Guido Pagliarino - Le Indagini Di Giovanni Marco Cittadino Romano стр 7.

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“Un furto del cadavere da parte del sinedrio?” aveva proposto Pietro a Giovanni.

Dopo averci riflettuto, avevano concluso che i capi d’Israele non avrebbero avuto alcun vantaggio dalla scomparsa del corpo, anzi al contrario essi non avrebbero voluto di certo accreditare voci di prodigi. I due avevano inoltre ragionato che sarebbe stato assai più comodo per i ladri, e del tutto naturale, portare via il corpo avvolto nel lenzuolo, non svolgerlo prima di trasportarlo; e per di più, avevano notato che il funebre tessuto di lino in cui era stato avvolto il cadavere giaceva non in disordine ma semplicemente afflosciato, come se la salma fosse svanita al suo interno. Avevano concluso che, a meno che terzi ignoti avessero organizzato una messa in scena per misteriosi motivi, il crocifisso doveva essere davvero risorto.

“C’è ancora oscurità sufficiente per non crederlo, caro Giovanni, ma c’è chiarore bastante per crederlo”, aveva detto Pietro, più a sé stesso però che al suo compagno.

Il giorno dopo gli undici erano partiti per la Galilea, non solo nella possibilità che il loro maestro vi apparisse davvero, ma per togliersi finalmente dai pericoli.

Quanto a Giuda Iscariota, era corsa voce in Gerusalemme che si fosse suicidato dopo aver restituito il prezzo del venduto e aver chiesto vanamente d’esser giudicato dal sinedrio come accusatore insincero d’un uomo retto. Marco, uditi questi fiati e avendo saputo da Giovanni che il traditore era giunto dall’ambiente dei rivoluzionari zeloti, aveva supposto ch’egli avesse denunciato il nazareno pensando che l’arresto avrebbe causato una sollevazione popolare la quale avrebbe posto il maestro sul trono d’Israele; e Giuda si sarebbe confortato nell’idea quando il rabbì stesso non solo gli aveva detto di conoscere la sua intenzione di denunciarlo ma, addirittura, l’aveva esortato a non indugiare; visto però l’esito opposto, il traditore si sarebbe sentito colpevole secondo le leggi di Mosè d’aver denunciato un innocente e, poiché il sinedrio non l’aveva voluto processare e condannare, si sarebbe giustiziato da solo: Marco aveva buon cuore, invece il giudizio morale di molti su Giuda sarebbe stato d’assoluta condanna.

Un giorno i fatti raccolti da Marco in quei giorni e altre notizie sul maestro nazareno ch’egli avrebbe avuto da Pietro sarebbero confluiti in un suo libricino, “Vangelo di Gesú Cristo Figlio di Dio”: sarebbe stato proprio Marco a inventare il genere letterario vangelo, cioè buona notizia; ma ciò sarebbe avvenuto molti anni dopo, al di là della nostra storia.

Due settimane dopo aver lasciato Gerusalemme, gli undici erano tornati e avevano bussato a casa di Marco e sua madre. Avevano raccontato loro che Gesú di Nazareth era veramente apparso loro in Galilea ordinando di tornare a Gerusalemme a predicare la buona notizia della sua risurrezione e della salvezza eterna venutane agli esseri umani, e di allargare in seguito questo vangelo a tutte le nazioni.

Marco era rimasto incredulo. Aveva suggerito a Pietro: “…e se aveste avuto pure e semplici allucinazioni?”.

“Crediamo proprio di no”, aveva risposto il capo dei discepoli, “noi tutti abbiamo ormai più che sufficiente luce per credere, anche se comprendo che, per te e per chiunque non abbia visto il maestro risuscitato, ci sia bastante buio per poter non credere. Sai? sento che sarà ovunque e sempre così: luce e ombra, fiducia e no nella nostra testimonianza su Gesú risorto s’accompagneranno sino alla fine del mondo”.

A differenza di Marco, Maria aveva glorificato il maestro, del tutto convinta che fosse risuscitato davvero, anche se non l’aveva visto. Gli apostoli, cioè gl’inviati come ormai gli undici si definivano, le avevano chiesto di pregare il figlio d’acconsentire ad averli ancora suoi ospiti. Il giovane, nonostante il personale scetticismo, per amore della sua mamma aveva accettato. Così la sua dimora era divenuta la sede del direttivo della neonata Chiesa.

Senza queste occasioni e frequentazioni, Marco non si sarebbe mai trovato nella situazione di poter indagare sull’assassinio del proprio padre.

