Primo pensiero di Emilio fu sempre la famiglia. Quando trovavasi assente da casa, per cause inerenti alla sua professione, vi era però presente in ispirito. Ed era principalmente nei passi difficili che tale pensiero lo tormentava. Quale reazione esercitasse nel suo animo lidea della morte, ne sia prova la calma impassibile del suo sguardo e la lucidità di mente che in quegli istanti possedeva in sommo grado. Non era lo spettro nero, no, che lo turbava, che gli ridonava forza e coraggio; ma bensì il pensare essere Egli il cardine della prosperità della famiglia, lavere i figli giovani, epperciò abbisognanti di un sostegno, di una guida onde incamminarsi nella vita. Egli era padre premuroso e previdente: mercè la sua instancabile attività, procurò alla famiglia una prosperosa agiatezza. Diede ai figli una buona educazione, ma più di tutto suscitò in loro lamore al lavoro.
Emilio Rey non era un uomo da godersi beatamente il meritato riposo colle mani alla cintola. Lui riposava lavorando. Terminata la stagione delle corse, appendeva ad un chiodo la corda e la piccozza, e correva pei campi ad invigilare gli ultimi lavori. Caduta la neve a ricoprir le campagne del suo candido velo, gli rimaneva la pialla per fargli parere meno lunghi i mesi invernali. Secondo Lui lalternarsi di varii lavori costituiva un riposo. Che ne dite, lettori, di questa saggia filosofia?
Emilio Rey abbracciò la professione che lo rese celebre per spontanea vocazione. Egli non apprese ad essere guida cacciando il camoscio o sotto laltrui scorta, ma di propria e volontaria iniziativa.
Fin da giovinotto, ci raccontava in questi anni, nel giungere su una prominenza, su una vetta qualunque, egli si sentiva invaso da un «bien aise» insolito e come purificato da ogni sozzura terrestre in quellambiente aereo e vivificante; e rimaneva lunghe ore estatico ad ammirare le bianche guglie delle montagne circostanti, sulle quali avrebbe bramato volare onde abbracciare un più vasto orizzonte.
Alletà di 22 anni, nel 1868, cominciò il suo tirocinio di guida. Poco notevoli furono le corse compite nei primi tempi della sua carriera, limitandosi a poche vette del suo paese e della valle, ascensioni e passaggi riputati al giorno doggi come volgari, ma in quei tempi ritenuti scabrosi. Denotava, fin dallora, di diventare uneccellente guida.
Nel 1875 accompagnava ling. Angelo Genolini in un tentativo al Dente del Gigante, ripetuto poi due anni dopo con lord Wentworth e lavv. De Filippi. A proposito di questa bizzarra vetta, insensibile alla assidua corte che le faceva un numeroso stuolo di ammiratori, a quanto mi riferiscono altre guide militanti allora, Emilio fiutava la possibilità di domarla, però non escludendo mezzi meccanici.
Fu solamente nel 1876 che il Rey cominciò a distinguersi fra i colleghi per quello che era. Venne impegnato per parecchio tempo da lord Wentworth, col quale salì le Grandes-Jorasses, il Castor, lo Strahlhorn, il Riffelhorn dal ghiacciaio di Gorner, più un tentativo sullAiguille Verte dai châlets di LOgnan. Se non era per lindisposizione di due guide, che si ammalarono quando già trovavansi vicino alla meta, quella sarebbe stata una vittoria del Rey. Egli tenne la testa della carovana per tutto il tempo e si distinse talmente che il Wentworth lo classificò tra gli arrampicatori di primordine.
Lanno successivo guidò lo stesso alpinista in una serie dimportanti imprese, fra cui ascensioni di picchi vergini, quali lAiguille Noire de Pétéret e la Punta Giordano dei Jumeaux. Per vie nuove salì il Gran Paradiso dal ghiacciaio della Tribolazione, e la Grìvola, con una variante, da Valsavaranche. Fu pure allAiguille de Rochefort (seconda ascensione), ai Jumeaux, ed al Cervino, da Zermatt al Breuil, col quale faceva la prima volta conoscenza.
Il valente alpinista inglese scrisse belle pagine sul libretto di Emilio, gentile preludio di altre non meno piene di ammirazione per le sue eccezionali qualità. Lord Wentworth lo dichiarò abilissimo e forte alpinista, possessore di un tatto speciale per orientarsi in mezzo ai frangenti i più difficili.
A proposito di questo intuito delle guide, che istintivamente sanno afferrar subito il lato debole della montagna, propendo che esso consista non già nellistinto naturale del montanaro, ma bensì nellacquisita esperienza e profonda osservazione. Allorchè nel 1886, assieme alla guida François Simond, Emilio accompagnava il sig. H. Dunod alla Meije, non la conoscevano nè gli uni nè gli altri, «mais, sans hésitation, il devina si facilement lissue des passages délicats, quils détinrent pendant longtemps le récord de la vitesse». Partiti dal Châtelleret, compivano lascensione con passaggio della «Brêche» e scendevano a La Grave in sole 16 ore!3
Nel 1878 Emilio veniva a stringere relazione col Monte Rosa guidando alla Punta Dufour il dott. Theodor Petersen, allora presidente del Club Alpino Tedesco-Austriaco.
