Dinanzi ad una tomba di recente aperta non è lecito criticare, chè unanime sorge il plauso a questa vita bruscamente spezzata.
Emilio Rey dorme placidamente nellumil campo dei morti del suo caro paese natìo e riposa dallaspre tenzoni della sua vita: il suo nome è stampato a caratteri doro nei fasti dellalpinismo; la sua fiera ed amabile figura resterà impressa perennemente in quanti lo conobbero.
Il mese di agosto è stato terribilmente nefasto per la stazione alpina di Courmayeur. In questo mese, che è il più propizio per le grandi ascensioni, perivano nel 1890, sugli alti ghiacci del Monte Bianco, due guide provette e di fama, assieme a un giovane e baldo alpinista che iniziava brillantemente la sua carriera. Quattro anni dopo, un alpinista temprato ai più ardui cimenti rimase vittima della subitanea ira di quel colosso, mentre veniva di calcare la cervice di uno dei suoi più temuti satelliti.
Le guide di Courmayeur, che da più di mezzo secolo riportano vittorie su quelleccelsa catena, erano sempre state risparmiate nelle infauste vicende che vi si svolsero; ma nellanno decorso venne pur troppo il loro turno. In men di una settimana ci rapiva un onesto padre di famiglia che lasciò due orfani in tenera età, ed un giovane che lasciò la sposa diletta nellinconsolabile solitudine; e quindi, affinchè il colpo si ribadisse più tremendo nei nostri cuori, ci toglieva una persona che non solo ci era cara, ma formava il nostro vanto, una delle nostre maggiori glorie.
Del Rey conosciamo purtroppo i particolari della sua tragica morte; degli altri due, Savoye Michele e Bron Lorenzo, non basteranno le supposizioni a colpirli di biasimo; lanimo ripugna a pensare che non abbiano compiuto i doveri loro incombenti: gli onori resi ai loro corpi giustifichino la loro condotta. Essi sono morti, ma non scomparsi dalla nostra mente; i martiri dellalpinismo ci sono sacri.
«Il est des catastrophes si complêtes, si foudroyantes quon refuse dy croire dans le premier moment.On se dit:Ce nest pas possible!et, malgré lévidence, on doute.»
Tale accento di dubbio, di sorpresa e di profondo dolore, si leggeva in volto a tutte le persone in Courmayeur, verso il mezzogiorno del 25 agosto 1895, quando giungeva dal Colle del Gigante la guida francese apportatrice del triste annunzio della morte di Emilio. In men che non si dice, a tutti fu nota la disgrazia. Fu come un vento gelido di morte scendente dalla montagna ad imprimere su tutti gli animi lo sconforto; come per incanto scomparve quella gaia serenità che si vede dipinta sui volti delle persone in un giorno di festa. Gli occhi simperlavano di lagrime furtive, e lo sguardo, nel suo mutismo, lanciava una maledizione a quella montagna che ci rapiva una persona amata da tutti.
Mi par ancora di vedere la moglie del Rey, alluscir di messa, apprendere, dal suo figlio maggiore, la tremenda sciagura che la colpiva. Povera donna! non volle credervi; ma interrogati, cogli occhi, gli astanti fu purtroppo conscia della verità di quanto le asserivano. Che terribile frecciata al cuore!
Lannunzio di tanta iattura lasciò la maggior parte di noi increduli. Ci pareva impossibile che un Rey fosse caduto e tanto più in un sito relativamente poco pericoloso. Ma a che pro illudersi?
Per quel giorno e per molti altri ancora, Emilio Rey divenne il tema di tutti i discorsi; però da tutte le bocche, non una parola di biasimo usciva al suo indirizzo, ma lodi ed ammirazioni.
Poichè Emilio Rey non è più, tramandiamo ai posteri la sua fiera e simpatica immagine, narriamo le gesta della sua vita gagliarda che mai venne meno al dovere del giusto e del prode. Che le generazioni avvenire sappiano chi fu e come fu Emilio Rey!
Il còmpito è arduo e spinoso, ma riconforta lanimo nel ripercorrere questo cammino pieno di vittorie, dove tra le foglie della quercia robusta, sono intrecciati i fiori gentili della cortesia ed i frutti di animo elevato e duna coscienza candida, immacolata.