(Indice)

Compiuti i vent’anni, il giovane s’era sposato con l’unica figlia di Pietro, la quattordicenne Ester. Il matrimonio era stato combinato dai relativi genitori, com’era allora usuale in Israele. Si trattava d’una brava giovane che, sottomessa al marito come di norma le spose giudee in quel tempo, si sarebbe parzialmente compensata, come tutte loro, esercitando ferrea autorità verso i figli minorenni e, a volte, tentando d’influire su di loro anche dopo, così come ancor cercava di fare Maria con Marco anche se con poco successo. Ester aveva accolto gl’insegnamenti religiosi del padre ed era credente in Gesú Cristo risorto. A differenza della suocera la sua cultura era quasi nulla ma ciò, nell’ambiente antico, era normalmente considerato per una donna un merito più che un difetto. Avrebbe dato figli a Marco e, a causa dei molti viaggi che il marito avrebbe intrapreso anni dopo, sarebbe rimasta sovente senza di lui, nell’ombra della loro casa in Gerusalemme. Fin d’ora possiamo farla uscire dalla nostra storia.

Cinque anni dopo il matrimonio, era il 793,10 Marco aveva finalmente compiuto la maggiore età e aveva preso a occuparsi direttamente dei propri affari. Rimasto scettico sulla risurrezione di Gesú, egli era ormai l’unico del gruppo a non aver chiesto il battesimo cristiano.

Intanto la Chiesa, all’inizio composta da circa centoventi persone, s’era allargata e oltrepassava ormai, nella sola Gerusalemme, il numero di tremila anime, nonostante l’ostilità del sinedrio, sfociata in persecuzione causando arresti e omicidi. Parte dei cristiani aveva dunque lasciato la città, iniziando l’evangelizzazione della Samaria e di altre regioni. Oltre a chiese minori, comunità importanti erano state fondate a Damasco e ad Antiochia di Siria, tutte tributarie di quella di Gerusalemme.

Il cugino di Marco, Barnaba, incontrando cristiani a Salamina la cui minima chiesa dipendeva da quella di Antiochia ed era composta da immigrati da quella città, era rimasto turbato dalla loro predicazione. Conoscendo bene le Sacre scritture, s’era persuaso che Gesú fosse proprio il Messia annunciato dai Profeti e s’era convertito. Non avendo figli cui lasciare i propri beni, aveva venduto il suo podere, s’era trasferito con la moglie a Gerusalemme e aveva donato alla Chiesa l’incasso; aveva quindi iniziato a collaborare con Pietro. Conoscendo il greco, lingua internazionale dell’impero, e avendo cultura biblica, era stato presto impiegato come inviato in diverse regioni.

Intanto sul fronte opposto, un uomo nativo di Tarso di nome Saulo, che con Barnaba e per un certo tempo con Marco avrebbe avuto parte importante nella nostra storia, aveva preso a perseguitare cristiani per conto del sinedrio conseguendo rilevanti successi.