Dal 18 agosto a metà settembre del 1879, il Rey fu ritenuto da J. Baumann, che assieme al sig. J. O. Maund gli crearono una aureola di notorietà. A partire da questo tempo, tutti i più festeggiati alpinisti andarono a gara per averlo compagno e guida nelle loro escursioni. In quellanno compiva, coi signori J. Baumann, G. Fitz Gerald e F. J. Cullinan, la prima ascensione dellAiguille di Talêfre, e della Dent dHérens per la cresta che dal Tiefenmattenjoch conduce alla sommità. Faceva pure le seconde ascensioni del Grand Dru, e del Cervino per la cresta di Zmutt, pochi giorni dopo il sig. Mummery colla guida Alexander Burgener. Per questa via, doveva pure accompagnare ultimamente a quel colosso S. A. R. il Duca degli Abruzzi, se il tempo non fosse venuto, quandegli era ancor libero, a «gâter le jeu».
Sempre con J. Baumann, nel 1880 tentò lAiguille du Plan dal ghiacciaio di Blaitière. Questa vetta fu poi soggiogata poco dopo, dalla parte opposta compiendovi la seconda ascensione. Nella gita suddetta il Rey aveva compagno Andreas Maurer, col quale era amicissimo e doveva in seguito misurarsi sui picchi più ardui delle Alpi.
Nellanno medesimo, con Georg Gruber esplorava il fianco meridionale del Monte Bianco, scoprendo il Colle du Fresnay (una sella nevosa che unisce lInnominata alla parete rocciosa sostenente limmane cupola del colosso alpino) e riuscendo sulla suprema vetta, direttamente dal ghiacciaio di Fresnay, variando nel percorso la strada tenuta nel 1877 da J. Eccles con Alphonse Payot. Questa ardita esplorazione gli fu di valido aiuto, come vedremo in seguito, nelle due ascensioni alla terribile Aiguille Bianche de Pétéret. Con lo stesso alpinista, nellanno successivo, perveniva sul Monte Bianco dal ghiacciaio della Brenva e pel Corridor (14 luglio) e scopriva un nuovo passaggio nel gruppo del Triolet, il Col du Piolet, così denominato perchè dovettero abbandonare una piccozza alla quale avevano assicurato una corda onde scendere sul versante di Chamonix. La prima di queste escursioni non fu mai più ripetuta, sia perchè è pericolosissima per la caduta di blocchi di ghiaccio, sia anche perchè la cresta per la quale salirono al Colle della Brenva, non è sempre praticabile per il vetrato ricoprente le roccie.
Nel 1881 con J. Baumann, il Rey fece un tentativo arditissimo sullEiger, per la cresta di Mitteleggi. Chi non conosce quella montagna, non può farsi unidea di questo «tour de force» eccezionale, per la quasi assoluta verticalità della parete. A proposito di questa azzardatissima impresa, lalpinista isolano scrisse le seguenti testuali parole sul libretto di Emilio per compensarlo, in certo qual modo, dellinsuccesso, non dovuto già allimperizia della guida, ma allimpraticabilità del sito. «Rey solo e senza essere legato, contornando un masso difficile e sporgente, proseguendo lungo la cresta, riuscì ad arrivare a un punto sino allora inesplorato.» Pochi giorni dopo però, lEiger veniva salito dalla stessa comitiva per la solita via. In quellanno, con Andreas Maurer, Emilio guidò il Baumann ed il Maund, alla prima ascensione del Grosser Lauteraarhorn dal versante occidentale; e più tardi guidò il sig. Moritz von Déchy allAiguille Verte.«Lascension de lAiguille Verte était accomplie aprés une sévère chûte de neige, sous des circostances très difficiles et défavorables. Javais eu loccasion de voir Rey au travail et depuis jai souvent pensé de faire avec lui un voyage lointain, dans une des chaînes de montagnes hors de lEurope».Così si esprime il signor Déchy in una gentilissima epistola direttami a proposito di Rey. E più oltre, pensando sulla misera fine dei suoi due compagni di viaggio, esclama: «Hélas! tous les deux sont maintenant morts, tous les deux tombés sur leur champ de gloire!»Che fatale sorte fu serbata a questi due valorosi militi dellalpinismo! Ha qualche cosa di fatidico, questo destino delle guide, che non vale però a diminuire il loro entusiasmo per la montagna e lintrepidezza con la quale affrontano i pericoli maggiori.