Nella seconda mattinata del 14 giugno Annibale Moretti, giunto a casa, aveva avuto lâinfausta idea di rivelare ai famigliari la verità sul disco; e la sera stessa il suo unico figlio, un diciannovenne prossimo a partire militare di leva, aveva avuto la pessima iniziativa, dopo cena, di parlarne alla combriccola dei propri amici a 'Il Rebecchino', il trani del paese dove si riunivano, fra gli altri, i braccianti di suo padre, un tempo vigorosi comunisti odiatori del padrone, poi assoggettati di forza al regime, infine sedotti da Mussolini, come tantissimi altri proletari rurali e operai, con certi vantaggi loro concessi come i circoli d'intrattenimento e le gite dell'Istituto Nazionale del Dopolavoro, o come gli asili e le colonie marine e montane per i figlioletti. I braccianti del Moretti, a causa della loro linguaccia lunga e dellâincontenibile invidia per il padrone, la quale nonostante l'ormai consolidata sudditanza al fascismo restava desiderosa d'un po' di sfogo, avevano raccontato la mattina seguente, dappertutto e alle guardie civiche per prime, che il loro padrone aveva detto bugie grosse come una casa, perché non aveva visto un sasso piatto, ma un aeroplano nemico a forma di disco châera precipitato vicino a un suo campo. Insomma: patatrà c! Annibale Moretti era stato prelevato a casa sua e internato in manicomio: sâera fatto in modo che tutti sapessero che il poveretto era pazzo ed era per il suo bene che lâAutorità sâattivava per curarlo, ché confondere pietre con aerei poteva solo creare complicazioni internazionali e, insomma, era un povero matto ma a lasciarlo libero il pericolo câera, per lui e per tutti. Quanto al figlio, anche se sâera ben guardato, come dâaltronde sua madre, dal commentare con chicchessia il ricovero del padre, aveva ricevuto giorni dopo, un po' prima del tempo, la cartolina precetto ed era finito in un battaglione del Genio guastatori da cui era uscito un mese dopo in briciole entro una bara di metallo sigillata, a causa di malaugurato incidente dâaddestramento dovuto all'imperizia della recluta Moretti nell'uso dell'esplosivo: forse era la verità , ma il sospetto d'una disgrazia procurata da qualche sgherro di regime infiltrato nel reparto aveva invaso il cuore della madre; ella se n'era tuttavia rimasta zitta senza presentare denunce, né la Procura Militare aveva autonomamente ritenuto di dover indagare. La signora Moretti era stata lasciata in pace e, anzi, aveva ricevuto sollecitamente una pensioncina: ella non aveva avuto noie non solo perché aveva taciuto, ma non secondariamente perché, in quel tempo, le donne erano ancora considerate assai poco, e nulla del tutto se appartenenti al popolo ignorante, per cui, comunque, alle affermazioni d'una rurale semianalfabeta si sarebbe dato lo stesso credito che si sarebbe potuto riservare al chiocciare d'una gallina.
Del povero marito âfascista della prima oraâ sâerano perse le tracce per un pezzo, essendo stato trasferito di manicomio in manicomio, finché un giorno, nel gennaio 1934, era arrivata una cartolina a casa: non una lettera, così che glâimpiegati postali del paese potessero leggere e, sperabilmente, divulgare, e ciò sâera puntualmente verificato. Con tale cartolina sâavvisava la signora Moretti che il misero consorte era morto in Sardegna in ospedale a causa di polmonite e si chiedeva se si potesse seppellirlo senzâaltro nel camposanto locale oppure se i famigliari volessero andare colà per trasportarselo al cimitero della loro terra. La moglie avrebbe dovuto rispondere entro cinque giorni dalla data di spedizione se avesse voluto trasferire la salma del consorte, in caso contrario il silenzio sarebbe valso come assenso allâinumazione nell'isola. Già erano passati i cinque giorni, quasi di certo il Moretti era stato seppellito; la vedova aveva dunque rinunciato ad agire, anche considerando i costi e le difficoltà , per una donna sola e ignorante, di recarsi in Sardegna, provvedere alla riesumazione e far spedire il feretro fino al paese lombardo.
Mussolini, avendo dormito beatamente per tutta la notte, entrato verso le 7 del mattino del 15 giugno 1933 nella sala da bagno per i normali bisogni del risveglio, orinando aveva preso una delle sue decisioni lampo:
Non appena in ufficio, erano le 8 e 10 minuti, aveva convocato, entro unâora! il ministro dellâEducazione Nazionale Francesco Ercole e quello della Guerra Pietro Gazzera23: l'argomento che avrebbe presentato interessava pure i ministeri degli Esteri24 e degli Interni, ma ne era a capo Mussolini stesso, ad interim; aveva però fatto venire il sottosegretario agl'Interni Guido Buffarini Guidi in quanto, di fatto, questi aveva la direzione di quel ministero.