Emilio Rey nacque nel 1846 in quel di La Saxe, frazione di Courmayeur, in Valle dAosta. Poco o nulla di notevole vè da dire sulla sua giovinezza, se non che ricevette uneducazione austera, che valse grandemente a formarne un uomo di carattere dai forti proponimenti e dai ponderati giudizii. Listruzione gli fu pur troppo limitata: abbozzata meschinamente nella scuoletta del villaggio, fu compiuta in famiglia fino oltrepassata la puerizia. Ma se la mente fu lasciata in balìa di sè stessa, il cuore venne ornato di tutte quelle doti che, nella vita, valgono più di qualunque ornamento estetico, e bastano da sè sole per farsi apprezzare e rispettare.
Della sua poca coltura ebbe poi Emilio sempre a dolersene per tutta la vita, adducendo da fine osservatore laforisma: «Linstruction sert grandement à former les caractères et à développer les forces latentes du cœur et de lesprit. Elle constitue, pour ainsi dire, la noblesse de louvrier.»
Però il continuo contatto e la vita quasi intima che trasse con persone di vasto sapere lo dirozzarono non solo della scorza che conservava di montanaro, ma gli suscitarono unardente brama di sviluppare le facoltà intellettive per quanto gli permettevano e letà matura e le occupazioni domestiche. In prova di quanto dico, sta il fatto che fin dal 1878, allorquando il suo nome si era già fatto una breccia nella fama, sentì la necessità di possedere, almeno superficialmente, lidioma delle guide bernesi, colle quali aveva frequenti relazioni ed era amico e emulo. Si ridusse perciò a passare quellinverno a Meiringen colla guida Zumberg, che da tempo conosceva. Più tardi, verso il 1887, teneva presso di sè, per tutta la stagione invernale, un certo Fischer, giovane dellOberland Bernese (perì nell88 accompagnando i signori Donkin e W. Fox al Dichtau, nel Caucaso), onde vieppiù impratichirsi della lingua tedesca.
Emilio Rey parlava e scriveva correttamente il francese, conosceva litaliano e il tedesco ed interpretava anche la lingua di Byron. Tuttavia, se la sua parola era calda, forbita, schiettamente entusiastica, e quasi direi spiritosa, il suo scritto era stentato, sebbene conciso; preferiva sempre la piccozza alla penna!
A lord Wentworth che lo richiese di ragguagli sulla loro prima ascensione dellAiguille Noire di Petéret, rispondeva questa frase tipica: «La description de cette course neuve ne me satisfait pas du tout, et je trouve que jai bien plus de peine et de soucis de décrire mes courses que de les faire!»
Il padre di Emilio, Giuliano Rey, era un uomo tipico per eccellenza. Il procedere franco della sua persona, lespressione leale, ma ferma del suo sguardo indagatore, la sua parola, il suo gesto, tutto contribuiva a cattivargli di primo acchito ossequio e venerazione. Fu per molti anni capo-guida e per più di due lustri giudice conciliatore. Fu nel disimpegno giudizioso delle funzioni che importavano questa carica, che si conquistò amore e rispetto nel suo paesello. Tale fu il genitore di Emilio Rey; non potevo tralasciare un accenno al padre parlando di tanto figlio.
Rey, giovinetto, apprese ed esercitò il mestiere di falegname, nel quale divenne abilissimo. Fu lui, che più tardi, costruì i rifugi alpini delle Aiguilles Grises, del Colle del Gigante, delle Grandes-Jorasses, del Triolet e del Gran Paradiso. Chi abbia pernottato in quelle capanne non potrà a meno che tributargli riconoscenza per la loro ammirabile costruzione e solidità.
Prima di intraprendere la narrazione della sua vita avventurosa, visitiamolo nelle pareti domestiche. È là che il cuore di Emilio rifulge di vivida luce e come figlio, e come sposo, e come padre. Professò sempre profonda venerazione per gli autori dei suoi giorni. Come mi riuscirono strazianti le lagrime della sua vecchia madre, quando rivide, per lultima volta, lidolo della sua vita.... cadavere!