Saulo era cittadino romano per nascita, sotto il nome di Paolo, e fariseo seguace del grande maestro Gamaliele di Gerusalemme; avendo fine intelligenza, anche grazie a personali studi aveva raggiunto una cultura profonda. Godeva d’una gran vigoria fisica e d’una forza psichica che debordava in capacità ipnotica, la sua persona esprimeva un grande fascino nonostante fosse afflitto dalla bruttezza: a differenza di Barnaba e di Marco, persone alte, magre, dai fini lineamenti e con molti capelli e una folta barba, Saulo era calvo sin da ragazzo, grasso e piccolo di statura, aveva foltissime sopracciglia e rada peluria sul viso, dal quale esibiva un naso gigantesco. Ormai non gl’importava delle sue miserie fisiche, ma da giovane non era stato così: esse l’avevano reso oggetto di frizzi e di nomignoli rendendo il suo carattere facile all’ira; tuttavia, grazie a un lungo esercizio s’era vinto e ormai da molto tempo, incontrando un ostacolo o, peggio, un atteggiamento ostile, invece di collera vana sapeva esprimere energica ma calma indignazione costruttiva. Rimasto vedovo prematuramente, aveva deciso di dedicare la vita a Dio e, ritenendo di servirlo, nel 787 11 s’era messo agli ordini del sinedrio divenendo cacciatore di cristiani; ma tale servizio sarebbe durato solo per un triennio, poi Saulo sarebbe entrato egli stesso nel novero dei perseguitati. Nel 790,12 mentre per incarico dei suoi superiori si stava recando a piedi a Damasco, con guardie, per individuare e catturare seguaci di Cristo ed era in testa ai suoi, essendo ormai prossimo alla città era crollato di colpo a terra13 come colpito da un’invisibile folgore. Aveva visto, lui solo, il Risorto immerso in uno sfolgorio di luce abbacinante, mentre i suoi uomini avevano soltanto udito le parole che Saulo andava pronunciando nel contempo: prima egli aveva detto con voce possente, gli occhi serrati, come se stesse ripetendo involontariamente quanto stava udendo: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”; aveva quindi chiesto in un sussurro, aprendo gli occhi: “Chi sei tu, Signore?”; s’era risposto, di nuovo con voce potente e a occhi chiusi: “Io sono colui che tu perseguiti. Ora alzati e va’ a Damasco dove ti sarà detto quanto dovrai fare”. S’era ritrovato cieco, gli occhi insanguinati e dolenti; poi il sangue s’era trasformato in crosta che aveva lenito il dolore. Condotto per mano in città dai suoi uomini, che avevano pensato a un male improvviso che l’avesse accecato e inebetito, Saulo era stato alloggiato nella casa d’un ebreo di nome Giuda. Per tre giorni non aveva né mangiato né bevuto nonostante le insistenti premure del padrone di casa, che lo sapeva ragguardevole emissario di Gerusalemme. La terza notte aveva sognato, o udito nel dormiveglia, la voce di Gesú: gli annunciava ch’egli sarebbe stato visitato dal cristiano Anania, il quale gli avrebbe imposto le mani facendogli recuperare la vista. Il mattino dopo gli s’era veramente presentato un uomo di nome Anania che gli aveva detto: “Mentre dormivo e sognavo d’essere in un bellissimo giardino, ho udito pronunciare: ‘Anania’. Io, sentendo con certezza che la voce era quella del Risorto, ho sùbito risposto ‘Eccomi, Signore!’. Egli mi ha ordinato: ‘Vai sulla strada chiamata Diritta, entra in casa d’un certo Giuda e chiedi di Saulo di Tarso, che in questo medesimo istante sta sentendo il tuo nome nella propria mente: è cieco, ma tu gl’imporrai le mani ed egli vedrà’. ‘Signore’, ho ribattuto con apprensione, ‘so ch’egli ha fatto tutto il male che poteva a tuoi seguaci in Gerusalemme! Inoltre ci è giunta voce che sia giunto qui a Damasco per arrestare proprio noi’. La voce del Signore mi ha tranquillizzato: ‘Va’, egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome tanto ai figli d’Israele quanto agli altri popoli e ai loro capi, e quando sarà battezzato io gli mostrerò quant’avrà da soffrire per il mio nome’”. Anania aveva imposto le mani a Saulo cui erano cascate dagli occhi le scaglie di sangue raggrumato e subito egli aveva recuperato la vista: avrebbe inteso essersi trattato d’un segno divino del buio spirituale in cui era vissuto perseguitando i seguaci di Gesú e della luce nella quale stava entrando. Giorni dopo, a casa d’Anania, Saulo era stato battezzato. S’era quindi recato nel deserto dell’Arabia per un ritiro spirituale. Per giorni aveva riflettuto su cosa fare e aveva pregato Dio per ottenere illuminazione, ma senza trovare risposta: Tornare a Damasco e annunciarvi Cristo con Anania e gli altri battezzati? Andare per il mondo predicando il Risorto a chiunque avesse incontrato? Oppure recarsi in Giudea, a Gerusalemme, dov’erano nascosti i capi della Chiesa, cercarli, trovarli e presentarsi loro da pentito, offrendosi di collaborare? ma come avrebbero reagito, non l’avrebbero forse preso per una spia del sinedrio? Una notte, avendo ormai deciso di ripartire il mattino seguente, aveva fatto un sogno rivelatore. Gli era parso di salire in alto fin al terzo cielo e d’arrivare in contatto col Trascendente, quasi viso a viso con Dio: non sarebbe mai riuscito a esprimere chiaramente agli altri l’esperienza, vivissima sebbene vissuta nel sonno, che gli aveva dato una gioia incomparabile. Tuttavia, dopo l’iniziale beatitudine, era apparso al dormiente un viscido e bavoso demonio che l’aveva schiaffeggiato con violenza su entrambe le guance. Quel diavolo era sparito subito dopo, ma non il dolore: Saulo aveva sofferto di lancinanti trafitture nella carne, come se vi fossero state conficcate lunghe spine; e a questo punto aveva udito la voce di Gesú: “Ecco le innumerevoli difficoltà che incontrerai nel tuo apostolato, abbandoni di amici, equivoci, persecuzioni, carceri e malattie, e infine la morte violenta a Roma per decapitazione”.

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