era stata accolta col consueto giubilo riservato agli eredi al trono. Essendo solo il quarto dei figli avuti da Ruggero, era impensabile che un giorno potesse diventare il sovrano del glorioso Regno costruito da suo padre. E forse, proprio per questo motivo, il destino gli aveva riservato le qualità strettamente necessarie alla sua natura, solo ciò che gli sarebbe servito per vivere lontano dalle responsabilità di governo. Guglielmo era un coraggioso combattente, una qualità consona ai cadetti, ma per quanto riguardava i pregi che rendono un sovrano un buon sovrano, era mancante in tutto. La morte dei suoi fratelli laveva costretto a ricoprire un ruolo in cui, per tutta la durata del suo regno, sarebbe stato additato come incapace. Guglielmo era abulico, avaro e pieno di superbia. Non aveva abbastanza forza di carattere e volontà per prendere decisioni, e a differenza di Ruggero, il quale firmava tutto ciò che usciva dal Regio Palazzo, rimandava le questioni o delegava i suoi potenti ministri. Passava gran parte del suo tempo nelle splendide regge fuori Palermo, attorniato da paradisiaci giardini e lusso dogni genere, e qui, tra eunuchi e donne favorite, era solito abbandonarsi a smodati banchetti e piaceri sessuali. Del suo ruolo assolveva quindi solo gli aspetti piacevoli, e tutto questo mentre uomini più furbi e capaci di lui imperavano a proprio arbitrio. Spiccava tra tutti i suoi funzionari Majone di Bari, Emiro degli Emiri ed Arconte degli Arconti, chiamato Amiratus17 da quelli che contavano e Ammiraglio dal popolo. Questi era la vera mente del governo. Benché le origini di Majone fossero modeste, si era distinto già ai giorni di Ruggero per la sua effettiva intelligenza amministrativa e militare. Un uomo che tuttavia ricalcava i vizi della corte forse ancor più del Re e che sapeva imporre il potere regio con straordinaria crudeltà e violenza. Lo conoscevano bene i baroni della Terraferma che ci si erano scontrati durante lultima ribellione. Sarebbe bastato un qualsiasi giudizio, perfino il più benevolo, per indicarlo come la ragione di ogni male e di ogni sventura del Regno. Perfino i saraceni, benché parteggiassero per il Re, avevano da ridire su Guglielmo e sopratutto sul suo primo ministro. E alla fine, per le proprie e altrui mancanze, sarebbe stato proprio il Re a pagare il prezzo più alto, e lavrebbe fatto con la reputazione riservata ai libri di storia, con quellepiteto che avrebbe accompagnato il suo nome per tutta leternità: Guglielmo di Sicilia, detto il Malo.
Appena giunti a Palermo, Alessio venne condotto al Palazzo del Re e qui venne accompagnato da quel Basilio logotheta fino ad una sala ubicata nella torre chiamata Joharia18, presso le stanze del tesoro. La sala in questione era di medie dimensioni e dalla forma allungata. Inoltre aveva il soffitto a crociera e su un lato di essa si apriva una loggia che dava sul panorama di Palermo.
«Quando arriverà il Re è consuetudine che vi prostriate col viso al pavimento.» istruì il dignitario.
E di fatto non passò molto che Guglielmo dAltavilla fece capolino nella sala insieme ad uno stuolo di uomini preziosamente vestiti, eunuchi e servi.
Guglielmo era un uomo alto, di aspetto pregevole, anche se in viso manifestava un minimo di trascuratezza dovuto probabilmente allanimo indolente e vizioso. Indossava una larga e lunga veste di foggia arabesca, a significare come nel suo perpetuo soggiorno a Palermo, nel suo eterno oziare tra i giardini e gli harem dei suoi palazzi, si fosse fatto influenzare dallimpronta culturale islamica della città.
«Basilio, è questo luomo di cui mi avevate parlato?» chiese Guglielmo una volta che lospite si rimise in piedi e ce lebbe davanti.
Il timbro della voce del Re lasciava trasparire tutta la mollezza del suo carattere.
«Come vi chiamate?» domandò quindi direttamente allo straniero, rivolgendosi in greco.
«Aléxios, Maestà.»
«Avete ucciso un uomo; perché un assassino compare oggi al mio cospetto?»
«In verità, Maestà, venni accusato ingiustamente»
«Ingiustamente? Dite quindi che la giustizia del Regno sia fallace?»
«Non la giustizia in sé, Maestà, ma nel mio caso un uomo testimoniò il falso.»
Guglielmo sbuffò, come spazientito dalle discolpe di Alessio.
«Basilio, raccogliete quanto prima le rimostranze di questuomo» comandò al logotheta, il quale rispose con un accenno di inchino.
«E tu, Mattia.» fece perciò ad uno degli eunuchi che lo accompagnava.
«Occupati di rendere presentabile il nostro ospite. Fallo radere, cambiare dabito e lavare»
E rivolgendosi a tutti:
«Che non mi sia più presentato qualcuno che non sia al meglio del suo aspetto Non sopporto i visi scuri e tristi!»
«Me ne occuperò io, Maestà.» rispose quel tale Mattia.
«Bene, dagli cibo e comodità e pure una donna se te la chiede. Questa corte tratta con rispetto gli uomini darte e di scienza!»