Ora dovevo solamente attendere il suo ritorno allauto. Dovevo essere preciso e veloce. Lattesi nella parte laterale del mezzo, lei non mi doveva vedere. Mi accovacciai quasi a terra lato passeggero e approfittando dellaltezza del mezzo controllai quandera salita. Appena avviata la macchina, percorse solamente pochi centimetri dopo aver innescato la retromarcia; manovra che interruppe subito. Appena era entrata in macchina, per far uscire il caldo accumulato durante la sua assenza, aveva fatto scendere i finestrini dellauto, dai quali si poteva udire una musica giovanile e allegra, dovuta probabilmente da qualche file dei figli lasciato nellauto o semplicemente da una stazione radio decente.
Porca miseria, ma cosha questauto che non va, e sta spia?!
Le sue parole uscivano deboli accompagnate dalla melodia che le faceva da sottofondo nellabitacolo.
Pronto Amore, mi sa che ho un problema con la macchina.
Pausa.
Si sono con la mia, mi si è accesa una spia di colore giallo, ma ha una forma strana, non te la so spiegare, è tipo
Pausa.
Si dai sembrano due parentesi collegate con una riga zigrinata sotto, e ha un punto esclamativo allinterno, se non sbaglio, ti viene in mente qualche cosa?
Pausa.
Cosa? La pressione delle gomme?
E proprio mentre proferiva quelle parole, distinto aprì la porta e scese dal veicolo andando a controllare le gomme.
Amore, ma qui le gomme sono appostono no, aspetta, forse quella davanti è bassa, mi sa che hai ragione.
Pausa.
Dai ti aspetto, sono qui al centro commerciale a Casalecchio, sono al piano terra, vicino allentrata, dai dove parcheggio io di solito, ma come
Queste furono le ultime parole che riuscii a udire della signora, la quale era talmente presa dal problema dellauto che non si era accorta che mi ero appropriato del suo portafoglio che fuoriusciva dalla borsa lasciata aperta sopra al seggiolino lato passeggero. Il piano aveva funzionato alla perfezione. Con il pneumatico anteriore bucato, dopo aver preso istruzioni da qualcuno al telefono, la signora era scesa a verificare il problema ed io in quel frangente, ero riuscito ad affacciarmi dal finestrino anteriore e dopo aver verificato la posizione della borsa, mi ero appropriato di ciò che mi interessava.
E ora che dovevo fare? Avevo tra le mani ciò che minteressava, ma non sapevo come comportarmi. Le scelte erano due: verificare subito il contenuto e sbarazzarmi delle prove, oppure trovare un luogo appartato ed esaminarlo con calma? Optai per la seconda, salii sul primo autobus che passava e mi feci portare in centro. Mi misi a camminare, sempre comunque con il cuore in gola, con la paura di essere fermato e scoperto. Dovevo sbrigarmi a fare ciò che dovevo fare. Dopo essere sceso, imboccai la prima stradina poco trafficata, e aspettando il momento propizio, mi misi a setacciare il contenuto del portafoglio. La giornata direi che lavevo ampiamente guadagnata. I miei bei 370 euro li avevo racimolati. Intascato il malloppo, non feci altro che lasciar scivolare il portafoglio a terra dietro un muretto, e mi rimisi su via Indipendenza confondendomi con le centinaia di persone che vivevano la loro vita. Non riuscivo a spiegarmelo ma mi sentivo diverso. Forse oggi avevo cominciato a vivere o forse ero tornato bambino, al tempo in cui mintrufolavo allinterno dei supermercati e dei tabaccai uscendone con delle caramelle. Oggi come allora avevo il cuore che pulsava come una locomotiva lanciata a tutta velocità e i dogmi impostimi dai miei genitori si scioglievano come ghiaccio al sole. Tutte quelle regole e limiti fissati dal lavoro e da una vita regolare e onesta non facevano per me. Erano sempre stati un freno che non riuscivo a togliere, un passo che non riuscivo a compiere, ma ora ero libero. Non avevo un lavoro e uno stipendio fisso, ma certo non sottostavo al volere di nessuno e questo per me era gratificante. La mia vera vita cominciava ora, quella di prima era solamente un sogno dal quale potevo conservare ricordi preziosi per vivere al meglio questa nuova esistenza. Ora come non mai esistevo io, solo ed esclusivamente io e non avrei dovuto rendere conto a nessuno se non a me stesso. Ero galvanizzato. Avevo limpulso di sferrare un pugno in faccia a chiunque mi guardasse male, ma forse era meglio non esagerare.
Il primo passo sarebbe stato quello di iscrivermi in palestra, ma questo lavrei fatto lindomani. Ora era tempo di festeggiare il colpo andato a segno. Ritornai a casa dal mio samaritano, al quale regalai dieci euro, mentendogli sulla loro provenienza. Non volle accettare i miei denari, bensì mi disse che la sera avrebbe invitato a casa degli amici a cena, sempre che a me avesse fatto piacere.
Scesi al negozio di pakistani che stava sotto al palazzo e presi qualche bottiglia di vino, e una di vodka, sapevo che non sarebbero andate sciupate.
CAPITOLO QUATTRO Una poesia spontanea
Eravamo tutti intorno al tavolo. La cena era stata preparata minuziosamente da Fatima, una vicina di Khan, la quale sedeva accanto a lui in atteggiamenti tuttaltro che indifferenti. Nove persone animavano il banchetto e si rifocillavano sontuosamente. Guardavo quelle nuove persone con estremo interesse. Mi trattavano come fossi sempre stato loro amico, come se ci conoscessimo da anni e questo mi faceva stare bene. Per la prima volta nella mia vita mi sentivo a casa, le persone che sedevano accanto a me facevano di tutto per farmi sentire partecipe della loro compagnia e dei loro discorsi. A esser sincero, lunico interesse che stavo maturando però era per unamica di Fatima. Il nome con il quale i suoi genitori lavevano benedetta era Sophia, nome a me sconosciuto ma dal suono incantevole. Come lo erano i suoi occhi neri, egual colore dei capelli, e la carnagione caffelatte. Quello che mi colpì di lei fu non tanto laspetto fisico, ma il suo sguardo. Era per me come la mela per Newton e il pericolo sarebbe stato quello di toccare terra. Per tutta la cena, ci scambiammo sorrisi e sguardi complici, sebbene non riuscissi a capire che rapporto avesse con Abdlak, il quale laveva stuzzicata diverse molte. In queste occasioni lei lo aveva snobbato, volgendo lattenzione su di me, e puntualmente lui si agitava, diventando scontroso e irascibile con gli altri ospiti. Non era il mio genere di ragazza, ma la sua carnagione dorata mi faceva risvegliare passioni lontane, il suo sguardo scuro e inteso sembrava assorbire ogni mia emozione senza che questo la tormentasse, anzi, la sentivo leggere dentro la mia anima con estrema facilità. I suoi lunghi capelli neri, dal profumato candore, portavano dentro di me una serenità sconosciuta ma ricercata nel tempo, forse segno di poche notti passate a riposare. Avevo voglia di lei e del significato che rappresentava. Avrei voluto prenderla per mano e portarla fuori, lontano da tutto e da tutti e rimanere seduti a parlare per ore, per poi abbracciarsi così, luno stretto allaltra, senza aver più nulla a cui chiedere al mondo, perché mi bastava ciò che avevo tra le braccia e tutto il resto sarebbe stato inutile e superficiale.