Esattamente quarantanove minuti dopo, i due ministri e il sottosegretario, attraverso la porta a due ante dello studio-salone preventivamente spalancata da un valletto, prospiciente lo scrittoio e la scranna del Capo del Governo che si trovavano quasi al fondo nella parte opposta del locale, erano entrati affiancati e sâerano diretti a passo di corsa verso il Duce, sempre fianco a fianco, secondo recentissime disposizioni di Mussolini in persona; intanto il valletto richiudeva dietro di loro l'uscio: ufficialmente lâordine di correre aveva lo scopo di ridurre il tempo dedicato alle udienze, lasciandone maggiormente al Gran Capo per altre incombenze; soprattutto però, a Mussolini piaceva moltissimo vedere quei signori in camicia e giubba nera obbedirgli ridicolmente: dal giugno 1935 avrebbe addirittura fatto saltare ginnicamente tutti i suoi gerarchi nei cerchi di fuoco durante il cosiddetto âsabato fascistaâ o, più precisamente, durante il pomeriggio dello stesso dì, dedicato alla ginnastica e all'educazione para militare, dovere che avrebbe riguardato nondimeno, ahiloro! tutti gl'italiani. Già il fatto di percorrere camminando la lunga sala, col Duce impettito al fondo dietro alla scrivania presidenziale, braccia conserte, mascellone impennato e occhi dritti agli occhi del convocato di turno, o transitanti da uno allâaltro dei convenuti quandâerano più di uno come nel nostro caso, avrebbe messo in notevole soggezione, ma il fare il salone a passo di corsa domava del tutto e rendeva docilissimi quando ci si veniva a trovare innanzi al Duce. Ricevuti gli ordini poi, i convocati dovevano salutare romanamente il loro Capo supremo, fare dietro-front e, sempre affiancati e a passo di corsa, hop, hop, uscire dalla porta, nel frattempo riaperta dallâusciere cui Mussolini aveva dato preavviso premendo un pulsante sulla scrivania non appena gli stessi gli avevano dato le spalle. Egli non desiderava, in fondo, avere collaboratori, a parte il fido Bocchini, ma semplicemente marionette.
Con poche parole aveva dato ordine ai due ministri e al sottosegretario di costituire presso lâUniversità La Sapienza di Roma, âa tempo di record!â un gruppo segreto di scienziati e tecnici, âdenominato, convenzionalmenteâ, aveva soggiunto, âGabinetto RS/33, acronimo di Ricerche Speciali anno 1933â: Mussolini, ex maestro elementare, si piccava dâessere un grande esperto della lingua italiana e non era affatto nuovo nel coniare sigle o espressioni; anche il misteriosissimo acronimo OVRA era suo.
Il gran Capo non aveva convocato cogli altri un quarto ministro, anchâegli basilare per il costituendo Gabinetto, quello dellâAeronautica generale Italo Balbo, e lâaveva invitato, da solo, per le ore 16; sapeva bene infatti che, essendo quellâuomo un fascista della primissima ora e uno dei quattro capi in testa della Marcia su Roma, i cosiddetti Quadrunviri della Rivoluzione, e in primo luogo essendo assolutamente convinto del proprio valore, mai e poi mai Balbo si sarebbe presentato umilmente e addirittura a passo di corsa, sempre pronto comâera, anzi, a criticare in faccia il Duce, magari aggiungendo qualche insolenza. Dâaltronde egli godeva dâenorme favore nel Paese gareggiando in popolarità con lo stesso Mussolini. Era uno dei pochissimi nell'agone politico a dargli del tu, che il Duce si riceveva ma con fastidio: provava grandâinvidia nei confronti di Balbo, anche se la mascherava e non aveva fatto nulla al momento per danneggiarlo, ma riservandosi dâallontanarlo alla prima buona occasione: ci sarebbe riuscito alla fine dello stesso 1933 promovendolo al più alto dei gradi aeronautici, maresciallo dellâaria, dopo avergli indirizzato alti elogi e, poco dopo, il 26 novembre, facendolo nominare dal re governatore della cosiddetta Quarta Sponda, la colonia italiana di Libia, in tal modo, di fatto, esiliandolo.