Laura Merlin - Morrigan стр 18.

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Era una cosa con cui non si poteva scherzare.

Avevo capito in pochi giorni che esisteva un mondo pieno di esseri di cui avevo sentito parlare solo nei racconti e, allo stesso tempo, questi esseri magici convivevano con un popolo oscuro e potente.

Io ero stata catapultata lì per qualche preciso motivo.

Un allineamento particolare dei pianeti?

Una cospirazione divina?

Fatto sta che tutti in quel posto credevano in me.

E io non volevo deluderli.

Nei loro occhi vedevo speranza, giustizia e libertà.

Volevano essere liberi dalla crudeltà e dalla sottomissione di Mefisto e la Dea in persona mi aveva detto che solo io potevo aiutarli.

Cosa potevo fare a quel punto?

Dovevo prendere in mano le redini del mio destino.

Dovevo domare i miei poteri e la mia forza.

Dovevo combattere contro Siruco, Curoos e Mefisto in persona.

E ce l’avrei fatta! Ma ne ero poi così sicura?

‹‹Farò tesoro di quello che mi avete detto, Calien. Ora, se non ti dispiace mi piacerebbe fare una bella dormita. Senza incubi, spero››.

Avevo riposato veramente male la notte prima e il mio corpo cominciava a sentire tutta la stanchezza.

Arrivata a casa mi diressi pigramente nella mia stanza.

Avevo dimenticato tutto, vedevo solo il letto. Mi stesi sopra le coperte e mi addormentai ancora vestita.

***

Qualcuno stava correndo.

Era una foresta quella che vedevo o cosa?

Mi ricordava un posto in cui ero già stata.

A terra c’erano tante foglie morte che coprivano una specie di vialetto terroso. Sorvolai un ponte che se ne stava adagiato sopra un fiumiciattolo pieno di ciotoli.

Sono già stata qui!

Mi accorsi che stavo fluttuando, attirata da qualcosa.

Il respiro affannato di qualcuno risuonò nelle mie orecchie.

Abbassai lo sguardo, mentre tutto attorno a me scorreva velocemente. Un ragazzo stava correndo e io mi muovevo con lui. Ogni tanto si guardava alle spalle.

Evidentemente credeva di essere seguito.

Non riuscivo a vederlo bene in faccia ma mi ricordava qualcuno.

Si fermò di colpo e trattenne il fiato. Qualcosa per terra gli bloccava il passaggio. Sembrava un tronco coperto di foglie.

Fluttuai più in basso per vedere meglio.

Era un tronco strano, sembrava avere forma umana.

Il ragazzo si piegò sulle ginocchia, affianco al tronco.

Un singhiozzo strozzato bucò il silenzio.

Stava piangendo.

Perché?

Alzò una mano tremante e spostò un po’ di foglie.

Rimasi paralizzata.

Una parte di me voleva fuggire lontano, un’altra voleva restare a guardare la macabra scena.

Non era un tronco.

Vedevo dei vestiti. Una canotta che doveva essere stata bianca, un disegno indecifrabile ormai rovinato da un’ampia macchia rossa, un paio di pantaloncini corti neri e…un paio di Converse nere e rosa!

Ero io, era il mio corpo!

Mi avvicinai di più al ragazzo.

Un rumore di foglie e rami spezzati attirò la sua attenzione e alzò la testa di scatto.

Mia Dea, era Michael!

Il ragazzo che si era innamorato di me, quello per cui avevo paura di uscire di casa.

Trattenni il respiro.

Un senso di nausea si impossessò del mio corpo.

Come aveva fatto a trovarmi?

Perché si trovava lì nel bel mezzo della notte?

I miei pensieri furono interrotti.

Michael spalancò gli occhi e qualcosa gli si scaraventò addosso.

Urlai con lui e fui inghiottita dall’oscurità.

10

ARRIVI INASPETTATI


Il sogno che avevo fatto mi aveva lasciato un senso di smarrimento, terrore e un lieve pizzicore allo stomaco che non significava niente di buono.

Ero convinta che qualcosa fosse successo veramente a Michael, ma non avrei potuto fare nulla. Avrei voluto poter consultare i tarocchi, di loro potevo fidarmi senza avere il terrore che mi pugnalassero alle spalle.

Non sapevo a chi avrei potuto raccontare del sogno e delle sensazioni che mi erano rimaste.

Tutti stavano ancora dormendo, solo io ero seduta in cucina sulla sedia a dondolo.

Quella mattina faceva caldo, perciò mi liberai del vestito scomodo e scesi in slip e canottiera. A parte Sonia e Sara, non c’erano ragazzi in casa.

Gabriel, come al solito, spariva per andare chissà dove a fare chissà cosa. Ovviamente senza dire nulla a nessuno.

Stavo sorseggiando una tazza di tè verde, ovvero l’unica cosa decente che avevo trovato in cucina, mentre osservavo il sole che, a poco a poco, riprendeva il suo brillare che distingueva il giorno dalla notte

Qualcosa attirò la mia attenzione.

Qualcosa di famigliare a cui però non sapevo dare un nome.

Girai leggermente la testa e tesi l’orecchio.

Rimasi in silenzio ad ascoltare.

Qualcosa stava graffiando la porta.

Un rumore secco e regolare, come un segnale.

Il pensiero scivolò nella mia mente cercando di dare una forma, una dimensione e finalmente qualcosa trovò.

‹‹Ade!››. Quasi urlai per la gioia.

Saltai giù dalla sedia a dondolo su cui mi ero rannicchiata e quasi inciampai per la fretta. Un po’ di tè scivolò fuori dal bordo macchiando il legno fresco sotto i miei piedi.

Appoggiai la tazza al volo sul tavolo e mi precipitai verso il pomello della porta. Lo girai freneticamente. Le mani sudate per l’agitazione non facevano aderenza sull’ottone e non riuscivo ad aprire.

Finalmente un click, e la porta si aprì.

Un batuffolo di pelo chiaro mi saltò addosso. Mi chinai sulle ginocchia per coccolarlo e abbracciarlo e lui agitò freneticamente la coda bianca con una riga nera nel mezzo. Con il muso annusò ogni singola parte del mio viso, dandomi un leggero bacio-leccatina ogni tanto.

‹‹Ade! Mi hai trovato. Come hai fatto? Sei qui veramente!››.

Mi accorsi che stavo piangendo solo quando qualcosa di umido e caldo cadde sulle mie gambe.

Lui rispose con un bau e dei piccoli cigolii di contentezza.

‹‹Mia Dea, ma che succ… tesoro! Vieni qui bello!››. Sara, con addosso una maglia blu di due taglie più grande, si accucciò, tese una mano e schioccò le labbra per chiamare il cane.

Ade scodinzolò felice fino a lei, l’annusò e decise che le stava simpatica.

Nel frattempo, Sonia ci raggiunse scendendo le scale di corsa con la sottoveste di pizzo color bronzo che svolazzava a destra e a sinistra. I capelli rossi le sfuggivano da tutte le parti e aveva un’espressione strana.

Aveva qualcosa da nascondere?

La risposta alla mia domanda arrivò quasi subito.

Sì, qualcosa nascondeva.

Più che qualcosa… qualcuno!

Dietro di lei si materializzò Calien. Anche lui con i capelli stropicciati, l’aria di chi non ha mai dormito la notte e i suoi fedeli pantaloni color cachi.

Stavolta la camicia bianca non c’era.

Immaginavo dove poteva essere finita, ma non volevo pensarci.

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