Marco Fogliani - Sta Scherzando, Commissario? стр 6.

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Credo che il Papotti fino all'anno scorso non avesse neanche idea di chi fosse Luana Mozzi. A ben guardare, erano di due generazioni diverse. Il Papotti doveva essere un bambino quando lei, prima come cantante e testimonial in pubblicità e poi come pornodiva, approdò alla notorietà. Una rapida ascesa, una enorme fama: gran bella donna devo dire. E quando, saranno ormai quindici anni orsono, Luana Mozzi scomparve in circostanze ancora misteriose, il Papotti sarà stato al massimo un ragazzino.

Poi, mi pare l'anno scorso, un quotidiano pubblicò la notizia di un giudice che indagava non so a quale scopo sulla effettiva morte della Mozzi.

Il giorno dopo - e potrei scommettere che si era un minimo documentato prima di affrontare con noi l'argomento - il Papotti ci fece alcune delle sue domande provocatorie.

"Vi pare possibile che un padre e una madre possano dimenticarsi dove hanno sparso le ceneri della loro figlia? O che una clinica di fama internazionale possa smarrire la scheda clinica di un personaggio famoso che viene da migliaia di chilometri di distanza per curarsi, e morire, da loro?"

No, secondo noi non era possibile.

"E perché secondo voi, dopo quasi quindici anni, qualcuno avrebbe interesse a riaprire il caso della sua morte? A chi potrebbe interessare?"

Su questo ci fu qualche contributo da parte nostra: forse gli interessi dell'industria pornografica? E non era forse vero che già all'epoca nessuno di noi aveva veramente creduto alla versione ufficiale dei fatti?

Il Papotti si buttò anima e corpo sull'argomento, e si assentò dalla redazione per almeno due settimane. Non è poi una cosa così inconsueta da noi. L'importante è che almeno una volta a settimana il direttore del giornale venga tenuto aggiornato su ogni sviluppo.

Dopo di che inviò una videocassetta ai genitori della Mozzi, con cui si presentava e in cui chiedeva di essere ricevuto e di poter fare loro un'intervista, asserendo inoltre di essere in possesso di importante e inedita documentazione sulla morte della loro figlia. Una copia del nastro c'è sicuramente da qualche parte anche qui al giornale, se può servire.

Non ci sperava proprio, e invece la sua richiesta fu subito accettata. Si recò a casa loro, se non sbaglio nelle campagne piemontesi. Era armato non solo di penna e blocco notes, ma anche di un telefonino truccato che fungeva da registratore e micro-telecamera. È uno degli ultimi ritrovati della tecnica, molto in voga tra i giornalisti rampanti; lo usano in molti, grazie anche a questa moda degli ultimi tempi di portarsi il cellulare attorno al collo appeso a un collare di stoffa.

Da qualche parte abbiamo anche questo filmato, ma preferirei che non uscisse fuori: meglio non divulgare certi strumenti di indagine. Però il Papotti ha tirato giù un rendiconto di quell'incontro. Deve essere ancora qui sulla sua scrivania: un attimo solo Eccolo. Ci dia un'occhiata lei stesso, commissario.

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La casa dei Mozzi è sobria, accogliente ed ospitale, circondata da un modesto giardino. Dopo che ebbi suonato al cancello, si affacciò una signora un po' anziana.

"Cosa desidera?", mi chiese.

"Sono il signor Papotti. Cerco "

"Ah, sì. Il signor Papotti. Venga, entri pure, la stavamo aspettando."

Oltre a lei, nel salone all'americana mi attendevano, seduti uno sul divano e l'altro su una poltrona, due persone che se fossero state statue sarebbe stato circa lo stesso. Uno era un signore anziano, vestito elegante ma all'apparenza sciatto, sguardo perso nel vuoto forse per qualche malanno di troppo. Accennò un leggero sorriso e un segno di partecipazione solo quando la signora ci presentò: "Lui è mio marito."

L'altro era un tipo un po' losco: vestito scuro, occhiali da sole e, guarda guarda, al collo portava un cellulare quasi come il mio.

"Gradisce un po' di tè?", mi chiese la signora.

"Sì, grazie." Poi, siccome l'altro individuo non mi veniva presentato, domandai io: "E quest'altro simpatico signore, è possibile sapere chi sia?"

"E' il nostro maggiordomo tuttofare", rispose la signora sorridendo.E aggiunse:

"Beh, in fondo lei è un giornalista, qualcosa dovrà pur scoprirla da solo: o vuole che le diciamo proprio tutto noi?"

Sì, in effetti speravo che mi dicessero tutto loro. Ma di sicuro quell'uomo non era un maggiordomo, visto che la signora si occupò personalmente di servire il tè.

"Mi dica, signor"

"Papotti", l'aiutai io.

"Giusto. Mi dica, lei per caso ha figli?"

"No. Non sono neanche sposato."

"Peccato. Peccato, perché i figli portano grandi soddisfazioni. E anche perché le sarà più difficile comprendere la nostra situazione. Intendo dire: immaginare anche lontanamente come può sentirsi una coppia che ha perso un figlio. Vede, noi abbiamo volentieri acconsentito a riceverla non tanto perché avessimo qualcosa in particolare da dirle. La nostra verità è semplice. Brutta e triste, ma è la verità: la stessa che è stata scritta su tutti i giornali, sbandierata al mondo intero. Che poi non è stato bello neanche questo: che tutti parlassero di questo dolore, che se ne appropriassero, o meglio facessero finta di appropriarsene; di questo dolore che in realtà doveva essere solo nostro, e di quei pochi che veramente le hanno voluto bene."

Fece una pausa, mentre gustava un altro sorso di tè.

"Deve cercare di capire che non solo nostra figlia è morta, ma è morta più di una volta."

Ecco, pensai, ancora un po' e mi dice tutto.

"La prima volta, che ancora non era maggiorenne, è come se ci fosse stata uccisa. Ingoiata da quel mondo perverso dove non conta che hai un'anima: sei solo un corpo. Fatta prostituire neanche con un uomo alla volta, ma con centinaia e migliaia insieme. Intrappolata nel suo personaggio da carta stampata e da filmacci per soli uomini. Tolta per sempre dalla sua famiglia, dal nostro affetto, dalla bellezza di una vita sana e normale. E convinta a credere che fosse una vita ben vissuta, quasi una missione.

E' stato allora che per noi è morta."

Non riuscì a continuare. Poggiò la sua tazza e chiuse gli occhi, come per raccogliere da dentro di sé le forze per proseguire, o forse per cercare di rivedere il volto sorridente di sua figlia ragazza.

"Ma poi è morta di nuovo, in quella clinica. Perché, - e questo non potrà capirlo se non ha figli - una figlia resta sempre una figlia anche se non ti può vedere, o non la puoi vedere; se non riesci a comunicare con lei; se è scappata di casa, o se ti ha riempito la vita solo di dispiaceri. E' sempre una figlia, e quando muore ti manca da morire, e ti accorgi che era comunque meglio averla viva, con tutti i difetti che poteva avere o i problemi che poteva darti. Un figlio è un pezzo di cuore, come dicono a Napoli."

Fece una nuova pausa, sospirando e chiudendo nuovamente gli occhi per un attimo.

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